Il labirinto della memoria
di Roberto Vacca e Cristina Ambrosetti, ed. Bompiani, ’88, 22.000 £, poi "I grandi tascabili" n. 159, ed. Bompiani, ’90, 10.000 £; 286 pagg.; prezzo dei remainders: 16.00 €
Ad uno scienziato americano viene affidato il compito di trovare un modo per innalzare il livello culturale del mondo. Perché è ormai chiaro che tutta la tecnologia avanzatissima che si è prodotta non potrà avere mercato, proprio per l’ignoranza dilagante.
Da questa premessa decisamente fantascientifica parte questo romanzo abbastanza avvincente, che alterna l’azione pura con la riflessione culturale.
La trama è imperniata su un "Teatro della memoria", che certo Giulio Camillo Delminio costruì nel XV° secolo per re Federico I° di Francia, realmente, come strumento per addestrare i suoi dignitari, usando un metodo appunto mnemonico.
Qui se ne esagerano le qualità, e si immagina che, con esso, le persone, possano cominciare ad imparare con una facilità incredibile qualunque argomento.
Vi sono alcune sottotrame, due improntate allo spionistico, su ricerche per aumentare medicamente le capacità intellettive, con esperimenti dai risultati disastrosi sull’uomo, che porterà ad uno scandalo e su un modello avanzatissimo di aereo militare, che verrà boicottato per incastrare il progettatore, il protagonista, e un’altra su una copia del Teatro costruita in Cina, che sarà oggetto di trattative diplomatiche con l’ancora esistente Unione Sovietica.
I protagonisti sono questo scienziato/manager ed una donna italiana, Katia Serventi, storica del Rinascimento, che lo metterà sulla strada del Teatro, e se ne innamorerà, finendo col sposarlo.
Il tutto, come ho detto, è abbastanza avvincente, nonostante la poco credibilità dell’assunto di base, e le relazioni umane vi sono ben descritte, dall’avidità, di soldi e di potere, che porta a compiere azioni decisamente poco etiche, all’amore, per l’arte, per la cultura, che si deve appunto confrontare col Potere, materno, fino, appunto a quello con l’A maiuscola.
Lo stile è piuttosto scarno, anche se l’apporto della Ambrosetti ha decisamente migliorato questo aspetto della scrittura, tipico del Vacca.
Vi si riscontra un anticomunismo abbastanza marcato, e neanche l’immagine dell’America ne esce molto bene, fra i metodi decisamente poco ortodossi con i quali la Cia tenta di impossessarsi del Teatro e l’insabbiatura finale di quello scandalo, che stava per mettere di mezzo pure il presidente, perpetrato con una serie di omicidi.
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