Le strade che non esistono
di Alessandro Fambrini, "Narratori europei di science fiction" n. 24, ed. Perseo libri, 2005, 20,66 €, 400 pagg.
Alessandro Fambrini è uno degli autori emergenti della "scuderia" Malaguti, cresciuti, letterariamente, nelle pagine di "Futuro Europa".
Un Malaguti che, nell’introduzione ("L'ombra dietro la luce", pagg. 7-16), lo esalta come una di quelle scoperte che, un redattore di una rivista, fa una sola volta, nella sua vita: di uno scrittore di vero talento.
La caratteristica predominante, della sua scrittura, è la lentezza. Il racconto, sempre, procede lentamente, con descrizioni dettagliate, o lunghe divagazioni.
La costruzione della frase (e questo, ma questa è una malignità, potrebbe essere uno dei motivi percui piace tanto al Malaguti) è spesso molto involuta, eccessivamente lunga.
Comunque, come andiamo a vedere, spesso il risultato è apprezzabile.
I racconti sono preceduti da una presentazione dell’autore.
-"Ecce homo" (pagg. 19-98)-fantareligione, in cui un alieno viene dapprima studiato da un ente governativo, per poi rivelarsi niente di meno che uno della razza, aliena, del Cristo.
La narrazione procede lentamente, con ampie divagazioni storico-sociologiche sempre pertinenti alla trama che potrebbero risultare noiose, ma che sono fra le cose migliori che vi si trovino.
E la figura di questo alieno è tratteggiata molto bene; qualcuno di, per quanto estremamente simile, fisicamente, a noi, estremamente diverso. Con una capacità di sentire decisamente differente.
Una rivelazione di questa portata, si rende conto uno dei protagonisti, potrebbe scatenare conseguenze immani: "Il cristianesimo sarebbe rivoluzionato nelle sue fondamenta, se non spazzato via dalla terra, e con il cristianesimo anche l’ordine che su di esso si poggia. L’ordine politico, l’ordine mentale." (pag. 91).
Ma, questo, per i potenti, per coloro che avrebbero da perderne. Per gli uomini dal sentire più sottile, invece, è: "…la dimostrazione dell’inconsistenza dell’intero castello dogmatico su cui si reggeva la religione cristiana e al tempo stesso prova vivente della sua fondatezza in qualcosa di tangibile, di reale, che il rituale conservava ancora soltanto come involucro e come allegoria. Che cosa cambiava, dopotutto? Il messaggio restava immutato." (pagg. 89-90).
-"Marmo" (anche in "Futuro Europa" n. 7, ed. Perseo libri, '90, pagg. 77-90; pagg. 101-116)-ucronico, vede un giovane della Versilia che, seguendo un suo amico andato con la moto alle cave del marmo che è tutta la vita, di quelle parti, entra in un universo parallelo: "…come se la realtà lo avesse risucchiato in una sua piega fluttuante alla quale egli era estraneo…" (pag. 112).
Nel quale, la seconda guerra mondiale, è stata vinta dall’asse, e il nazi-fascismo impera.
L’autore ci dice, nella premessa, che vi è: "…il tentativo di rappresentare il fascismo come il male assoluto, con tutto l’orrore abissale che esso esercita e che solo un debole o uno sprovveduto può scambiare per fascino…" (pag. 100).
La prima, lunga, parte, quella che si svolge nel nostro mondo, risulta forse un po’ troppo appesantita da continue disquisizioni sull’Arte, sulla sua capacità/possibilità di esprimere.
Anche se è evidente che è una delle cose che, principalmnte, l’autore ha voluto dirvi.
-"Sant'Ermete" (anche in "Futuro Europa" n. 12/13, ed. Perseo libri, ‘93/’95, pagg. 151-157; pagg. 119-127)-apocalittico, racconta di una delle ultime comunità che sopravvivono ad un cataclisma, di cui si ignora la natura, che colpisce il mondo intero.
E lo fa balzando velocemente di generazione in generazione, dal momento del suo manifestarsi fino a quando, ormai, quella piccola comunità è diventata… il Mondo.
-"Amanda" (anche in "Futuro Europa" n. 17, ed. Perseo libri, ’97, pagg. 124-141; pagg. 131-153)-mistery d’atmosfera nel quale si racconta di una studiosa di storia dell’arte scozzese che, a Lucca, seguendo una tenue traccia, arriva ad una costruzione incredibile, dal "…singolare rapporto tra ampiezza della facciata e interno, limitato a poco più di due metri di spessore e, con tutta evidenza, destinato a un’unica, lunghissima stanza che difficilmente avrebbe potuto servire da abitazione." (pag. 136).
La traccia le era stata data da un’iscrizione su una colonna di quella Lucca, ancora incredibilmente identica ad alcune trovate su pietre della preistoria della sua Scozia. Cosa che fa correre la sua fantasia verso interpretazioni tanto pazzesche quanto poetiche: "…poteva essere un luogo di culto, consacrato a qualche divinità, forse alla luna stessa, a una credenza che, in qualche modo inesplicabile, si era tramandata fino alle remote regioni di Scozia." (pag. 135).
Il racconto è, quasi interamente, mainstream; solo dopo queste scoperte alla protagonista accade qualcosa; forse impazzisce, semplicemente (spiegazione razionale), o forse….
Questo forse è detto tutto per accenni, solamente, ma la possibilità di un incasellarsi, di tutti gli avvenimenti, in una "soluzione" non certo razionale, ma comprensibile, c’è.
-"La battaglia dei cani e dei negri" (pagg. 157-158)-surreale, dice, unicamente, senza alcun commento, di come, in un qualche futuro, dei negri siano portati, molto normalmente, ad essere sbranati da un branco di cani.
"…ciò che vuole stigmatizzare-il razzismo, la xenofobia… mi sembra che si sia istituzionalizzato con il passare del tempo e sia un ingrediente del nostro quotidiano…" (premessa dell’autore, pag. 156); purtroppo.
-"Sala Baganza" (pagg. 161-170)-ancora sugli universi paralleli, vede un uomo a cui è da poco morta la madre, sfollata ai tempi della guerra, di cui si racconta brevemente, passare per caso nei pressi del paese che, la madre, avrebbe dovuto raggiungere, ma che, per un caso, non raggiunse.
E, spinto dalla curiosità, fermarvisi. Per scoprire che, là, una… sua madre, era giunta davvero, e aveva procreato quella che, in qualche modo, era una sua… sorella.
In un altro mondo, in un altro universo.
-"E sopra la testa aveva una corona di luce" (pagg. 173-182)-criptico, vede un uomo, in una città germanica, che trascina stancamente il proprio tempo in un fare che è nulla. Con presenza femminili, nelle quali spicca, sempre, il seno, che vi fanno rapide comparse.
Solamente verso la fine succede qualcosa; vede qualcuno, "..tra le crepe del legno… ho visto i suoi denti candidi scoprirsi in un riso selvaggio, ho visto i suoi occhi…." (pag. 181).
Alla fine fugge, convinto di essere in pericolo di vita per aver scoperto "…un commercio abominevole… donne rapite e imprigionate… prima che vengano vendute nel mondo." (pag. 182).
Nella presentazione l’autore ci dice che la fonte, di questo racconto, è stata: "…"Inferno", di August Strindberg…", e che "…il protagonista assillato da visioni paranoiche è ispirato a uno dei "nemici storici" di Strindberg…" (pag. 172).
Comunque; davvero eccessivamente, criptico, senza nessun "accadimento" che ne focalizzi il senso, e davvero troppo scarso lo spunto fantastico, sempre che lo si possa dire tale.
In effetti, mi pare che non vi sia, un reale, spunto fantastico.
-"Infinito" (anche in "Futuro Europa" n. 29, ed. Perseo libri, 2001, pagg. 35-45; pagg. 185-197)-"…scritto sotto l’inflenza di Ballard" (nota dell’autore, pag. 184), racconta della scomparsa di un uomo, e della sua ricerca da parte dello psichiastra che lo aveva in cura. Che era arrivato quasi a credere, alle assurde teorie che diceva "…i maledetti numeri, questo inganno supremo, questa falsità della mente e del cuore, con il loro assurdo figlio, il tempo…. Il loro dominio… è illusione e finzione. Tolti i numeri e il tempo, tutto il resto esiste, tutto ciò che è pensabile. Esiste." (pag. 197).
Un uomo che aveva deciso di non voler seguire il normale evolversi del tempo, ma si risalirlo in senso contrario. Di regredire.
Per cercare risposte, capire: "…alla ricerca della chiave… che gli permettesse di scardinare la staticità apparente della realtà e di penetrarne l’essenza, di tuffarsi nei meandri inesplorati delle origini." (pag. 188).
Alla fine si capirà, anche senza che nulla di certo lo stia a dimostrare, che vi sia riuscito.
Ballard, e Jung, insomma, il Tempo come qualcosa di essente, nel quale sia possibile muoversi non solamente nella direzione "normale", in quanto "…tutto coesiste…" (pag. 187).
-"Due variazioni sul tempo" (pagg. 201-210)-"…si avvicinano a certa fantascienza sperimentale anni Settanta… a certe cose di Malzberg…" (premessa dell’autore, pag. 200).
Due idee, decisamente originali, sul Tempo.
La prima nella quale un uomo impara a viaggiarvi, riuscendo a rivivere, a piacimento, ogni istante della propria vita, modificandolo a piacere: "È il corpo che conta, quello che davvero viaggia. Spostarsi con il proprio corpo. Nel proprio corpo." (pag. 204).
E la seconda, decisamente molto più avvincente, nella quale un uomo costruisce "Un trasmettitore di materia… un campo di stasi" (pag. 206), per mezzo del quale "Nel tempo infinitesimale di un nanosecondo, i dati coassiali delle mie sinapsi-in breve, la mia coscienza-sono trasferiti in quelli di un altro essere umano." (pag. 208). Del quale vivrà un giorno della vita, sempre lo stesso, dimmodo che, il suo tempo percepito, sarà, praticamente, infinito. Eterno.
-"Vhx 14" (pagg. 213-228)-altro racconto sugli universi paralleli, questa volta più prettamente fantascientifico, in quanto, lo sfasamento avviene a causa di un esperimento, appunto, scientifico.
Un "…microorganismo fotosensibile…" (pag. 216) che, si scopre per caso, se alimentato a zucchero, scompare e ricompare come se andasse da qualche altra parte.
Tipicamente, l’esperimento sfugge al controllo, e coloro che vi assistono, sono sbalzati, con il microorganismo, fra gli universi paralleli: "Un giorno lavoro ai miei esperimenti in un mondo che appare identico al nostro, finchè all’improvviso non scopro che la fiamma continua ad ardere anche quando rovescio la candela. Un giorno cammino per Pisa e… vedo la Torre stagliarsi dritta come un fuso. Un giorno il mio vicino è un orientale, mi guarda in modo strano, e io esco per strada e scopro che l’intera città, che è sempre Pisa, è tutta popolata da orientali." (pag. 227).
Il clou del racconto, però, è incentrato su un universo parallelo nel quale il concetto di igene è totalmente differente, dal nostro.
L’autore dice di essere stato ispirato dalla lettura del saggio "Lo sporco e il pulito", di Georges Vigarello, appunto sulle diverse concezioni di igene nella Storia.
-"Le strade che non esistono" (anche in "Futuro Europa" n. 30, ed. Perseo libri, 2002, pagg. 9-42; pagg. 231-275)-ambientato in Islanda, che ne è il vero protagonista, racconta di un ragazzo che va alla ricerca di una sua amica, partita quando avrebbe dovuto attendere il suo arrivo.
Per un paesino di una zona di quel paese se possibile ancor più deserta delle altre.
Predominano i paesaggi lunari di quelle terre, e l’ostilità fatta di diffidenza per il raro straniero, di quelle genti.
Non la troverà, ma capirà che, lassù, permangono dei culti molto antichi: "…una chiesa delle vecchie divinità, quelle che c’erano prima che venissero in Islanda i preti e i vescovi… caverne, nel cuore del ghiaccio, che si aprono fino al centro della terra. Nessuno le ha mai trovate, ma in esse abitano gli antichi dei…. attraversano tutto il mondo sotto la terra, le strade le incrociano sopra la terra…. Le strade invisibili. Le strade che non esistono." (pag. 256).
Il protagonista vi ha due momenti, come dei satori, nei quali ha una percezione quasi ancestrale, della realtà: "… come se il mondo fosse un unico, immenso organismo vivente e la sua torbida consapevoleza dispersa in tutto il suo enorme corpo si comunicasse in qualche modo a me, parassita microscopico in simbiosi con essa, e con quella consapevolezza l’eco ottusa di alcuni suoi caratteri ancestrali che inavvertiti s’insinuavano a me, mutando il mio senso della realtà." (pag. 268); molto ballardiano.
E, alla fine, uno nel quale capisce che, la sua amica, gli è persa per sempre, perché inoltratasi per sentieri… lovecraftiani: "Fu in quel momento. Tutto si compose come in un disegno dalla trama chiara. La mia mente volò via come in un turbine, tra immagini di sacrifici e di sangue, di divinità remote e di riti incomprensibili scanditi dalle nenie di gole non umane…" (pag. 273).
-"Perimeni" (anche in
"Robot" n. 43, ed. DelosBooks, 2004, pagg. 36-79; pagg. 279-318)-horror d’atmosfera, che scorre lento come il tempo dell’isoletta della Grecia nel quale è ambientato; un horror un po’ alla Lovecraft, con una divinità antica che da l’estasi, e l’immortalità, una divinità che è un alieno, e/o qualcosa che era già adorato dagli antichi egizi.
Ma, in quest’atmosfera carica di umori, c’è anche molto sesso, primitivo, ancestrale, appunto, e l’inevitabile contrapporsi di questa religiosità pagana al cristianesimo.
Inizia, qui, una serie di racconti di un ciclo, con, a protagonista, l’ispettore Jørgensen, danese dalla mentalità molto pragmatica, in una Danimarca occupata dai nazisti.
-"1940: suono di campane" (anche in "Astragalo" e "Futuro Europa" n. 37, ed. Perseo libri, 2004, pagg. 193-200; pagg. 321-330)-nel quale è alle prese con un delitto a Cophenaghen, dietro il quale si scoprirà il tentativo dei nazisti occupanti di appropriarsi del "…segreto per la duplicazione degli esseri umani." (pag. 199).
-"1954: oltre le muraglie della follia" (anche in "Futuro Europa" n. 36, ed. Perseo libri, 2003, pagg. 205-212; pagg. 333-342)-nel quale il fantastico deve faticare per riuscire a trovarvi un pertugio, racconta del suo essere trascinato alla scoperta niente di meno che dell’ingresso dell’ultimo rifugio dei terribili dèi lovecraftiani.
-"1931: il grande Vargas" (pagg. 345-356)-nel quale, in una narrazione convenzionale, di un mago e dei suoi numeri, si inserisce, improvvisa e assolutamente non spiegata, una lunga scena allucinatoria, indotta, si capisce, dall’ipnotizzazione.
L’ispettore aveva guardato negli occhi uno spettatore che lo era stato, e si ritrova catapultato in un universo onirico, nel quale domina un’atmosfera direi lovecraftiana: "La mia gente è molto più antica, dovrebbe averlo capito." (pag. 355).
-"1953: i solchi e le voci" (pagg. 359-369)-un uomo viene ripescato moribondo, e l’ispettore va all’isola da cui veniva.
Per trovarvi una comunità totalmente isolata dal resto del mondo, e capire che… pratica il sacrificio umano!
"… stranieri venuti in un passato immemorabile…" (pag. 368) avevano portato dei "dischi", che dicevano ogni cosa: qualunque cosa che… sarebbe successa. E ogni informazione utile alla sopravvivenza.
In cambio, quegli isolani, dovevano semplicemente compiere un sacrificio umano… annuo.
Dall’atmosfera dapprima misteriosa e poi orrorifica perfettamente riuscita, ha evidenti debiti con gli dèi di Lovecraft.
Un’annotazioe a margine: l’introduzione dell’autore è… tagliata.
-"1929: piatti volanti" (pagg. 373-393)-ultimo dei racconti sull’ispettore scritto, è però il primo nella sua cronologia.
E narra di un ufo che rapisce due persone in un’isoletta delle Færøer, dove il protagonista stà svolgendo il suo lavoro.
Come al solito, però, ciò è avvolto in un contesto di "normalità" quotidiana che evidenzia ottimamente l’evento fantastico.
E, in più, l’ispettore vi ha anche una storia d’amore, inerente alla trama.
Vi "…aveva imparato una forma estrema di controllo… che non lo avrebbe più abbandonato per il resto della sua vita." (pag. 393): ecco dunque, come in ogni presequal, spiegato il pragmatismo appunto estremo del commissario.
Nel finale, infatti, assiste egli stesso al rapimento definitivo di quei due, ormai trasfigurati in qualcosa che trascende l’umanità.
A parte, dunque, una certa fatica, di lettura, dovuta a quanto detto in apertura, vi si possono trovare delle cosette decisamente buone. Come "1953: i solchi e le voci", a mio parere il meglio riuscito, o il romanzo breve col quale inizia.
Ma anche roba veramente pessima, come "1931: il grande Vargas", che, sinceramente, mi sono chiesto come sia sia avuto il coraggio di pubblicare.
E si evidenziano tre grandi amori, dell’autore; la sua Versilia, al centro dei primi racconti, sempre detta con grande affetto.
Il Fambrini ha una specializzazione in lingue e letterature tedesce e scandinave, e lo si sente; il suo deve essere un amore sincero, per la Scandinavia, che appare, nelle sue opere, come una terra magica: "… una natura che non ha bisogno di altro che di se stessa per offrire il racconto fantastico più grande." (premessa a "Le strade che non esistono", pag. 230).
E Lovecraft, che affiora ad uno passo.
Comunque, rimane il fatto che, questa collana della Perseo/Elara, sia uno dei pochi sbocchi concreti per lo scrittore di fantascienza nostrano, oggigiorno. In volume decisamente "belli", per quanto non economicissimi.
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