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Ballard: l'opera 1


di Marcello Bonati


Nato nel 1930 a Shangai, Cina, da genitori inglesi, il padre medico, e visse qui fino a quindici anni. Durante la seconda guerra mondiale viene internato in un campo di concentramento da cui esce solo nel 1946. In questa data Ballard arriva per la prima volta in Inghilterra, e qui svolge alcuni lavori precari, fino a quando si arruola nella RAF. Si trasferisce quindi in Canada.

Concluso il servizio militare fa ritorno in Inghilterra, dove seguendo le orme del padre si iscrive alla Facoltà di Medicina di Cambridge, il King's College. Qui si interessa in particolare di fisiologia e anatomia.

In questi anni, parallelamente agli studi di indirizzo scientifico, Ballard cerca di crearsi una cultura di tipo umanistico la più ampia possibile, e scrive i suoi primi racconti.

Lo stile di queste prime opere letterarie sarà subito sperimentale. Il racconto con cui esordisce nel campo della Sf è Prima belladonna, apparso sul numero di dicembre della rivista "Science fantasy". L'attività nel campo letterario, sempre più intensa, non permetterà a Ballard di ultimare gli studi all'Università.

Nel frattempo lavora in una agenzia pubblicitaria, e dirige per qualche anno una rivista scientifica. Dopo il 1965 decide di dedicarsi al lavoro di produzione letteraria a tempo pieno.

Collabora alla rivista inglese "New Worlds", da cui parte il movimento di rinnovamento dei canoni fantascientifici noto come New Wave, diventandone ben presto il rappresentante più significativo, e a detta di alcuni l'unico che abbia realizzato qualcosa di veramente valido e duraturo.

Dal 1966 al 1969 Ballard svolge l'attività di recensore specializzato per il quotidiano "The Guardian", e dal 1969 al 1971 per "The Times".

In questa nostra carrellata sull'opera dell'ormai famoso autore inglese esamineremo un totale di ventisette opere: i sei romanzi pubblicati in Italia e molti racconti tratti dalle undici collection personali uscite da noi e da alcune antologie di autori vari, partendo dall'esordio, nel 1956, all'ultimo romanzo del 1981.

Iniziamo da Prima belladonna (idem, 1956), primo racconto e facente parte di quel ciclo ben preciso di opere antologizzate nel volume I segreti di Vermilion Sands (Vermilion Sands, 1971), con connotazioni a stilemi che si ripetono, quasi a formare un grande romanzo a mosaico dalle tinte cangianti.

Narrato in prima persona, vede comparire a Vermilion Sands una certa Jane Ciracylides, cantante, che gioca I-Go, "una specie di gioco degli scacchi decelerato", canta nel locale del villaggio con successo, e alfine fa innamorare di sé il narratore, proprietario di un negozio di fiori canterini, in crisi perché la sua merce viene danneggiata dai frequenti canti di lei.

Delicatissimo, surreale, introduce nel mondo direi quasi fatato di questo ciclo, e più in generale nell'intera poetica ballardiana, anche se qui certo non si parla di inconscio né collettivo né individuale, né appaiono altre tematiche che caratterizzeranno l'opera del nostro.

Uno scorpione sonico e le piante canterine sono gli unici elementi fantascientifici, oltre a un punto centrale: I pettegoli di Vermilion Sands decisero ben presto che c'era in lei parecchio della mutante, perché aveva una pelle patinata d'oro e gli occhi sembravano insetti." (pag. 19).

La donna dunque al centro dell'interesse, un po' magica, molto misteriosa, suscitatrice di passioni che, alfine, scompare, svanisce, lasciando dietro di sé qualcosa di se stessa, un ricordo, una vibrazione.

Nello stesso anno viene pubblicato il bellissimo Il tempo si guasta (Escapement). Un uomo guardando la televisione a un certo punto si accorge che tutti i canali continuano a ripetere gli stessi programmi, le stesse scene, un quarto d'ora di bobina che eternamente si ripete.

Alcuni fenomeni collaterali poi gli fanno intuire di essere lui a essere incastrato in quel quarto d'ora, di continuare a saltare indietro più o meno sempre allo stesso punto; poi l'intervallo-trappola inizia ad accorciarsi, in una girandola temporale da cui egli cerca di sfuggire con ogni mezzo, fino a venire letteralmente catapultato fuori, vomitato via.La spiegazione scientifica è presente nel testo, ma posta decisamente in secondo piano. Nel finale, e qui sembra di rileggere Dick, vediamo il terrificante fenomeno che sembrava essersi concluso rispuntare in un'altra forma, ma sempre identico a se stesso.

Condotto con maestria, presenta molti spunti umoristici, derivanti dall'agitarsi frenetico del protagonista nella sua girandola. Confrontando questo racconto con Noi temponauti (A little something for us Temponauts, 1974), dal tema simile, possiamo constatare l'amarezza, la cupezza di Dick, rispetto a un tono decisamente più leggero, meno incubico di Ballard.

Nel 1959 esce Le terre di attesa (The Waiting Ground),un racconto ancora poco ballardiano.

Due uomini, un pianeta, una religione cosmica.

Passando ora al 1962, ecco il primo romanzo: Vento dal nulla (The Wind from Nowhere), primo della "tetralogia degli elementi", apparve per la prima volta in due puntate su "New Worlds" col titolo Storm Wind, l'anno prima.

In esso un vento in continuo aumento sconvolge la vita del nostro pianeta.

Un vento da nessun luogo, "...uno dei più antichi fenomeni naturali" come dice Ballard stesso, che più oltre sottolinea: "...l'uomo era stato colto completamente incapace di difendersi...(poiché) era stato soffocato dai meccanismi costruiti per soddisfare gli appetiti secondari" (pag. 104).

In generale un atto d'accusa contro l'ottimismo umano nella possibilità di un controllo totale sulla natura, contro la sua pretesa di essere il padrone del mondo, facendo, per così dire, i conti senza l'oste, quella violenza naturale di fronte alla quale (vedasi uragani, terremoti, cicloni e simili) ancor oggi quasi nulla possiamo.

"Come petali strappati da un fiore, uomini e donne si staccavano dall'ingresso, muovevano alcuni passi incerti, e subito venivano inghiottiti dal vento e lanciati contro le rovine delle case" (pag. 106). Ecco dunque l'uomo nella sua piccolezza strappato a viva forza dall'impeto del vento, sballottato, intrappolato, ucciso; e qui l'elemento simbolico, ovvero la turbinosità degli accadimenti, il fluire implacabile del divenire, l'irrazionale che fa breccia a ogni piè sospinto, senza che si riesca a rintracciarne l'origine, la provenienza. Quel "da nessun luogo" assume, secondo me, anche questo significato.

Interessanti le reazioni dei personaggi femminili in questa situazione: "Sua moglie, nonostante i quindici giorni fossero passati, non aveva ancora dato alla luce il bambino. Inconsciamente Dora si rifiutava di mettere al mondo il bambino in quella situazione" (pag. 64), in cui è simbolizzata molto chiaramente la mancanza di speranza, ma più che la saggezza tutta femminile, il suo essere immersa nella situazione; il bambino nascerà poi, nel clou del disastro, ma sarà già un sintomo, un preannuncio del finale positivo che vedremo.

"Un colpo di vento la spinse verso di lui e Maitland dové afferrarla tra le braccia-Susan, per l'amor del cielo, a che gioco stai giocando? Non è il momento di divertirsi questo.-La donna gli si strinse contro e sorrise.-Ma io non gioco, Donald, credimi. Mi piace guardare il vento. Tutta Londra sta crollando. Fra poco il vento spazzerà via tutti. Tu, Peter, tutti quanti. (...) Ho avuto paura per troppo tempo, Donald. Di papà, di te, di me stessa. Ora mi è passata completamente. Vai a scavarti un rifugio sottoterra, se vuoi... (...)... Fece alcuni passi indietro fino a portarsi nel vano della finestra. (...) Maitland la vide per un attimo volare in mezzo alla polvere, e poi rotolare come un pupazzo disarticolato sui tetti delle case accanto." (pag. 74-5): in cui contenuti inconsci rimossi risalgono prepotentemente alla coscienza, in cui prevalentemente l'essere tenta un modo di adattamento alla situazione: "Mi piace guardare il vento" e "Ora mi è completamente passata (la paura)" sono gli elementi sostanziali, un atteggiamento di brutale realismo, che non lascia spazio al sentimento che, se trapelasse, se facesse breccia, sarebbe collassante, in quella situazione; la patologicità di tali meccanismi di difesa sono evidenti se si guarda alla scena nel suo contesto globale, e evidenziati dal suicidio, che quei "passi indietro" altro non sono.

Chiudendo questa lunga parentesi sulle reazioni femminili alla catastrofe, vediamo altri brani significativi: "Adattarsi è la sola e vera condizione biologica che permette di sopravvivere..." (pag. 120-1); "L'egoismo aveva il sopravvento in tutti" (pag. 124), questi i primi sintomi dell'atteggiamento psicologico che comincia a serpeggiare tra gli umani, e che trova la sua espressione massima in Hardoon, chiuso nella sua torre a prova di vento, a sfidarlo, a far da simbolo dell'orgoglio umano, che qui è poi ignoranza.

Il romanzo si chiude con la sconfitta del sogno paranoico di Hardoon, al culmine della violenza delle forze naturali, subito prima del loro quietarsi, che fa, su di un altro livello, da elemento catartico delle tensioni accumulate dal lettore.

Decisamente la peggiore delle opere lunghe del nostro, non vede ancora ben esplicitato il concetto di spazio interiore, cosa che, come vedremo, viene molto ben esposta già nel secondo romanzo, Deserto d'acqua. Qui in sintesi ci si limita a una descrizione molto superficiale delle conseguenze psicologiche di ciò che accade nell'outer space, e per di più in modo saltuario e senza far ricorso alle terminologie dell'inconscio collettivo che caratterizzeranno invece le opere successive.

Cammarota trova, in Donald Maitland, uno dei personaggi, un anti eroe che agisce "nel vento (e non contro o a favore)" (1), e in ciò io vedo l'immergersi, il fluire, il voler continuare a lottare, al contrario del miliardario Hardoon che vuole guardare il vento in faccia, sfidarlo da una posizione di forza, la cui volontà di potenza raggiunge e oltrepassa il limite, si pone cioè in un ambito di non possibilità e quindi diviene patologica, e muore "...fissando il cielo come un eroe wagneriano il suo Walhalla" (pag. 150), a simboleggiare l'inutile e il folle del suo sforzo di volersi ergere al di sopra dell'umano.

Strutturalmente molto interessante la costruzione della torre di Hardoon, che avviene parallelamente allo scorrere degli altri avvenimenti, negli ultimi paragrafi di quasi ogni capitolo, fino ad andare a confluire con la trama principale nel finale.

Ed eccoci ai racconti usciti nello stesso anno.

Cominciamo con Il giardino del tempo (The Garden of Time).

Veramente ottimo, si svolge in un'atmosfera onirico-surreale. Il conte Axel e sua moglie, il giardino del tempo e l'avanzare di un'orda vociante. Strappando i fiori del giardino i due nobili ritardano la catastrofe finale, l'invasione dell'orda, ma sono ben consapevoli che è solo un rimandare e che essa è ineluttabile. Quando i fiori finiscono essa avviene, in un decomporti improvviso di strutture architettoniche, in un balzo subitaneo che trascina la villa e i suoi abitanti nella caducità del tempo. Ciò che questo racconto dice lo si può vedere su vari livelli: a un livello estetico, ecco che è il tentativo di conservare il bello dall'avanzare inesorabile del tempo distruttore, ma da un punto di vista politico quei conti e quella massa urlante sembrano rappresentare da una parte una nobiltà tesa nel suo sforzo conservatore (Mozart, Bach, la grande villa, il possesso di uno strumento di potere non in mano al popolo, i fiori del tempo), e dall'altra il profilarsi delle masse, povere (stracciate), urlanti (richiedenti), il loro numero esorbitante, incommensurabile (nel testo), che necessita di nuove strutture sociali.

Ma facendo collimare queste due interpretazioni ne risulta una allegoria, a parer mio, chiara di quali siano le tensioni emotive comunicate nel brano, le tensioni di due epoche vicine fra loro temporalmente, praticamente attigue, e della loro distanza abissale da un punto di vista culturale e ideologico.

Comunque, in questo sogno, da che parte sta Ballard? Il giardino è stupendo. La folla è brutale, animalesca. Non vi è presa di posizione politica, ma constatazione dello scorrere del tempo, e soprattutto del grande cambiamento dell'umanità avvenuto in questi ultimi anni; la connotazione è negativa, e non poteva che essere così, visto il sottile pessimismo del Nostro.

Stupendo racconto è anche Essi ci guardano dalle torri (The Watch-Towers), in cui si respira un'atmosfera in certo senso kafkiana.

Il luogo ove si svolge l'intera azione non è delimitato, ci si muove, nella lettura, in un ambito in cui l'indeterminatezza è il fattore prevalente.

Una cittadina, sembra, in cui la connotazione basilare della gente è l'abulia, l'apatia; l'indeterminatezza concerne le torri di osservazione, pendenti sul luogo: nessuno ne parla mai né si interroga mai su cosa siano, da dove vengano e chi siano le figure che a volte si intravedono dalle finestre che si socchiudono, né tanto meno il loro scopo.

Renthall, il protagonista, decide di scuotere la acque e organizza "un gran ballo, o una festa all'aperto" (pag. 10).

Basilare questo pensiero: "Lui voleva soltanto definire i margini esistenziali del suo mondo: se proprio siamo finiti in una trappola, era stato il suo pensiero, vediamo almeno di mangiare il formaggio." (pag. 30, il corsivo è mio).

Nel giro di poche pagine ecco che tutto si trasforma: ora solo Renthall vede le torri; un medico lo prende per pazzo, e lui dopo aver verificato che è proprio l'unico a continuare a vederle, va in giro per la città fino a che, alla fine, la punizione da lui temuta e in un certo senso sperata, cercata con il suo atteggiamento provocatore, arriva. "Fin dove poteva spingersi il suo sguardo, tutte le finestre di osservazione erano spalancate. In silenzio, senza muoversi, gli osservatori lo fissavano." (pag. 40-1).

Dunque, quale la realtà, quale il sogno?

Le torri rimarranno un mistero, il fatto che il consiglio fosse o meno in contatto con esse, pure; bisogna spostarci in un ambito interpretativo simbolico se vogliamo cavarne qualcosa; principalmente io vi vedo una rappresentazione della sfida umana al mistero incombente, a un qualcosa che determina direttamente la sua vita ma di cui non sa nulla.

Il fatto che nessun personaggio esprima mai una domanda esplicita sulla natura delle torri non significa che tale problematica non venga affrontata da ognuno nel loro intimo; dunque tutti si interrogano ma nessuno osa chiedere.

Di kafkiano sicuramente il rapporto di Renthall col consiglio, i mille e più messaggi, il suo tentativo di far avvenire una seduta speciale in cui far mettere le carte in tavola al potere.

Il potere quindi forse in contatto col mistero, col divino; Renthall non ci crede, non ci vuol credere, ma a un certo punto ne ha il sospetto: che le torri non siano una rappresentazione del potere religioso temporale?

Il finale vede un tipo di interessamento, silenzioso e distante, freddo e spaventevole, su di lui da parte degli osservatori; gli dèi sono irati? gli dèi sono indifferenti? Renthall ne sa quanto prima, ma il marchio della pazzia i suoi dèi glielo hanno regalato.

Eccoci al 1963, un romanzo e due racconti.

Iniziamo dall'opera lunga, Deserto d'acqua (The Drowned World), secondo elemento della tetralogia: l'acqua.

Il clima sul piccolo pianeta Terra è radicalmente mutato: la temperatura è talmente aumentata che i ghiacci eterni dei poli non sono più tali, e sciogliendosi sono andati ad annegare, come si esprime il titolo originale del romanzo, il mondo. Il romanzo inizia a catastrofe già avvenuta, con una equipe di scienziati scortati da alcuni militari installati in una laguna, che in seguito rivelerà nascondere un quartiere di Londra; ormai la loro opera è finita, e si apprestano a tornare al nord, alle roccaforti dei resti dell'umanità; ma tre di loro esprimono il desiderio di restare.

Il concetto fondamentale della prima parte del romanzo si può individuare nella cosidetta zona di transito, così definita da Karens: "...Regresso biologico che si manifesta in tutte le forme di vita animale, nei periodi immediatamente precedenti a fondamentali metamorfosi." (pag. 9), e così vissuto da Hardman, un biologo della compagnia: "Insonnia intermittente... confinamento in cabina per periodi che duravano fino a una settimana, si ritirava sempre più nel suo mondo privato..."

Un po' tutti ne sono affetti, con incubi notturni, lenti slittamenti della coscienza in stati più o meno catatonici, o per lo meno di intensa introspezione, uno stato di coscienza per così dire pseudo-onirico: "Talvolta mi sembra di sognare continuamente, ogni minuto del giorno. Forse succede a tutti noi" (Kerens a Bodkin). "Forse avete ragione, tenente.Infatti alcuni sostengono che la coscienza è solo una particolare categoria di coma citoplasmatico, che la capacità del sistema nervoso centrale sono sviluppate e piene durante il sogno come durante quello che chiamiamo stato di veglia" (pag. 28).

Assolutamente fondamentali per comprendere l'opera le ultime pagine del terzo capitolo, in cui Kerans e Bodkin, due che poi rimarranno, parlano dei loro stato di coscienza, tirando in ballo elementi culturali prevalentemente junghiani, arrivando a delineare in questo modo il processo psicologico che li caratterizza: "...ora noi siamo precipitati all'indietro nel passato archetipico e riscopriamo antichi tabù e desideri rimasti addormentati per millenni" (pag. 32).

Prima della fine, col termine del sesto capitolo, della prima parte, il primo vero e proprio accadimento: Hardman, il biologo, fugge verso sud, verso un territorio ancora inospitale; una fuga che trova le proprie ragioni in fattori dell'inconscio collettivo che serpeggiano un po' fra tutti. L'operazione di salvataggio fallisce, e Hardman prosegue la sua strana odissea verso sud.

Riggs, il comandante della spedizione, riparte coi suoi uomini, lasciando Kerans, Beatrice e Bodkin alla laguna.

Una spiegazione scientifica di Bodkin della condizione psicologica in cui si trovano i tre rimasti dopo la partenza della spedizione chiarifica molto l'intera situazione: "I meccanismi di liberazione innati, impressi nel tuo citoplasma milioni di anni fa sono stati risvegliati, il sole in espansione e la temperatura in aumento ti stanno spingendo indietro, lungo i vari livelli spinali, nei mari sepolti, sommersi sotto gli strati infimi del tuo inconscio, nella zona interamente nuova della psiche neuronica. Si tratta di trasposizione lombare, memoria biopsichica totale. Noi ricordiamo veramente queste paludi e queste lagune. Dopo qualche notte i sogni non ti spaventeranno più, nonostante l'apparenza orribile. È per questo che Riggs ha ricevuto ordine di partire." (pag. 57).

Rimasti soli i tre si riuniscono per verificare quali alimenti e carburante sono rimasti loro, ma poi si separano.Incominciano così le loro rispettive odissee neuroniche personali.

La seconda parte, fino al dodicesimo capitolo compreso, ha come protagonista Strangman, che irrompe con i suoi uomini e i suoi alligatori più o meno addomesticati nell'inner space della laguna, nei sogni ancestrali dei tre. Il contatto tra quella ciurma banditesca e i tre scienziati per così dire sprofondati nel tempo archetipico è il clou di questa seconda parte.

Innanzi tutto Strangman così etichetta i complicati processi psichici in atto, quasi a volerli liquidare dalla propria coscienza: "I vostri motivi sono così complessi, dottore... forse non sperate più di comprenderli voi stesso. Li chiameremo sindrome totale della spiaggia e non ne parleremo più.". Per inciso, di questa sindrome della spiaggia sentiremo parlare ancora frequentemente nelle successive opere ballardiane.

Assolutamente centrale la discesa in scafandro di Kerans verso il planetario sommerso. Il cordone dell'aria si spezza, e seguono scene che descrivono la sensazione di Kerans perso sul fondo che mi hanno ricordato il bel film di Ken Russell Stati di allucinazione.

Incidente, suicidio, omicidio?

Kerans sospetta Strangman di sabotaggio, Strangman, da parte sua, propone una seconda soluzione: "È stato lui che ha bloccato il tubo volontariamente... perché lui voleva diventare parte del mondo sommerso... E il ridicolo è che lui non sa se io dico la verità o no."

Strangman propone una sorta di quiz esistenziale: "Ho cercato o no di uccidermi?", una formula di esistenzialismo assoluto, molto più significativo del vecchio "essere o non essere?", che sottolinea soltanto l'incertezza del suicidio piuttosto che l'ambivalenza esterna della vittima." (pag. 85-6).

L'episodio si conclude con una brusca rimozione del fatto da parte di Kerans.

Lentamente i rapporti tra Strangman e i tre degenerano, soprattutto dopo che Strangman ha prosciugato la laguna, facendo tornare alla luce le strade e i palazzi di quel quartiere.

Bodkin muore tentando di far saltare la diga e riaffondare la zona. Kerans e Beatrice tentano la fuga, ma, fermati, subiscono sorti differenti per poi riunirsi dopo un'esperienza terrificante del primo: questi viene legato nel mezzo della piazza centrale dopo essere stato abbondantemente picchiato. Sballottato, picchiato ancora, sopravvive miracolosamente e infine riesce a slegarsi e a riunirsi a Beatrice. Scoperti nuovamente, vengono salvati dal deus ex machina dell'arrivo dei nostri, il ritorno di Riggs e compagnia.

Quindi, nel complesso, una seconda parte che vede il progressivo sfaldarsi dell'atmosfera che si era venuta a creare nella laguna, fino alle esplosioni di violenza su descritte, che assieme ad altri elementi che emergeranno nella terza parte porterà all'apoteosi del finale. Nella terza parte Riggs e i suoi portano ulteriori elementi per così dire destabilizzanti dello stato psichico di Kerans, che in primo luogo si possono identificare con il riinserimento della figura di Strangman in un contesto sociale che lo giustifica, e per il quale anzi egli ha il merito di aver prosciugato la laguna; o meglio, per il quale quella che era risultata un'offesa, un insulto per Karens, Bodkin e Beatrice, diviene un merito, qualcosa per cui essere lodato; l'assassinio di Bodkin è anch'esso giuridicamente giustificato da una legge ben precisa.

A Kerans non rimane che la fuga, non prima di aver portato a termine ciò che Bodkin aveva tentato, ovvero il riallagamento della laguna per mezzo della dinamite. Egli vorrebbe che Beatrice lo seguisse, ma ella rifiuta. L'ultimo capitolo vede Kerans che dopo una peregrinazione fra le acque e le poche terre rimaste trova Hardman, ridotto a uno stato di semi-vita: "L'uomo non era altro che un cadavere resuscitato, senza cibo né abiti, appoggiato all'altare come un cadavere dissepolto dalla tomba e abbandonato ad attendere il giorno del giudizio" (pag. 133). Hardman sparisce, riprende il suo viaggio verso sud. "Kerans aspettò due giorni al rifugio, nel caso Hardman decidesse di tornate, poi si mise in cammino... Dopo pochi giorni si era completamente perduto seguendo le lagune verso sud, in mezzo alla pioggia e al calore crescenti, attaccato da alligatori e da pipistrelli, un secondo Adamo in cerca del paradiso dimenticato del nuovo Sole." (pag. 135-6).

Dunque per Beatrice il ritorno di Riggs e dei suoi ha segnato la fine della sua avventura psichica, mentre per Kerans non ha significato altro che un ulteriore stimolo verso quel viaggio-simbolo, spinto dal pulsare di quel nuovo sole psichico nel suo cervello; la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua pazzia? Certamente si, se si guarda a Kerans nella sua esteriorità, ma, se lo si guarda da un punto di vista simbolico, come è più giusto, direi piuttosto che si è trattato come dicevamo di una ulteriore motivazione a quel viaggio tanto sognato, sulle orme di Hardman, la cui fuga nella sua psiche era venuta ad assumere una pregnanza molto maggiore che non la morte dello stesso Bodkin, benché con questi abbia condiviso esperienze forti.

Concludendo, un gran bel romanzo, in cui si esplica chiaramente il concetto ballardiano di spazio interiore, in cui strutturalmente parlando individuo un tale andamento: nella prima parte abbiamo un gruppo e poi un allontanamento o divisione; nella seconda un'intrusione e conseguente crearsi di una nuova comunità, con tutte le conflittualità che abbiamo visto; nella terza una riunione e poi un allontanamento e una divisione, se non, nell'ultimissimo capitolo, un'altra riunione e un'altra divisione, dei due personaggi che hanno scelto la soluzione più drastica (o folle?), nei quali le conseguenze interiori del cataclisma sono state portate all'estremo.

Da un punto di vista globale dunque Ballard gioca sulle conseguenze determinate dal cataclisma naturale e dalle varie mosse dei personaggi all'interno del quadro da esso determinato, mosse determinate a loro volta sia da pulsioni inconsce che da conseguenze esterne.

Dopo questa lunga ma doverosa dissertazione su quello che possiamo definire come uno dei più interessanti romanzi del Nostro, passiamo ad analizzare alcune opere brevi uscite in quello stesso 1963, iniziando da La spiaggia (The reptile enclosure), dall'antologia Il gigante annegato.

Racconto molto interessante che ha per protagonista una coppia Mildred e Roger Pelham, e la follia, tra cui a un certo punto spicca la figura di una ragazza, oltre alla presenza sfumata e appena accennata di un collega di Roger, certo Sherrington, che apparirà realmente solo nel finale.

Gli eventi della trama si sviluppano su tre livelli che andranno a convergere nel finale.

Primo livello: il rapporto de due coniugi, dal punto di vista di lui; lo scarso apprezzamento del lavoro di Roger alla Facoltà di Fisiologia dell'Istituto dell'Università, una descrizione abbastanza approfondita del carattere di lei, il senso del fallimento che lui prova nei riguardi del suo matrimonio, che si rivela soprattutto quando la figura di quella ragazza viene messa in rilievo: lei spegne la radiolina essendosi incuriosita e interessata a quanto lui stava dicendo, e "Pelham distolse lo sguardo da quello di lei, riluttante ad accettare i sottintesi, amaramente conscio della profonda portata della propria rassegnazione a Mildred, e dall'isolamento ormai inesorabilmente che questa gli creava di fronte a qualsiasi nuova autentica esperienza di vita." (pag. 95).

Secondo livello: a Roger sembra continuamente di intravedere tra la folla la figura di Sherrington, e ne trae spunto per parlare di una teoria sui meccanismi istintivi di liberazione.

Terzo livello: da Cape Kennedy stanno per lanciare un satellite, l'Eco XXII, "...l'ultima maglia della rete mondiale di comunicazioni che avrebbe fornito a ogni metro quadrato della Terra un diretto contatto visivo con l'uno o l'altro dei ventidue satelliti in orbita." (pag. 94).

L'agitazione che Roger sente dentro di sé sembra prendere l'intera folla; ed ecco il primo confluire: "Forse il suggello finale di quell'impenetrabile tettoia aerea aveva spinto ognuno a precipitarsi verso la più vicina spiaggia per compiere un simbolico atto di autoesposizione o un ultimo gesto di resa incondizionata." (pag. 94). Punto centrale per capire l'opera, oltre all'osservazione che, benché il satellite sarebbe passato su di loro, non sarebbe stato visibile; secondo le teorie di Sherrington però, "parte della luce infrarossa, riflessa dal sole, potrebbe essere percepita dall'osservatore." (pag. 95).

Poi accade, lentamente: piccoli gruppi, uno dopo l'altro si alzano e sembrano osservare qualcosa. Poi il grido: "Il satellite!"; Roger alza lo sguardo e "...una miriade di punti luminosi cominciò a danzare attraverso il cielo in uno sfavillio somigliante a tante orbite epilettiche.

Uno di quei punti, però, sbucando apparentemente da ovest, sembrava avanzare dall'orizzonte, spostandosi attraverso il margine del suo campo visivo, puntando confusamente verso di lui." (pag. 98).

Tutti in piedi, tutti che spingono verso l'acqua e Roger che tenta invano di andarsene con la moglie, intuendo quanto sta per accadere: "Sherrington è convinto che... le radiazioni infrarosse riflesse dai satelliti possano creare uno schema capace di sprigionare MIL (meccanismi istintivi di liberazione) latenti in noi da milioni di anni, quando altri veicoli spaziali roteavano intorno alla Terra." (pag. 98). "Poi, con impeto incontenibile, ognuno sulla spiaggia cominciò a camminare verso l'acqua" (pag. 99). Interessante, indubbiamente: quegli, "altri veicoli spaziali" fanno indubbiamente pensare alle testimonianze di visite al nostro pianeta in ere preistoriche (vedi Non è terrestre di Peter Kolosimo e molti altri, anche più seri).

Interessante, oltre all'ipotesi di un risveglio di impressioni ataviche sepolte nell'inconscio ad eventi simili o similarmente allarmanti a livello inconscio, una bella teorizzazione della "sindrome da spiaggia": "...l'atmosfera psicologica della spiaggia secondo me è ancora più interessante. Il bagnasciuga è una zona particolarmente significativa, che appartiene al mare e al tempo stesso ne supera il livello, una zona eternamente immersa nel grande grembo del tempo. Se accettiamo il mare come una immagine del subconscio, ecco che questa forza d'attrazione della spiaggia può essere considerata come un tentativo di fuga dal ruolo esistenziale della vita quotidiana e un ritorno all'universo tempo-mare..." (pag. 94).

Ultimo di quest'anno, L'uomo sublimale (The Sublimal Man), in La zona del disastro.

Un'utopia negativa, un "sistema industriale ipercapitalistico"; l'homo sapiens diviene uomo sublimale, dove sublimale non è inteso nel senso della sublimazione ma in quello della pubblicità sublimale, dalla quale non è possibile difendersi perché viene fatta arrivare direttamente nell'inconscio del consumatore, senza che le difese consce possano intervenire con la loro opera di filtraggio.

Da principio il protagonista non vuol credere che tale tipi di pubblicità esista ancora, ma poi quelle che all'inizio sembravano solo le ossessioni di un beatnik si rivelano reali.

A nulla serve lo svelare l'inganno alle masse: la presa di coscienza non provoca moti di rabbia o di protesta; le masse sono pienamente coscienti di essere unicamente burattini nelle mani del neocapitalismo totale.

Passiamo quindi al 1964, del quale tratteremo unicamente il romanzo Terra bruciata (The Burning World) e un racconto.

Terzo romanzo, è anche la terza parte della tetralogia degli elementi: il fuoco. Suddiviso in tre parti molto ben distinte, ha come struttura portante quella del ricordo, ovvero si sviluppa in modo tale che nella terza riaffiorino mano a mano tutti gli elementi che erano comparsi nella prima, e si erano trasformati in maniera decisamente notevole nella seconda.

Una grandiosa siccità che colpisce la terra è la catastrofe che fa da elemento basilare, e, come ormai ci siamo abituati a capire, sono le conseguenze di questa catastrofe nei mondi interiori gli elementi di maggior rilievo artistico.

Mentre tutti si affrettano a lasciare la cittadina per dirigersi verso il mare, Charles Ransom, il protagonista, tende a restare, trovandosi a vivere in un'atmosfera surreale, in cui i punti di riferimento sono Philip Jordan, "figlio adottivo del fiume", Chaterine Austen, figlia del precedente direttore dello zoo, che viveva sola in una casa presso il fiume, Quilter, il "figlio deficiente della vecchia che viveva sulla chiatta", il reverendo Howard Johnstone, Richard Foster Lomax e sua figlia Miranda, possessori di un'enorme quantità d'acqua, e la comunità dei pescatori, misteriosi, compatti, misterici.

Senza stare a narrare i fatti, annotiamo che nell'insieme dei primi capitoli si viene a creare un quadro in cui cominciano ad affiorare quei segni di mutamento che, alla fine, porteranno i personaggi a vivere in un mondo decisamente lontanissimo da quello di una tranquilla cittadina di provincia, un mondo di suggestione, di sentimenti violenti, di sovvertimento delle normali regole di convivenza.

Per giungere a ciò, però, ci deve essere prima un allontanamento e una successiva riunione. Ransom intraprende un viaggio insieme a Catherine, Philip e suo padre, e la vecchia Quilter, fino al mare, dove scoppiano disordini per la mancanza d'acqua.

Segue la parte centrale del romanzo, dove viene descritta la vita strenua dei sopravvissuti riuniti in una comunità autosufficiente da ogni punto di vista. È questa l'unica parte del romanzo in cui non si faccia riferimento a situazioni di violenza e di esistenza troppo diverse dalla norma.

Poi, nella terza parte, il gruppo fa ritorno a Larchmont; il motivo di questo ritorno è il fattore basilare. "Dapprima Ranson aveva creduto di voler tornare anche lui al passato... per ricollegarsi ai fili erosi della sua precedente esistenza, ma adesso sentiva che la bianca distesa del fiume li portava tutti nella direzione opposta, per inserirli in zone del futuro dove i problemi irrisolti del passato sarebbero apparsi levigati e smussati, indeboliti dal tempo come immagini in uno specchio appannato." (pag. 134).

L'isolamento di Richard Lomax, il miliardario folle diventato un androgino e detestato dalla sua stessa figlia, le tensioni fra lui e gli altri, soprattutto sulla proprietà dell'acqua, si scatenano verso la fine sotto forma di un gesto vandalico del primo, che distrugge e spreca inutilmente la riserva del prezioso elemento, con conseguente suo assassinio da parte del camionista Whitman.

Il quindicesimo capitolo può ricordare il bellissimo Tre donne di Altman, con un'atmosfera di immobilità, di paranoia stagnante in cui sembra, appunto, che le acque siano completamente immobili, che tutto sia perfettamente secco e asettico: "Il mondo senza tempo in cui Quilter viveva, adesso, era anche il suo universo, e soltanto il muoversi e il lento mutare dell'ombra che il tetto rotto proiettava davanti a lui gli ricordava la traiettoria del sole." (pag. 166).

La signora Quilter muore, Philip Jordan va a cercare suo padre; fino al culmine in cui l'autore giunge alfine a completare il suo mosaico, giunge nel luogo segreto, al termine del suo cammino verso lo spazio interno: "Con sorpresa, Ranson si accorse che la sua ombra non si allungava più sulla sabbia, come se, dopo tante peripezie, il suo viaggio si fosse concluso e lui fosse finalmente arrivato in quel paese interiore che aveva custodito in sè per tanti anni. La luce diminuiva e tutto si oscurava. La polvere si era fatta opaca, e i cristalli della superfice apparivano morti e appannati. Un immenso manto crepuscolare si allargava sulle dune, quasi che tutto il mondo esterno avesse cessato di esistere. Solo più tardi Ransom si accorse che era iniziato a piovere." (pag. 168).

"La cosa migliore che abbia mai scritto Ballard", come dice Cammarota (op. cit.), rivela una grande capacità di scrivere in modo scorrevole, e una maestria direi tuttora insuperata per lo meno nel nostro campo nel descrivere situazioni di connotazione decisamente surreale, di trasformazione di un ambiente dalla normalità alla surrealtà per mezzo di elementi credibili e verificabili.

Passiamo ora all'unico racconto di questo 1963 di cui tratteremo, ovvero di Terminal (The Terminal Beach), pubblicato nell'antologia Il gigante annegato.

Traven, ex pilota cui sono morti moglie e figlio in un incidente d'auto, giunge a Eniwetok, isolotto servito per esperimenti nucleari nel 1948. Cosa ci è andato a fare? A una domanda a tale riguardo rivoltagli da dei biologi in missione sull'isola così risponde: "Cerco mia moglie e mio figlio." (pag. 126).

Non ci è dato di sapere di più sulle motivazioni reali di quel viaggio e di quel soggiorno: inconsciamente egli cerca la morte, le infinite precognizioni di morte che quel luogo gli offre, la libertà di morire affollato dai propri sogni psicopatici: "Per me, la bomba a idrogeno era il simbolo di assoluta libertà. Sento che mi ha dato il diritto, anzi l'obbligo, di fare tutto quello che voglio." (pag. 126).

Nel mezzo dei suoi sogni, afflitto dal beriberi e dalla denutrizione, Traven vede i fantasmi di sua moglie e di suo figlio, li segue, cerca di comunicare con essi.

Alla fine la spedizione biologica se ne va, avvertendolo nell'imminente arrivo di una squadra di ricerca della marina militare, e consigliatogli di nascondersi: consiglio all'apparenza strano e fuori luogo, venendo da persone sane di mente, ma che nel contesto risulta saggio, nel senso che la biologa che glielo da sembra averlo capito, compreso, assecondando uno dei suoi giochi, ovvero applicando al juke-box le diciture cromosomiche, mentre precedentemente Traven aveva fatto l'opposto, ovvero aveva applicato ai disegni cromosomici i titoli delle canzoni del juke-box.

Il finale è l'estrema spiaggia della sua follia, il dialogo con un giapponese morto, anch'egli turista di quell'isola di morte: "Non credo che (Traven) sia il primo e neppure che sarà l'ultimo a visitare l'isola." (pag. 124), scriveva infatti il dott. Osborne, capo della spedizione biologica, nel suo diario. Quel dialogo sembra una piece teatrale, del teatro dell'assurdo, in cui chiaramente i pensieri dei due non sono ben distinti, ma quasi si fondono tra loro, rivelando chiaramente la loro natura di fantasie esistenti unicamente nella mente ormai allo stremo del protagonista.


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