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La sidone nello specchio (1ª parte)


di Connie Willis


Siamo quasi alla discesa a spirale. Non posso vedere le luci d'attracco e non ci sono indicatori su Paylay, ma ricordo come apparivano da qui le luci del santuario di Jewell: una fila sottile e spezzettata di lucette dell'albero di Natale, rosse e verdi e d'oro. Più vicino si può vedere la linea rossa sotto le costruzioni, e puoi pensare di scorgere il calore di Paylay, ma è solo il riflesso delle luci sul terreno e la metalcarta che sta sotto i fianchi della costruzione di Jewell e della casa da gioco.

"Non vedi il caldo," aveva detto Jewell mentre tomavamo dalla discesa "ma lo senti. Le tue scarpe sono a posto?"

Le mie scarpe andavano bene, ma erano sgraziate a camminarci. Ci sarei caduto sopra a casa, ma qui la gravità più pesante quasi le attaccava al terreno. Avevano suole in plastica di oltre quindici centimetri ricoperte da un materiale in lattice fragile a vedersi come la torre di atterraggio, ma erano più solide di quanto apparissero e non lasciavano passare calore. Non sentivo proprio niente e a metà della strada verso la casa di Jewell mi ero inginocchiato per sentire il terreno fuligginoso. Si provava un certo senso di calore ma non così forte come avevo pensato che sarebbe stato camminare su una stella.

"Lasciaci la mano un minuto," aveva detto Jewell. Lo avevo fatto e poi ero schizzato con la mano tutta annerita verso la bocca.

"Diventa subito calda, ih", aveva detto. "Un drenatore giovane cadde qua attorno e venne fuori senza scarpe addosso e morì nel giro di un'ora per un colpo di calore. Per questo hi pjnsato che fosse meglio vjnirti a ricevere su Paylay. È chiamata così questa stella che stanno drenando.

Pjnsi di poter raccogliere il mineralj che sta per terra, ma non è possibilj. Devi trapanare un drenaggio e costruirci un comprjssore attorno e prjgare Dio che non jsploda mentre lo fai."

Quello che non disse, con quello squittio acuto che tutti e due avevamo al posto della voce per via dell'elio nell'aria, era che mi aveva aspettato per oltre due ore nella torre di segnalazione in plastica della discesa e che il fondo dei piedi le friggeva nelle scarpe torreggianti. La plastica non è proprio un buon isolatore. Delle costole in metallo scoperto avrebbero funzionato molto meglio a dissipare il calore che fuoriesce dalla crosta sottile di Paylay, ma qui non si possono permettere niente più metallo di quanto sia assolutamente necessario, non con tutto l'idrogeno e l'ossigeno pronti ad esplodere alla minima scintilla.

Il pilota della discesa avrebbe dovuto togliermi qualsiasi potenziale accendino o qualsiasi metallo che portavo prima di permettermi di uscire dalla spirale di discesa, ma Jewell lo aveva interrotto prima che potesse chiedermi cosa portavo. "Mettici un doppio drenaggio, eh?" aveva detto. "Vorrei tornarj prima chj inizi il prossimo turno, Avevate un'ora di ritardo."

"Mi spiace, Jewell," aveva risposto il pilota. "Abbiamo toccato il trenta per cento a un'altezza d'un chilometro e abbiamo dovuto metterci in Fermat." Era tomato a guardare il pezzo di carta in mano. "I seguenti articoli sono ritenuti di contrabbando. Il possesso illegale può portare all'espulsione da Paylay. Ne avete qualcuno? Accendini sonici, elettromagneti, fiammiferi..."

Jewell aveva fatto un passo in avanti e appoggiato il piede come se temesse che la terra cedesse.

"J' naturale che non ce l'ha. È un suonatore di piano."

Il pilota aveva detto sorridendo: "Okay, Jewell, prendilo" e lei aveva afferrato il mio armamentario e ci eravamo incamminati verso St. Pierre. Mi aveva chiesto di mio zio raccontandomi del suo santuario e delle ragazze e di come aveva dato loro nomi di servizio di gioielli per via del suo nome. Mi disse come Taber, che gestiva la casa da gioco accanto al suo santuario, aveva battezzato St. Pierre la piccola fila di costruzioni che potevamo vedere in distanza con il nome del santo patrono dei drenatori, e per tutto il tempo la pianta dei piedi le friggeva come carne al fuoco e non ne fece mai parola.

Non potevo vederla bene. Portava una lanterna di nebulosa chimica legata alla fronte e ne aveva portata una anche per me, ma non faceva molta luce e il suo viso era in ombra. Mio zio mi aveva detto che aveva una grossa cicatrice che le correva per tutta la lunghezza del viso fin sotto il mento, diceva che se l'era procurata in uno scontro con una sidone.

"Era quasi arrivata alla giugulare," aveva detto mio zio.

"Ci sarebbe arrivata se non l'avessero tirata via. Ferì anche molti drenatori."

"Ma che ci faceva mai con una sidone?" Avevo chiesto.

Non ne avevo mai vista una ma ne avevo sentito parlare, stupendi animali rosso sangue con una pelliccia abbondante e soffice e artigli come rasoi, animali che potevano sembrare addomesticati anche per un anno e poi esplodere violentemente senza preavviso. "Non si possono addomesticare."

"Jewell pensava di poterlo fare," disse mio zio. "Un drenatore la riportò da Solfatara in una gabbia. Qualcuno la liberò e scappò. Jewell si sedette a terra e se la tenne sulle gambe finché non arrivò qualcuno in aiuto. Insistette a riportarsela nel santuario per tenerla come un animale domestico. Non volle credere che non sarebbe riuscita ad addomesticarla."

"Ma una sidone non può fare nulla contro quello che è" dissi, "È come noi, neppure si accorge che lo sta facendo!"

Mio zio non disse niente, e dopo un momento dissi: "Pensa di poter addomesticare anche noi. È per questo che vuole prendermi, non è cosi? Sapevo che ci sarebbe potuta essere una ragione per volermi prendere quando non ci è permesso di stare su Solfatara. "Pensa che può impedirmi di copiare."

Mio zio non rispose di nuovo e lo presi come un assenso.

Non aveva risposto a nessuna delle mie domande. Mi aveva detto di punto in bianco che sarei andato, anche se nessuno aveva lasciato il pianeta dopo il divieto, e quando gli avevo fatto qualche domanda aveva risposto con frasi che non rispondevano a niente.

"Perché devo andare?" avevo chiesto. Avevo paura di andare, paura di ciò che sarebbe potuto accadere.

"Voglio che tu copi Jewell. È una persona gentile, una persona buona. Puoi imparare moltissimo da lei."

"Perché non viene qui? Kovich è venuto."

"Dirige un santuario su Paylay. Non ci sono più di venticinque persone tra drenatori e ragazze per tutta la stella. È completamente sicuro."

"E se ci fosse qualcuno cattivo là? Che succederebbe se copiassi lui e uccidessi qualcuno, come è successo su Solfatara? Che succederebbe se dovesse accadere qualcosa di brutto?"

"Jewell dirige un santuario pulito. Niente perversi ne drogati, e, le ragazze sono tutte di buone maniere. Non assomiglia per niente alle case di piacere. In quanto a Paylay, non devi preoccuparti che sia una stella: è all'ultima fase di spegnimento. Ha una crosta di circa duemila piedi che vuol dire che non ci sono più quasi per niente radiazioni.

Ci si può camminare sopra senza nessun tipo di indumento protettivo. Ci sono delle radiazioni dai drenaggi dell'idrogeno, naturalmente, ma tu non ti ci avvicinerai mai."

Mi aveva rassicurato su tutto tranne che su quello che era importante. Ora, affannandomi dietro a Jewell attraverso il carbone polverizzato di Paylay, era informato su tutti i pericoli tranne che sul peggiore: me stesso.

Non potevo vedere niente che assomigliasse a un drenaggio. "Dove sono." avevo chiesto e Jewell aveva indicato indietro, verso il punto da dove venivamo.

"Il più lontano chj si può da St. Pierre, e l'uno dall'altro, cosicchj qualchj matto d’un triplo drenatore non possa ammazzarj tutti quanti quando jsplode… La prima sidone è da quella parte, a circa dieci chilometri."

"Sidone?" avevo chiesto, impaurito. Mio zio mi aveva detto che i drenatori avevano uccisa la sidone e ne avevano fatto un tappeto dopo che aveva quasi ammazzato Jewell.

Si era messa a ridere. "È così che chiamano i drenaggi. Perché ti esplodono addosso e tu non sai nemmeno cosa t'ha colpito. Li rjndono sicuri al massimo, ma l'equipaggiamento di comprjssione è in metallo e metallo significa scintille. Ogni tanto tutto il cijlo lassù s’accjnde come a Natalj. Abbiamo messo St. Pierre il più lontano possibile e non c'j un pezzetto di metallo per tutta la zona, ma ci sono un po' dappjrtutto fughe di idrogeno. E l'elio. Non sembriamo una coppia di scjmi a starci a squittire in questo modo?

Aveva sorriso di nuovo e avevo notato che mentre eravamo stati là a guardare l'orizzonte nero, i miei piedi avevano cominciato a diventare scomodamente caldi.

Era una lunga camminata dall'oscurità alla striscia di luci e per tutta la strada avevo osservato Jewell e mi ero chiesto se avevo già iniziato a odiarla. Non lo avrei saputo, naturalmente. Non mi ero accorto neppure che avevo copiato mio zio. Un giorno mi aveva chiesto di suonare una canzone e io m'ero seduto al piano e l'avevo suonata. "Da quanto tempo sei capace di farlo?" E io non LO sapevo. Solo dopo aver fatto la copia lo avrei saputo e poi solo se qualcuno me l'avesse detto, mentre mi affannavo nell'oscurità dietro a Jewell provavo, provavo a copiarla.

C’impiegammo quasi un'ora per arrivare in città e quando ci arrivammo scoprii che non era per niente una città. Quella che Jewell aveva chiamato St. Pierre era solo due alti palazzi coperti in metalcarta arroccati su un'ossatura di plastica alta quasi due metri e un ammasso di pali da tenda. Nessuno dei due palazzi aveva un'insegna sopra la porta, solo strisce di luci di nebulchimica multicolore appese lungo le tettoie. Erano piuttosto luminose e si riflettevano sulla metalcarta facendo anche più luce ma Jewell si tolse la lanterna che era assicurata alla fronte e la tenne vicino alle scale in legno traforato, quasi che non potessi salire fino al portone principale sopra di noi senza di essa.

"Pjrché cammini così?" chiese, quando arrivammo in cima alle scale, e per la prima volta riuscii a vederle la ferita.

Sembrava quasi nera nella luce colorata della lanterna e dei nebuli e era molto più larga di quanto avessi pensato; una scanalatura di pelle scura raggrinzita lungo tutto un lato del viso.

"Camminare come?" Chiesi, e guardai i miei piedi.

"Come se non potessi sopportare di avere i piedi a terra. Mi sono scaldata io i piedi troppo alla discesa. Tu no. Non camminarj cosi.

"Mi spiace," dissi. "Non lo farò più."

Mi sorrise e la ferita svanì un po' "Ora vijni dentro ad incontrare le ragazze. Non farj caso se dicono qualche cosa su come sei. Non hanno mai visto uno specchio in prjcjdenza, ma sono brave ragazze." Aprì la porta spessa. Era in metalcarta rinforzato da un foglio erto di isolante. "Ci togliamo qua fuori le scarpe interne e nel santuario portiamo le pattine."

Era molto più fresco dentro. C'era un ventilatore di plastica a scatto termico posto sul soffitto e circondato da nebulchimiche colorate di rosa. Ci trovavamo in un'anticamera con una rastrelliera per le scarpe alte e le lanterne.

Pendevano dalle cinture.

Jewell si sedette su una sedia e cominciò a slacciarsi le scarpe ingombranti. "Non andarj mai fuori senza scarpe e senza lanterna" disse. Fece un gesto verso la rastrelliera.

"Quelle piccole con gli scuri in carta-soia sono per la città. Durano quasi pjr un'ora. Se esci per andare ai drenaggi o alla spirale di discesa, prendi con te una di qujlle grosse."

Appariva diversa nella luce rosata, la cicatrice non si vedeva quasi per niente. Anche la sua voce era diversa, più profonda. Sembrava più vecchia di quanto fosse sembrata alla discesa. Guardai in giro all'aria.

"Ci immettono azoto e ossigeno da un drenaggio dietro casa" disse. Ai drenatori non piaceva avere le vocette che squittivano a causa dell'elio quando erano con le ragazze.

"Non ti libjri dell'elio e nemmeno dell'idrogeno. Spuntano dappertutto. Al massimo li puoi diluire. Dovresti essere grato di non essere stato qui all'inizio, prima che drenassero l'atmosfera. Allora dovjvi portare le tute." Si sfilò la scarpa.

La pianta del piede era un ammasso di vesciche. Iniziò ad alzarsi, ma poi si risedette.

"Chiama subito Carnie," disse. "Dillj di portare delle bendj".

Appesi le scarpe da esterno alla rastrelliera e aprii la porta interna. Chiudeva perfettamente anche se si apriva con un piccolo tocco. Era fatta con lo stesso isolante della porta esterna. Dava su una stanza di rappresentanza, tutta tende e tappeti di pelliccia e nebuli appesi che gettavano piccole pozze di luce colorata di verde di rosa e d' oro. Il piano stava appoggiato a un muro sopra un tavolo di plastica intagliato. Non riuscivo a vedere nessuno nella stanza e a causa del rumore dei diffusori non potevo sentire nessuna voce. Passai sopra un tappeto di pelliccia rosso fuoco verso un'altra stanza, piena di tende.

"Jewell?" fece una voce di donna. I diffusori si spensero e lei disse: "Jewell?" di nuovo e vidi che l'avevo quasi superata. Sedeva in una poltrona di velluto bianco in una piccola ansa che sarebbe stata una finestra se questo non fosse stato Paylay. Portava un vestito bianco di carta in seta con una lunga gonna. I capelli raccolti sopra la testa e una collana di perle intorno al lungo collo. Sedeva in modo così tranquillo con le mani sul grembo e la testa leggermente spostata verso di me, che non l'avevo neppure vista.

"Sei Garnie?" chiesi.

"No," disse e non guardò verso di me. "Che c’è?"

"Jewell s'è scottata i piedi," dissi. "Ha bisogno di bende. Sono il nuovo suonatore di piano."

"Lo so," disse la ragazza. Alzò un po' la testa in direzione della scala e chiamò: "Carnie. Prendi la cassetta dei medicinali."

Una ragazza corse giù per le scale vestita di rosso arancio e senza scarpe. "Per chi è? Per Jewell?" chiese alla ragazza vestita di bianco. Quando lei annuì, Carnie corse via verso l'altra stanza. Sentì il suono sordo di una porta isolata che s'apriva. La ragazza non aveva fatto nessuna mossa di andare a vedere Jewell. Sedeva perfettamente immobile nella poltrona bianca, le mani poggiate tranquillamente sul grembo.

"I piedi di Jewell stanno piuttosto male," dissi. "Non puoi almeno venirli a vedere?"

"No," disse e si volse verso di me. "Mi chiamo Perla," disse. "Avevo un amico una volta che suonava le tastiere."

Anche allora non avrei capito che era cieca ma me lo aveva detto mio zio. "La maggior parte delle ragazze sono dei nuovi arrivi che Jewell assume per Paylay proprio appena scendono dalle navi, prima che le case di piacere le possano rovinare," aveva detto mio zio. "Aveva portato solo una coppia di ragazze con sé da Solfatara, ragazze che lavoravano con lei nella casa di piacere da cui se n'era andata. Carnie e credo Zaffiro e Perla, quella cieca."

"Cieca?" avevo detto. Solfatara è un bel po' fuori mano, ma ogni posto ha i dottori.

"Le ha tagliato… era stato danneggiato il nervo ottico.

Fecero degli impianti orbitali e riattaccarono tutti i muscoli ma fu solo un restauro cosmetico. Non può vedere niente."

Anche dopo tutte le storie orribili che avevo sentito su Solfatara, era rimasto scioccato nel pensare che qualcuno potesse fare qualcosa del genere. Mi ricordo che pensai che l'uomo doveva essere stato incredibilmente crudele per fare una cosa del genere, che sarebbe stato più umano ucciderla sul colpo piuttosto che lasciarla indifesa e menomata a quel modo in un posto come Solfatara.

"Chi glielo ha fatto?" chiesi.

"Un drenatore," disse, e per un minuto apparve proprio uguale a Kovich, era così uguale che chiesi: "È stata la stessa persona che ha spezzato le mani di Kovich?"

"Si," disse mio zio.

"Lo hanno ucciso?" chiesi, ma non era questa la domanda che avevo intenzione di fare. Volevo chiedere se Kovich lo aveva ucciso, ma avevo detto "lo hanno".

E mio zio, non assomigliando più a Kovich, aveva detto:

"Si, lo hanno ucciso," come se quella, dopotutto, fosse la domanda giusta.

Gli impianti orbitali e la ricongiunzione dei muscoli erano stati proprio buoni. I suoi occhi erano d'un grigio pallido bellissimo e qualcuno le aveva insegnato a seguire le voci.

Non c'era proprio niente nell'angolazione della testa o degli occhi o delle mani tranquille a dirmi che era cieca o a farmela compatire, e standomene la a guardare verso di lei ero contento, contento che lo avessero ucciso. Speravo che gli avessero tolto gli occhi, prima.

Carnie ci sfrecciò vicino con la cassetta del pronto soccorso e disse, ancora guardando verso Perla: "Vado a vedere se posso aiutarla." Ritornai fuori, nel vestibolo, e guardai mentre Carnie passava un certo tipo d'olio sui piedi di Jewell e poi un tampone di similrete e glieli fasciava.

"Questa è Carnelian," disse Jewell. "Carnie, questo è il nostro nuovo suonatore di piano."

Mi sorrise. Sembrava molto giovane. Doveva essere solo una bambina quando lavorava nella casa di piacere su Solfatara con Jewell.

"Immagino che faccia cose proprio piacevoli con quelle mani," disse e sghignazzò.

"Non lo portare in giro," disse Jewell. "È qui per suonare il piano."

"Intendevo dire sul piano. Non sjmbri proprio come un vero specchio. Cioè, vergognoso e tutto il rjsto. Chi copierai?"

"Non copierà njssuno," disse Jewell dura. "Suonerà il piano e questo è tutto. Il pranzo j' pronto?"

"No. Ero proprio njlla cucina e Sapphire non era njppure là. " Tornò a scrutarmi. "Quando copi qualcuno, sembri come lui?"

"No," dissi. "Stai parlando di un camaleonte."

"Non stai parlando di niente," le disse Jewell e si alzò.

Cedette un po' appena poggiò il peso sui piedi. "Vai a farti dare un paio di pattine da Garnet. Non potrò mjttermi lj mie.

E vai a dirj a Sapphire di darsi a doppio drenaggio in cucina."

Lasciò che l'aiutassi fino alle scale ma non di più.

"Quando torna Carnie djvi farti mostrare le camere. Lavoriamo di otto in otto qui, ed è quasi ora del doppio turno. Puoi far pratica finj all'ora di pranzo se vuoi."

Salì due scalini e si fermò. "Se Carnie ti fa altre stupidj domande, dille di lasciarti starj. Non voglio sentirj più sciocchezze sul copiare e sugli specchi. Tu stai qui per suonare il piano."

Riprese a salire le scale e io tornai nella stanza della musica. Perla era ancora là, seduta sulla poltrona bianca e non so se era compresa nelle istruzioni di lasciarmi solo così mi sedetti sulla sedia di legno duro e guardai il piano.

Aveva la tastiera e i ponticelli di legno, ma le stringhe erano di plastica invece che di metallo. Provai alcune note e sembrava che avesse un buon suono nonostante le stringhe. Feci alcune scale e altre note e guardai i nomi sugli spartiti che stavano sul leggio. Non so leggere la musica, naturalmente, ma vidi dai titoli che conoscevo quasi tutte le canzoni.

"Non sono cavolate, vero?" disse perla. "Riguardo al copiare." Parlava lentamente e senza l'accento spezzato che avevano Jewell e Carnie.

Mi girai sulla sedia volgendomi verso di lei. "No," dissi.

"Gli specchi devono copiare. Non possono controllarsi. Non sanno neppure chi stanno copiando. Jewell non mi crede. E tu?"

"La cosa peggiore di essere cieca non sta nelle cose che ti vengono fatte," disse e si rivolse verso di me di nuovo con i suoi occhi ciechi. "È che non sai chi è che te le sta facendo."

Carnie entrò dalla porta con le tende. "Oh, Perla, se potjssi vederlo! Ha otto dita per mano ed è proprio alto. Quasi fino al soffitto. E la pelle di un rosso vivo."

"Come quella di una sidone," disse Perla, guardando verso di me.

Carnie guardò giù al tappeto rosso sangue sopra a cui stava. "Quasi idjntico," disse e mi tiro su per le scale per mostrarmi la camera e i vestiti che dovevo indossare e per farmi vedere alle altre ragazze. Erano già vestite per il cambio turno in abiti di setacarta lunghi che si abbinavano ai nomi. Garnet portava dei nebulchimici rosa-rossi nei capelli tirati, Emerald un collare illuminato in modo laborioso.

Carnie si vestì di fronte a me, liberandosi della sua roba e mettendosi il vestito rosso arancio come se io non stessi a guardare. Mi chiese di aggiustarle le bretelle di arancio lampeggiante, alzando i suoi ricci rossi così da poter legarle le stringhe dei nebulchimici dietro le spalle. Non potevo decidere, allora, se stesse tentando di sedurmi o far sì che la copiassi o semplicemente di convincermi che era la ragazza ingenua che pretendeva di essere.

Pensai comunque che qualunque cosa stesse tentando, aveva fallito. era riuscita solo a convincermi di ciò che mio zio mi aveva già detto. Nonostante la sua giovinezza, la sua aria fatua, potevo ben dire che era stata su Solfatara, che l'avevo conosciuta fino in fondo, i perversi, i drogati, tutto il peggio che le case di piacere potessero offrire. Penso ora che non volesse indicare niente, tranne che desiderava essere crudele, che stava semplicemente pungolandomi come se fossi un animale in gabbia.

Durante il pranzo, vedendo Sapphire porre per lei il piatto di Perla tra i segni disegnati, mi chiesi se Carnie fosse sempre crudele con Perla come lo era stata con me, spostandole leggermente il piatto mentre lo metteva giù o spostandole la sedia così che non avrebbe potuto trovarla.

Sapphire poggiò il resto dei piatti sul tavolo, gli occhi blu scuriti da qualche vecchia amarezza e pensai che Jewell non avrebbe dovuto condurre nessuna di loro con lei da Solfatara, tranne Perla. Perla è l'unica che non è stata rovinata. la sua cecità l’ha mantenuta integra, pensai. Era stata protetta da tutti gli orrori perché non poteva vederli.

Forse la sua cecità la proteggeva anche da Carnie, pensai.

Forse questo è il segreto, che lei è salva all'interno della sua cecità e nessuno può farle del male, e Jewell questo lo sa.

Non pensai allora all'uomo che l'aveva accecata e come non era stata per nulla in salvo da lui.

Jewell fece calmare la tavola: 'Voglio che diate il bjnvenuto al nostro nuovo pianista," disse. Si allungò sul tavolo e battè affettuosamente le mani di Carnie. "Grazie per aver fatto le presentazioni e per avermi fasciato il piede," disse e pensai che Perla dopo tutto era salva. Jewell aveva addomesticato Carnie e tutte le altre. Non pensai alla sidone che aveva addomesticato e che ora giaceva sul pavimento di fronte alla porta della stanza delle carte.


Quel primo turno Jewell mi decorò con vestiti da lavoro e un collare da cane rosso e nero e mi face stare sulla porta con lei mentre salutava i drenatori. Erano vestiti in modo formale anche loro, sotto le giacche da lavoro annerite di fuliggine. Appesero le giacche piene di tasche e pesanti di attrezzi sulle rastrelliere all'ingresso insieme alle lanterne e si misero a sedere per togliersi le scarpe alte con le mani rosse ormai quasi come le mie. I visi apparivano accaldati e scarniti e tutti avevano una larga banda pallida attraverso la fronte per via della cinghia della lanterna. Uno di loro, che Jewell aveva chiamato Scorch, si era bruciato le sopracciglia e una lunga striscia di capelli in cima alla testa.

"Incontrerai quasi tutti i drenatori questo turno. La casa da gioco chiudjra verso la metà e il risto di loro verrà qui. Taber ad io abbiamo alternato i turni cosicchj' qualcosa è sempre aperto."

Non mi presentò, anche se alcuni drenatori guardarono le mie mani con otto dita con curiosità e uno degli uomini apparve sorpreso e poi arrabbiato. Sembrava che stesse per dirmi qualcosa, ma poi cambiò idea, col viso che si faceva più rosso e più scuro finché la linea della lanterna non risaltò come una cicatrice.

Allorché furono tutti dentro la stanza della musica, Jewell mi condusse al piano e mi face sedere e allungare le mani sulla tastiera, pronte per suonare. Allora disse: "Questo è il mio nuovo pianista. Ditjgli ciao."

"Come si chiama, Jewell?" disse uno degli uomini. "Gli darai un nomj adatto alle ragazze?"

"Non è che ci ho pjnsato," disse. "Che ne dici?"

Il drenatore che era diventato tanto rosso disse a voce alta: "Penso che dovrjsti chiamarlo sidone e con un calcio mandarlo a bruciare su Paylay. È uno Specchio."

"Ho già una Carnelian e una Gamet E una volta ho avuto una sidone. Penso di chiamarlo Ruby." Guardò con calma in faccia l'uomo che aveva parlato. "Va bene per te, Jjak?".

Il suo viso era di un rosso scuro come il mio. "Non volevo dire che fosse una cosa sconveniente, Jewell," disse. "Farai ciò che hai fatto con la sidone, ti terrai qualchj cosa che ti si rivolterà contro. Non ce li fanno nemmeno starj gli Specchi su Solfatara."

"Penso che probabilmente sia una buona raccomandazionj considerato quello che fanno starj su Solfatara," disse Jewell con calma. "Biscazzieri della droga, ruba drenaggi, perversi..."

"Tu l'hai visto quello specchio uccidjrj il drenatore. Avvjnne proprio là, di frontj a tutti quanti j nessuno ho potuto fjrmarlo.

Nessuno. Il drenatore che chijdeva pietà, le mani giunte davanti a lui a qujllo Specchio che gli si avvicinava con un rasoio da droga, sorridendo mentre lo faceva".

"Si," disse Jewell. "L'ho visto. Ho visto molte cose su Solfatara. Ma questo è Paylay. E questo è il nostro pianista Ruby. Non pjnso che un uomo debba essere bandito fino a quando non fa qualchj cosa, non j' così, Jjak?" Poggiò una mano sulle mie spalle. "Conosci Back Home?" disse.

Naturalmente la conoscevo. Conoscevo tutte le canzoni dei drenatori. Kovich aveva suonato in tutte le case di piacere su Solfatara prima cha qualcuno gli spezzasse le mani. Aveva definito 'Back Home' il suo cavallo di battaglia.

"Suonala, dunquj," disse. "Fagli vederj quello che puoi fare, Ruby." La suonai con un sacco di variazioni all'ottava superiore, tutta le cose alla moda che Kovich poteva fare con cinque dita invece di otto. Poi mi fermai ad attendere. I diffusori d'azoto si spensero e anche i ventilatori non fecero più rumore. Durante la canzone Jewell era andata a mettersi accanto a Jack, poggiando le mani sulle sue spalle, cercando di ammansirlo. Mi chiedevo se aveva avuto successo.

Jack guardò verso di me e poi verso Jewell e poi di nuovo verso di me. Le mani andarono alla sua giacca da lavoro e il cuore quasi mi si fermò prima che la tirasse di nuovo fuori.

"Jewell ha ragione, " disse. Non djvi giudicare un uomo finché non vedi quello che fa. J' stata una bella suonata, " disse porgendomi un sigaro incartato nella plastica.

"Bjnvenuto a Paylay."

Jewell mi fece un cenno d'assenso e stesi la mane per prendere il sigaro. Mi ci volle un po' a togliere la plastica e poi dovetti scrutare il sigaro per un minuto per essere sicuro di mettere la parte giusta in bocca. Lo infilai in bocca e cercai il mio accendino nella giacca. Non sapevo cosa sarebbe potuto succedere allorché avrei acceso il sigaro. Per tutto quello che avevo capito su ciò che stava succedendo, il sigaro poteva essere pieno di polvera da sparo. Jewell non appariva preoccupata ma, comunque, aveva giudicato male anche la sidone.

La mano si chiuse sull'accendino della giacca, i diffusori d'azoto si accesero all'improvviso e Jack disse pigramente:

"Ora con chj cosa lo accenderai, Ruby? Non c'è nemmeno un fiammifero su Paylay!"

Jewell rise e gli uomini sghignazzarono rumorosamente. Estrassi dalla giacca la mano vuota quasi con un senso di colpa e tolsi il sigaro dalla bocca per guardarlo. "Avevo dimenticato che non si può fumare su Paylay," disse.

"Tu insijme a ogni altro drenatore che arriva dalla discjsa," disse Jewell. "A quanti nuovi arrivati ho visto Jjck fare quello scherzo?"

"Ad ogni altra persona," disse Jack che appariva soddisfatto di sé stesso. "Ha funzionato perfino su di te, Jewell, e tu non eri una nuova venuta."

"Non è vero, bugiardo di un drenatore a triplo drenaggio," disse. Ma ascoltiamo qualchj cos'altro, Ruby," disse.

"Chj cosa volete cha suoni Ruby, ragazzi?"

Scorch urlò una canzone e io la suonai, e poi un'altra, ma io non sapevo che cosa erano. Era stato uno scherzo, offrire ad un nuovo arrivato un sigaro e poi guardare che provava ad accenderlo su di una stella, dove nessuna fiamma libera era permessa. Un bello scherzo, e Jack lo aveva fatto nonostante ciò che aveva visto su Solfatara per far vedere a Jewell che non pensava che fossi una sidone, che avrebbe aspettato di vedere ciò cha avrei fatto prima di giudicarmi.

E questo potrebbe essere stato troppo tardi. "Che cosa sarebbe potuto accadere se avessi acceso il sigaro? Sarebbe saltata in aria la casa in una palla di fuoco, oppure tutto St. Pierre? La miscela di idrogeno-ossigeno era stata abbastanza alta nell'atmosfera esterna che avevamo dovuto spegnere i motori oltre un chilometro prima e scendere a spirale, e qui i diffusori stavano pompando ancora più ossigeno. Mezzo Paylay avrebbe potuto saltare.

Sapevo come era successo. Jewell aveva interrotto il pilota prima che potesse fare domande sugli accendini ed ora, perché le si erano rovinati i piedi, c'era un accendino funzionante nella sua casa. E lei aveva appena convinto Jack che non ero pericoloso.

Avevo smesso di suonare, standomene là, seduto con lo sguardo fisso sulla tastiera, il sigaro spento serrato tra i denti in modo così stretto cha col morso l'avevo quasi reciso.

Gli uomini strillavano ancora i nomi delle canzoni, ma Jewell si mise tra loro e me e pose uno spartito sul leggio.

"Niente più richijste," disse. "Perla canterà per voi."

Perla si alzò e si diresse senza aiuto dalla sua poltrona bianca verso il piano. Si fermò a non più di un centimetro da me e poggiò le mani con sicurezza alla fine della tastiera.

Guardai la musica. Mostrava una serie di note prima che iniziasse la parte di lei, ma non conoscevo quella versione, solo la canzone che Kovich aveva conosciuto, e quella iniziava alla prima nota del verso. Non potevo farle un cenno e lei non poteva vedere le mie mani sui tasti.

"Non conosco l'introduzione," dissi. "Solo il verso. Che faccio?"

Si piegò verso di me. "Appoggia le mani sulla mia quando sei pronto ad iniziare e io conterò a tre," disse e si rialzo lasciando la mano dov'era.

Guardai la sua mano. Carnie le aveva parlato delle mie mani e se l'avessi toccata leggermente, con solo le dita centrali, non avrebbe potuto distinguerlo dal tocco di un umano. Desideravo sopra ogni cosa non impaurirla. Penso che non l'avrei sopportato se si fosse ritratta da me.

Ora penso che sarebbe stato meglio se lo avesse fatto, che l'avrei preferito a tutto questo, a stare seduto qui con la sua testa sulle mie gambe ad aspettare. Se si fosse ritratta Jack l'avrebbe vista, l'avrebbe vista allontanarsi da me e questo sarebbe stato sufficiente per lui per tirarmi il collare e buttarmi fuori della porta, con un calcio mi avrebbe fatto volare oltre i gradini di legno così forte che l'accendino mi sarebbe schizzato via e mi avrebbe lasciato ad arrostire sulla faccia di Paylay.

"E ora pjrché l'hai fatto" Jewell avrebbe chiesto. "Non ha fatto nijnte altro chj toccarle la mano."

"E non lj farà niente altro," avrebbe detto allungando l'accendino a Jewell. E io non avrei potuto farle niente altro.

Ma lei non si ritrasse. Fece un piccolo respiro che non durò più a lungo di quanto ci volle alla mia mano a tomare sui tasti e iniziò la prima nota dopo contato a tre e partimmo insieme. Non feci nessun trillo o allungamento d'ottava. La sua voce era dolce e tenue e vera. Non aveva bisogno di me.

Gli uomini applaudirono dopo la canzone di Perla e iniziarono a urlare i nomi di altre canzoni. Alcune non le conoscevo e mi chiedevo come avrei potuto spiegarglielo, ma Jewell disse: "Calma, calma ragazzi. Non consumiamo il nostro pianista in un turno. Lasciamo chj sj nj vada a ljtto. Sarà qui il prossimo turno. Chi vuol fare una partita a Katmai?" Si allungò per stendere la coperta sulla tastiera. "Usa le scale sul fronte," disse. "I drenatori usano le scale sul retro per portare su le ragazze."

Perla si piegò verso di ma e disse: "Buonanotte, Ruby," e poi prese il braccio di Jack come se sapesse di preciso dove stava e attraversò la porta con le tende per andare nella sala delle carte. Gli altri seguirono, a due a due, fine a che tutte le ragazze non furono accompagnate e poi, in ordine sparso, Jewell sciolse i drappi pesanti cosicché caddero a coprire la porta dietro a loro.

Salii le scale e mi tolsi i mascheramenti di carta e lo scomodo collare e mi misi a sedere sul bordo del letto che Jewell mi aveva preparato mettendo un tavolinetto alla fine per allungarlo. Pensai a Perla e a Jack e a come avrei fatto per dare l'accendino a Jewell all'inizio del prossimo turno, e mi chiesi chi stessi copiando. Mi guardai nel piccolo specchio di plastica sopra il letto, cercando di scorgere Jewell o Jack nel mio viso.

Avevo lasciato il sigaro sul leggio. Non volevo che Jack lo trovasse là e pensasse che l'avevo rifiutato. Mi rimisi i mascheramenti e scesi di sotto. Non c'era nessuno nella stanza della musica e i tendaggi erano ancora tirati sulla porta della sala delle carte. Mi diressi verso il piano e presi il sigaro. L'avevo quasi troncato col morso e staccai del tutto la parte penzolante. Iniziai a succhiare l'altra estremità e mi sedetti sullo sgabello del pianoforte allungando le mani il più possibile sulla tastiera.

"Si capisce che sei uno Specchio," fece una voce d'uomo dalle profondità della poltrona di Perla. "Ho conosciuto una volta uno Specchio. O lui ha conosciuto me. Non è così che succede?"

Quasi dissi: "Non siete tenuto a sedere in quel posta" ma scoprii che non potevo parlare.

L'uomo si alzò in piedi e si diresse verso di me. Era vestito come gli altri uomini, con un largo collare da cane, ma le mani e il viso erano quasi bianchi e non c'era nessuna banda più chiara attraverso la fronte. "Mi chiamo Taber," disse con una voce cantilenosa e lenta, diversa dall'accento veloce che accorciava le vocali degli altri. Dubitai che venisse da Solfatara. Tutti gli altri, tranne Perla, accorciavano le vocali, se le mangiavano come io avevo mangiato il sigaro.

Soltanto Perla sembrava non avere accento, come se la sua cecità l'avesse protetta anche dalla parlata di Solfatara.

"Benvenuto a St. Pierre," disse, e provai un'ondata di paura. Aveva mentito a Jewell.

Non sapevo chi fosse St. Pierre, ma appena parlò capii che St. Pierre non era il santo patrono dei drenatori e che il fatto di chiamare così la città da parte di Taber era un qualche scherzo crudele e irripetibile che solo lui comprendeva.

"Devo andare di sopra," dissi e la mano mi tremava mentre tenevo il sigaro. "Jewell è nella stanza delle carte."

"Oh," disse distrattamente prendendo un sigaro per la testa e scartandolo. "C'è anche Perla?"

"Perla?" chiesi così impaurito da non poter respirare.

Si tastò le tasche della divisa e vi infilò una mano. "Si, lo sai, la ragazza cieca. Quella carina" Tirò fuori un accendino dalla tasca interna, sollevò il coperchio e guardò verso di me.

"Che peccato che sia cieca. Mi piacerebbe sapere cosa successe. Sai, non l'ha mai detto a nessuno," disse e azionò l'accendino.

Non era un vero accendino. Potei vedere, dopo un attimo di gelo, che non c'era nessun liquido dentro. Lo fece scattare altre due volte, lo tenne alla fine del sigaro in una spiacevole pantomima e se lo ripose in tasca.

"Spero di poterlo scoprire," disse. "Potrei sfruttare bene il fatto di saperlo."

"Non posso aiutarti," dissi e mi avvicinai verso le scale.

Mi si pose di fronte. "Oh, penso di sì. Non è per questo che sono fatti gli Specchi?" disse e avvicinando il sigaro non acceso mi soffiò sul viso del fumo immaginario.

"Non ti aiuterò," dissi così forte che immaginai Jewell venire a dire a Taber di lasciarmi solo, come aveva detto a Carnie. "Non potete costringermi ad aiutarvi".

"Certo che no," disse. "Non funziona così. Ma naturalmente questo lo sai," e mi lasciò passare.


Me ne stetti seduto sul letto il resto del turno, con il vero accendino tra le mani, in attesa che potessi raccontare a Jewell quello che mi aveva detto Taber.

Ma il turno successivo era un turno di sonno e il turno successive a quello suonai per le richieste dei drenatori per tutte le otto ore. Per la maggior parte del tempo Taber rimase accanto al piano facendo cadere della cenere immaginaria sulle mie mani.

Dopo il turno, Jewell mi venne a chiedere se Jack o qualcun altro mi avesse infastidito e non le parlai per niente di Taber. Durante il successivo turno di sonno nascosi l'accendino tra il materasso e la rete del mio letto.

Durante i turni di veglia mi tenni il più vicino possibile a Jewell, cercando di rendermi utile, cercando di non copiare il modo in cui camminava con i piedi fasciati. Quando non suonavo passavo tra i drenatori coi bicchieri di liquore gelato e annacquato su un vassoio e riempiendo le carte d'acconto per chi voleva portare di sopra le ragazze. Nei fuori-turno imparai a far funzionare il meccanismo che spediva i crediti a Solfatara, a fare il bucato e dopo un paio di settimane Jewell mi fece aiutarla nel controllo del corpo delle ragazze. Controllava che non ci fossero segni di perversioni o ferite da droghe insieme ai GHS che ogni casa doveva effettuare.

Perla non aveva alcun segno su di lei e mi sentii sollevato.

Avevo avuto l'idea che Taber potesse in qualche modo torturarla.

Jewell ci lasciò soli mentre l'aiutavo a vestirsi dopo il controllo e dissi: "Taber è proprio un uomo cattivo. Vuole farti del male."

"Lo so," disse. Stava tesa al massimo mentre allacciavo la fila di bottoni e perle dietro il suo vestito.

"Perché?"

"Non so," disse. "È come la sidone."

"Vuoi dire che non può controllarsi, che non sa quello che fa?" dissi arrabbiato. "Sa esattamente quello che fa."

"I drenatori erano soliti pungolare la sidone con un bastone quando era in gabbia," disse. "Comunque non arrivavano a farle veramente male e questo Taber non lo sopportava. Si face dare dai drenatori la chiave della gabbia cosicché poteva entrarci dentro in modo da poterle fare del male. Ora, perché voleva farle del male?"

"Perché era indifesa," dissi e mi chiesi se l'uomo che aveva accecato Perla era stato così, "Perché non poteva proteggersi. "

"Jewell ed io eravamo nella stessa casa di piacere su Solfatara," disse. "Avevamo un amico là, un pianista come te. Era anche molto alto, come te, ed era la persona più gentile che abbia mai conosciuto. A volte mi ricordi lui." Si diresse con sicurezza verso la porta, come se non stesse contando i passi memorizzati, "Una gabbia è un posto sicuro fino a quando nessuno ha la chiave. Non preoccuparti, Ruby. Non può entrare." Si voltò per guardarmi. "Vuoi venire a suonare per me?"

"Si," e la seguii nella stanza della musica. Prima che iniziassero i turni, mentre le ragazze erano di sopra a vestirsi, le piaceva sedersi nella poltrona bianca ad ascoltarmi suonare. Capiva, più di tutti gli altri, che potevo suonare solo le canzoni che avevo copiato da Kovich. Jewell in fondo pensava che sapevo leggere la musica e Taber mi comprò perfino degli Spartiti a Solfatara. Perla diceva solo i nomi delle canzoni e io le suonavo se le conoscevo. Non me ne chiese mai una che non conoscessi, e pensai che fosse perché ascoltava con attenzione le richieste dei drenatori e i miei rifiuti, e gliene fui grato.

Sedevo al piano e guardavo Perla nello specchio. Avevo chiesto lo specchio a Jewell di modo che avrei potuto guardarmi dietro le spalle. Le avevo detto che lo volevo perché poteva segnalarmi le canzoni e le interruzioni e a volte di smetterla se gli uomini diventavano pesanti o rumorosi, ma la verità era che potevo evitare che Taber stesse là senza che io lo sapessi.

"Back Home," disse Perla. Potevo sentirla a malapena sopra i diffusori d'azoto. Iniziai a suonarla ed entrò Taber. Si diresse velocemente verso di lei e poi si immobilizzò e tra il mio suono e il rumore dei diffusori lei non lo senti. Era fermo quasi a mezzo metro da lei, abbastanza vicino da toccarla ma fuori portata se lei avesse allungato la mano cercando di toccarlo.

Si tolse il sigaro dalla bocca e si piegò come se stesse per parlarle, invece protese le labbra e le soffiò leggermente.

Potevo quasi vedere il fumo. All'inizio non sembrò notarlo, poi rabbrividì e si strinse addosso lo scialle di fili luminosi.

Lui s' arresto e le sorrise per un attimo e poi si sporse per toccarla, con la punta del sigaro, leggermente sulla spalla, come se volesse bruciarla e poi tornò di scatto fiori della sua portata. Lei cercò a tentoni e lui tornò a ripetere ancora e ancora la piccola pantomima finché lei non si alzò e sollevò indifesa le mani contro ciò che non poteva vedere. Appena fece così lui si diresse silenziosamente e velocemente verso la porta cosicché quando lei strillo "Chi è? Chi c'è là?" disse con la sua cantilena tranquilla: "Sono io, Perla sono appena arrivato. Ti ho spaventata?"

"No," disse e tornò a sedersi. Ma quando le tocco la mano, lei si ritrasse da lui come avevo pensato avrebbe fatto da me. E nel frattempo non avevo perduto una battuta della canzone.

"Sono venuto qua per vederti solo un attimo," disse Taber "e per ascoltare il tuo pianista. Migliora di giorno in giorno, non è vero?"

Perla non rispose. Vedevo nello specchio che le sue mani stavano di nuovo incrociate sul grembo e non si muovevano.

"Si," disse e si diresse verso di me, facendo cadere della cenere immaginaria dal suo sigaro spento sulle mie mani.

"Sempre meglio," disse dolcemente. "Posso quasi vedere il mio viso in te, Specchio."

"Che cosa hai detto?" fece Perla impaurita.

"Ho detto che è meglio che vada a vedere Jewell un attimo per alcuni affari e poi tomarmene qua a fianco. Jack ha scoperto un nuovo drenaggio d'idrogeno oggi, uno veramente grosso."

Tornò in cucina attraverso la stanza delle carte e io rimasi al piano a guardare nello specchio fino a quando non vidi la porta della cucina chiudersi dietra di lui.

"Taber era rimasto nella stanza tutto il tempo," dissi.

"Stava facendo... delle cose."

"Lo so," disse lei.

"Non dovresti permetterglielo. Dovresti fermarlo," dissi con violenza e appena lo dissi mi resi canto che lei sapeva che non lo avevo fermato neppure io. "È proprio un uomo cattivo," dissi.

"Non mi ha mai rinchiuso," disse dopo un attimo. "Non mi ha mai legata."

"Non ha mai saputo come fare, prima," dissi e capii che era vero. "Vuole che lo scopra io per lui."

Piegò la testa verso le mani che teneva ancora incrociate ai polsi, quasi rilasciate, senza mostrare niente di ciò che pensava. "E tu lo farai?"

"Non lo so".

"Sta provando a farsi copiare da te, non è vero?"

"Si."

"E tu pensi che possa funzionare?"

"Non lo so," dissi. "Non posso dirlo se sto copiando. Parlo come Taber?"

"No," disse, in un modo così definitivo che mi sentii sollevato. Mi ero ascoltato con orecchio ansioso, sperando nelle vocali abbreviate e nel dialetto dei drenatori, aspettando con paura la parlata lenta e stanca di Taber. Non pensavo di aver sentito né l'una né l'altra, ma avevo paura di non poterlo sapere se l'avessi fatto.

"Sai chi sto copiando?" dissi.

"Cammini come Jewell," disse, e sorrise un po'. "La rende furiosa."

Arrivò la fine del turno prima che realizzassi che, come mio zio, in verità non aveva risposto a ciò che le avevo chiesto.


Il nuovo drenaggio di Jack risultò così grande che ebbe bisogno di una squadra per aiutarlo a montare i compressori e per molti turni non ci fu quasi nessuno nella casa, nemmeno Taber. Poiché il lavoro era così scarso, Jewell lasciò perfino che alcune ragazze andassero alla casa da gioco. Taber non si avvicinò al drenaggio, ma non venne più neppure tanto spesso e quando lo faceva passava il tempo di sopra con Carnie, parlandole a voce bassa e facendole scattare l'accendino in continuazione, come se non potesse controllarsi. Poi, una volta che i compressori furono piazzati e la sidone iniziò ad operare, gli uomini si riunirono a St. Pierre e Taber tu troppo occupato per venire.

Quella volta che venne trovò Perla sola con me. "È Taber", Perla disse molte prima che avessi fatto una nota acuta sui tasti e avessi detto: "Taber è qui." Non aveva il sigaro con sé e neanche l'accendino e non mi parlò nemmeno. Osservando Perla parlargli, la testa girata con grazia dalla parte opposta alla sua, le mani in grembo, potevo quasi credere che non avrebbe avuto successo, che nulla poteva farle del male, in salvo nella sua cecità.

Eravamo così occupati che difficilmente Jewell mi parlava, ma quando lo fece mi disse con durezza che se non avevo niente di meglio da fare che copiarla, avrei potuto servire al bar e mettermi a smerciare il liquore annacquato che aveva tirato fuori in onore della nuova sidone. Lei stessa fece i pasti per la settimana mentre io facevo i controlli sui corpi.

Perla, nuda durante il controllo, appariva serena e senza ferite. Carnie aveva cicatrici da droga sotto le braccia. Non la denunciai. Se l'avesse scoperta Jewell, avrebbe rispedito Carnie su Solfatara e io volevo che Taber si desse da fare con Carnie, procurandole droghe e cercando di ottenere che l'aiutasse perché così avrei potuto credere che avesse smesso con me. Non osavo credere che avesse smesso con Perla, ma non pensavo che lui e Carnie da soli potessero farle del male, qualsiasi cosa le avessero fatto. Fino a quando non avrebbero ottenuto il mio aiuto. Fino a quando io avrei continuato a copiare Jewell.

Dissi a Perla di Carnie. "Penso sia sotto le droghe." Eravamo soli nella stanza della musica. Jewell era di sopra a rimettere ordine nella pensione. Carnie era in cucina, di turno alla cena. "Ho visto come erano le cicatrici"

"Lo so, disse Perla e mi chiesi se c'era qualcosa che non vedeva nonostante la sua cecità.

"Penso che tu debba stare attenta. È Taber che gliele procura. La sta usando per farti del male. Non dirle niente."

Non disse niente. Dopo un po' mi voltai verso il piano attendendo che mi dicesse il titolo di una canzone.

"Sono nata nella casa di piacere. Mia madre lavorava là. La sapevi questo?" disse tranquillamente.

"No," risposi tenendo le mani sulla tastiera come se mi potessero sorreggere. Non guardai verso di lei.

"Mi sono detta in tutti questi anni che finché nessuno sa cosa è successo, io sono in salvo."

"Jewell lo sa?"

Scosse la testa. "Non lo sa nessuno. Mia madre le disse che lui l'aveva minacciata col rasoio da droga, che non c'era stato niente da fare."

I diffusori d'azoto attaccarono proprio allora e sobbalzai per il rumore e guardai nello specchio. Potevo vedere la sidone nello specchio e sopra la sua pelle rosso assassino Taber. Carnie lo aveva introdotto in cucina e acceso i diffusori, e ora lui stava tra i diffusori rumorosi, sorridendo e scuotendo della cenere immaginaria sul tappeto accanto alla poltrona di Perla. Tolsi le mani dalla tastiera e me le posi in grembo. "Carnie è in cucina," dissi. "Non so se la porta è chiusa."

"Ci fu un drenatore che venne nella casa," disse Perla. "Era un uomo proprio malvagio ma mia mamma lo amava. Lei diceva che non poteva farci nulla. Penso che fosse vero."

Per un attimo guardò direttamente nello specchio con i suoi occhi ciechi e desiderai che Taber facesse scattare il suo accendino che sapevo stava girando tra le dita in modo che Perla lo avrebbe sentito e si fosse ritirata nella gabbia, al sicuro e nel silenzio.

"Era il periodo di Natale," disse, e i diffusori si arrestarono. Nel silenzio disse: "Avevo dieci anni e Jewell mi aveva dato un piccolo girocollo d'oro con una perla. Avevo quattordici anni, ma già lavoravo nella casa. Avevamo un albero nella stanza della musica e c'erano su delle piccole luci, tutte di colore diverso appese a un filo. Hai mai visto luci come quelle, rosse verdi e d'oro tutte legate assieme?"

Pensai alle file di neonchimici che avevo visto dalla discesa a spirale, proprio la prima cosa che avevo visto su Paylay. Nessuno glielo ha detto, pensai, in tutto questo tempo nessuno glielo ha detto e al pensiero dell'immensa gabbia di dolcezza costruita tutto intorno a lei la mano mi scattò e colpì il bordo della tastiera. Lei senti il rumore e guardò su.

"C'è Taber?" chiese, e la mano mi si arrestò al di sopra della tastiera.

"No, certo che no," dissi, e la mano si risistemò in grembo come la discesa a spirale che si va ad arrestare nei propri ormeggi. "Se arriva te lo dico."

"Il drenatore mandò a mia madre un vestito con le luci addosso, rosse verdi e d'oro, come l'albero," disse Perla. "Quando arrivò disse "Sembri un albero di Natalj, " e la baciò sulla guancia. "Che vuoi per Natali" chiese mia madre. "Ti darà qualsiasi cosa. " Ricordo che lei se ne stava nel vestito illuminato sotto l'albero." Si fermò un attimo e quando guardai nello specchio aveva voltato a testa, cosicché sembrava che stesse guardando dritto verso Taber. "Chiese me."

"Che cosa ti ha fatto?" domandai.

"Non ricordo." Le mani di agitarono e si immobilizzarono e io sapevo che cosa aveva fatto lui. L'aveva rinchiusa e lei non era più fuggita. Le aveva legato le mani e lei non si era più liberata. Mi guardai le mani, incrociate ai polsi come le sue e che non si agitavano neppure.

"Non venne nessuno ad aiutarti?" chiesi.

"Il pianista. Abbattè la porta. Gli ruppe le mani in modo che non potesse più suonare. Fece chiamare il dottore da mia madre. Le disse che l'avrebbe uccisa se non l'avesse fatto.

Quando cercò di aiutarmi scappai via da lui. Non volevo che mi aiutasse. Volevo morire. Corsi e corsi e corsi, ma non potevo vedere per fuggire."

"Lo hanno ucciso il drenatore che ti ha accecato?"

"Mentre lui cercava di trovarmi, mia madre fece uscire il drenatore dalla porta posteriore. Io corsi e corsi e poi caddi.

Il pianista venne e mi tenne tra le sue braccia finché non arrivò il dottare. Gli feci promettere di uccidere il drenatore. Gli feci promettere di finire di uccidermi," disse in modo così tenue che quasi non la udivo. "Ma non lo face."

I diffusori scattarono di nuovo e guardai nello specchio: Taber non c'era. Carnie lo aveva fatto uscire dalla porta posteriore.


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