Locus animae
di Alessandro Defilippi, "Narrativa" n. 48, ed. Passigli, ’99, 12,50 €, 192 pagg.
Un romanzo del secolo scorso, col tipico scienziato pazzo con uno scopo altrettanto pazzo: "Questo corpo, questa carne, che corruzione! Non esiste speranza per il corpo. Solo l’anima deve vivere, e il mio compito, lo so, è quello di trovarne la sede, per liberarla, e permetterle di volare più in alto, nei sette cieli. Questo è il fine per il quale sono nato." (pag. 113).
Ma che si svolge ai giorni nostri.
Lo stile è antico, quasi si volesse proprio ricordare quello di quelli, con vocaboli spesso difficili, di uso non quotidiano, e una struttura della frase, appunto, demodè.
Un medico, un ginecologo, decide, per affinità elettive, di fare una ricerca su un endocrinologo del XVIII° (!!) secolo, Irving Kastner; immaginario. Che, dopo notevoli contributi alla scienza, sparì, per poi essere trovato suicidato.
Scova in una biblioteca bauli interi di suoi scritti, e si mette a lavorare.
Ma sarà proprio la lettura di questi che lo farà deragliare verso un destino davvero incredibile, per ritrovarsi, alla fine, ad aver ospitato lo spirito dello studiato, e partecipato, in un certo senso, in un certo modo, difficilmente razionalizzabile, dei suoi delitti.
Il locus animae del titolo è quello che Cartesio pensava essere, appunto, la sede dell’anima: "Epifisi. Locus animae… Cartesio era convinto che l’ipifisi, la ghiandola pineale, come si chiamava allora, fosse la sede fisica dell’anima." (pagg. 60-61); "L’unione tra l’anima e il corpo, il loro toccarsi, sfiorarsi, secondo Cartesio deve avvenire nel cervello, e precisamente nella ghiandola pineale, l’ipifisi, uno dei pochi organi non doppi del cervello stesso." (pag. 110).
È che, Kastner, aveva un osservatore molto interessato, ai suoi studi, che gli faceva visita spesso, dandogli dei sogghignanti suggerimenti: "…l’uomo di stracci… volto di tela stropicciata. Dove avrebbero dovuto esserci gli occhi non c’era che una piega del tessuto, rettilinea, continua lungo tutto l’asse trasversale del volto. All’interno della piega c’era il buio, un’oscurità densa." (pag. 42), che, poi, gli si presenterà sotto un altro aspetto, "…Un giovane bruno, dagli occhi scuri e dal volto simpatico." (pag. 108). Che lo farà anche al protagonista, rivelando doti trascendenti; la dislocazione: "…rendendomi conto di percuotere l’aria. L’uomo non era più accanto a me. Ora era in piedi accanto alla finestra, sorridente, rilassato." (pag. 119), e… l’inconsistenza corporea: "Gli lanciai contro il posacenere che cadde per terra con un rimbombo cupo." (pag. 120).
Il Demonio: "…sotto le nere ali dell’Avversario che aveva fatto cadere l’ombra su di noi." (pag. 122).
La discesa agli inferi del protagonista inizia proprio qui, quando pensa di aver, in un’impeto che non è del tutto suo, ferito l’amante/allieva, mentre… vi giaceva.
Poi penserà di uccidere brutalmente una giovane donna che gli si era offerta su un treno.
Ma, poi, tutto sembrerà essere un’allucinazione, qualcosa avvenuto in un altro tempo, in un altro spazio. Quasi.
Il Demonio è dunque qualcosa che, senza che sappiamo controllarlo, si impossessa di noi e ci fa fare cose che non faremmo mai, "la faccia scura della luna" (da Buber, pag. 5, in epitaffio), qualcosa che scorre nell’essere, e di cui, in un certo senso, facciamo tutti parte.
La cameriera di Kastner, che il protagonista ritrova novantenne, gli racconta, fra le infinite altre cose, che, il padrone, buono e generoso, aveva dei momenti di assenza, che, a volte, scaturivano appunto in violenza "Non aveva espressione. Era come se avesse avuto una maschera, una pezza di stoffa sugli occhi. Non vedeva nulla, non muoveva un tratto." (pag. 87). L’uomo di stoffa, era lui stesso? Un suo aspetto; oscuro?
In un colloquio con un amico prete, si dice: "Non so se anche il Male sia Dio, o qualcos’altro, un fiume che ci trascina, un demonio o il flusso stesso della vita. Ma esiste. Ed è là fuori o qui dentro, e ci aspetta." (pag. 153).
Ecco; il vero tema di questo romanzo è se il Male sia solamente qualcosa che è dentro di noi, e che, a volte, si proietta all’esterno, nella quotidianità, o se esiste come entità reale, nel Mondo: "Vorrei solo capire se sta qui, nella mia testa, o è fuori, nel mondo, nelle cose." (idem).
Alla fine il protagonista troverà una risposta, per quanto sia, in pratica, un non sapersi rispondere: "Quello che ho imparato è che il male esiste, il demonio esiste. Dentro o fuori, che importa, egli è lì, ad un passo da noi, in ogni momento, come la nostra ombra, come l’Ombra nella quale scivolare." (pag. 190).
Ma, l’autore, ne ha una più decisa: il Male è dentro, di noi, è una parte di noi stessi, dalla quale è inutile fuggire: "…non si può mai sfuggire all’ombra" (pag. 140). Meglio, dunque, non sprecare energia tentando di fuggerle, ma affrontarla.
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