a cura di Giuseppe Iannozzi
E’ questa l’ultima notte? Per molti, sì. Noi forse non lo sappiamo, o forse solo
facciamo finta di non sapere, ma una vita si spegne questa notte, sì, anche
questa notte ‘nell’impietoso braccio della morte’. La letteratura e il cinema
hanno spesse volte affrontato il tema della morte, la morte data per mano
dell’uomo: uomo morto, cammina! Alcuni recenti esempi di accusa contro
l’insensatezza della pena di morte sono ne “Il miglio verde”, romanzo di
Stephen King da cui nel 1999 è stato tratto l’omonimo film con Tom Hanks
per la regia di Frank Darabont, in “Decalogo n. 5” , film per la regia di
Krzysztof Kieslowsk, ma soprattutto nella pellicola-capolavoro “Dead
Man Walking” per la regia di Tim Robbins (sceneggiatura di Tim
Robbins, soggetto di Helen Prejean). Scriveva Albert Camus in
“Riflessioni sulla pena di morte”: “Invece di uccidere e morire per
diventare quello che non siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare
quello che realmente siamo. […] Io mi rivolto, quindi siamo.”
Contro la pena di morte in tanti si sono adoperati per evidenziarne l’orrore:
filosofi, semplici uomini, scrittori, intellettuali, organizzazioni umanitarie.
A tutt’oggi la pena capitale è in vigore non solo nella più parte degli USA, ma
in tante altre regioni del mondo. E’ un orrore senza fine. A ricordarcelo oggi è
un giovane autore, Emiliano Grisostolo con il suo romanzo-accusa
“L’ultima notte”.
“L’ultima notte” è la storia di una vita condensata in otto interminabili
ore, quelle che separano Robert Hudson dalla morte: il pregio maggiore di questo
romanzo è nella capacità dell’autore di saper raccontare l’orrore, l’assurdità
di chi sta già vivendo la sua morte, in pagine fitte di ritagli di vita. Robert,
nella sua cella, ricorda, cerca di capire perché i fantasmi del suo passato si
sono tutti radunati nella sua prigione a tenergli molesta compagnia. Che cosa
gli vogliono indicare? o insegnare? Indarno cerca di allontanarli: più gli
resiste, più i fantasmi assumono contorni e sembianze surreali, da incubo.
Lo stile di Emiliano Grisostolo è discretamente diretto, oserei dire
cinematografico, in quanto si compone di flashback che tratteggiano Robert
Hudson dalla sua infanzia sino alle ultime battute ferali, quelle dell’orrore.
Robert Hudson è da prima un bambino i cui sogni sono non troppo dissimili da
quelli di tutti, poi, troppo presto, è un uomo fatto, modellato dal bulino della
figura paterna che per Robert è stata un autentico dramma; una serie di
circostanze sfavorevoli condurranno il protagonista - l’uomo - sulla cattiva
strada, una strada senza ritorno il cui punto morto si esplicita in un efferato
quanto assurdo assassinio. E’ la storia di un uomo ma anche del ‘fato’ che ha
voluto per Robert una vita con una data di scadenza. Nelle sue ultime ore,
Robert intuisce la verità, il perché è stato un uomo cattivo, ma ormai, per
quanto si opponga alla morte comminatagli, più nulla può per darsi una nuova
possibilità, per continuare a vivere.
Ne “L’ultima notte” c’è - ci sono - la vita e la morte in un’unica
soluzione espositiva, ma c’è anche il fato e non da ultimo c’è la paura, quella
di sapere che nessun miracolo scamperà il protagonista dalle esiziali grinfie
della morte, dell’uomo che decide la morte d’un suo fratello. Il lavoro di
Emiliano Grisostolo è forte quanto basta a scuotere le vostre coscienze. C’è
un solo problema, fondamentale, importante, tremendamente vitale: la vostra
coscienza è… è ancora intatta o è forse diventata insensibile? Siete capaci di
dire, “Io mi rivolto, quindi siamo”? Scopritelo da soli attraverso le angosciose
ultime ore di Robert Hudson.
L’ultima notte - Emiliano Grisostolo - Editore: Editrice Zona - 192 pagine -
1a ediz. 2005 - ISBN: 88-87578-93-1 – Euro 19
L’ultima notte
Intervista ad Emiliano Grisostolo
a cura di Giuseppe Iannozzi
1. Innanzitutto, Emiliano, vorresti presentarti ai lettori, come uomo e,
ovviamente, anche nelle vesti di scrittore?
Ciao, da dove cominciamo? Non è poi così complicato, diciamo semplicemente
che sono un operaio qualunque di una qualunque fonderia, uno che non ha studiato.
Già, perché, che voi ci crediate oppure no, io ho soltanto la terza media
inferiore, e non me ne vergogno a dirlo così platealmente: non ho rimorsi, anche
se spesso ripenso agli studi che avrei voluto condurre e portare a termine, e
che invece non sono riuscito a terminare. Il motivo, facile per quanto ne so:
semplicemente non ero sulle corde degli insegnanti o loro non erano sulle mie;
non mi piaceva studiare, andavo a periodi, in matematica ed inglese, ma pure in
italiano faticavo ad arrivare alla sufficienza. Ancora adesso compio degli
errori grossolani di doppie, anche se a forza di scrivere sono migliorato molto
a detta di mia moglie. Non so perché tutto questo sia accaduto, non ne conosco
il motivo, forse era destino che io facessi questo percorso, che mi formarsi da
solo. Sembra che stia narrando un qualsiasi soggetto di un racconto, ma è ciò
che mi è accaduto. Sono andato a lavorare dopo aver tentato di frequentare per
qualche mese un istituto tecnico, il Kennedy di Pordenone: avevo in testa solo
l’informatica e diventare perito era il mio sogno, computer e bla bla bla. Solo
che non faceva per me. Troppo duri, troppo rigidi, mi mancavano le basi in
diverse materie e le lacune che mi portavo dietro dalle medie erano divenute
fobie. Alla fine ho dovuto mollare. Personalmente non sono uno che vive sulle
spalle dei genitori, e ogni mese i soldi che essi spendevano erano parecchi,
quindi... Sono andato in fabbrica, la mia prima vecchia fabbrica... Da qui ho
fatto un lungo percorso di vita sia come operaio che come lettore e nello stesso
tempo come scrittore. Da allora, dall’età di quindici anni, ho frequentato
diverse realtà lavorative, giungendo infine in una fonderia, la stessa dove
lavora mio padre, trovandomi discretamente bene. Sono oramai dieci anni che vado
avanti e indietro da quel luogo sicuramente malsano, ma è il mio destino se non
dovessi sfondare, per puro caso, come scrittore. E fare lo scrittore a tempo
pieno è ovviamente il mio sogno; una volta era correre in bicicletta a tempo
pieno, perché per diversi anni, sino al 2004, ho corso a livello agonistico sia
in MTB che su strada, diventando anche campione provinciale di cronoscalata su
strada, categoria cadetti nel 2002, e secondo al campionato provinciale su
cinque prove sempre su strada, sempre nel 2002. Potrei elencarvi altri risultati
da podio ma non servirebbe a nulla: ormai ho 28 anni e il ciclista
professionista non lo farò più! Ma lo scrittore è ancora la mia arma vincente,
allo stesso modo della bicicletta con cui vado a lavorare ogni mattina e con la
quale vado ancora a correre nonostante non gareggi; la carta è l’ultima
occasione che ho per farmi valere, perchè mi sento uno spirito libero, e non lo
dico tanto per tirar fuori una frase fatta: è la verità. Scrivere per me è uno
sfogo, mi aiuta a sentirmi libero, a uscire dagli schemi, dalla solita routine
quotidiana. Mi serve come trampolino di lancio verso mondi fantastici, quando
magari sto scrivendo romanzi fantasy, o verso temi sociali più seri, come ne
L’ultima notte.
Ho partecipato a diversi concorsi letterari. A diciotto anni poi, senza alcun
successo nei concorsi, ho trovato il mio primo editore in Milano: due romanzi
che gli avevo spedito gli piacevano e ho firmato il primo contratto. Dopo un
lunghissimo parto, durato quasi due anni, è uscito Fino alla Morte nel '97, poi
Adrenalina nel '98. Ero giovane, nessuno mi degnava di uno sguardo quando mi
presentavo qua e là per le librerie della zona e avvertivo i commessi o i
gestori che sarebbe uscito il libro. Ve n’erano a decine che uscivano ogni
giorno, oggi a centinaia, e quello di un ragazzino con appena un filo di barba o
il pizzetto sul volto non importava a nessuno. Non vuole essere una critica la
mia, ma in fondo lo è: se non sono i librai a metterti in vetrina, in luce al
mondo esterno che passa lungo un marciapiede disinteressandosi di chi sei, o di
chi potresti essere, o, meglio ancora, di ciò che hai scritto, allora chi deve
fare il loro lavoro? Potrei raccontarvi un aneddoto, una sfida intestina con un
autore locale molto conosciuto, che ha esordito proprio quando usciva il mio
primo romanzo, ma lui si chiama Corona... e io solo Grisostolo! Ma lasciamo
stare, è acqua passata.
I romanzi hanno venduto pochino, devo essere sincero, senza il passaparola -
che spesso vale molto di più della pubblicità - non si va da nessuna parte; e le
cose sono morte così, da sole come sono venute. Sono sempre stato realista;
inizialmente mi ero - forse a detta di qualcuno - montato la testa, ma non sono
mai stato un tipo altezzoso, sono un operaio ragazzi, un ragazzo di 28 anni a
cui piace leggere molto nel tempo libero che è sempre poco, e di conseguenza
poco anche per scrivere, per i motivi che ho detto poc’anzi. Nonostante oggi
pubblichi con Zona Editrice, che ha pubblicato nomi come Bernardi o Lucarelli o
Evangelisti, anche se solo con racconti o brevi romanzi, non mi monto la testa,
sto invece con i piedi ben saldi a terra, sono realista: se non vendo, amen! Che
ci posso fare…
Però voglio dire un’ultima cosa: l’importante è essere convinti del materiale
che si è scritto, della storia che si ha nel cassetto, e di quello che potrebbe
suscitare nelle persone che potrebbero leggerla. Solo così si vince la paura di
confrontarsi con il mondo esterno, solo tentando e buttandosi e sforzandosi di
non mollare si può raggiungere l’obbiettivo tanto inseguito. Io l’ho seguito per
sette lunghissimi anni, dal '98 al '05, quando è uscito L’ultima notte, e non
sono rimasto ad aspettare nessuno né mi sono seduto sugli allori senza scrivere
più nulla. Nell’ottobre '04 ho conosciuto Piero Cademartori quale editore del
concorso di racconti Noir e Gialli denominato Lama e trama, che si svolge a
Maniago da due anni; questa è la terza edizione a cui anche il sottoscritto
parteciperà. Il mio racconto ANGUANI è stato segnalato ma non incluso
nell’antologia uscita per i tipi ZONA in concomitanza con il mio romanzo, verso
la fine di aprile. Dopo una chiacchierata ci siamo salutati e sono rimasto in
attesa di una risposta, fortunatamente per me positiva. Probabilmente se non
fossi andato quella sera alla cerimonia di premiazione, o non avessi partecipato
al concorso, questo mio lavoro non sarebbe uscito, quando si dice il Fato...
Scrivere è per me è una liberazione, e quando l’idea sta per scoppiarmi
dentro, quando ha maturato a dovere, be’!, allora deve uscire assolutamente. E
se piace agli altri bene, altrimenti piacerà soltanto a me.
2. Prima di entrare nel merito de "L’ultima notte", il tuo ultimo romanzo,
quali i tuoi autori preferiti, quelli che maggiormente hanno influenzato la tua
scrittura, la tua vita?
Ho iniziato a leggere a quindici anni, ho preso in mano per caso Misery di
King, - credo che tutti l’abbiano letto, forse uno dei suoi romanzi migliori -
spinto da un amico a cui piaceva leggere quel genere letterario; in seguito mi
sono attaccato a questo genere come una spugna assorbendone tutti i pregi e i
difetti. Oggi credo di avere letto il novanta per cento dei libri di Stephen
King, anche se negli ultimi anni preferisco leggere fantasy, A dire il vero il
secondo libro che ho letto, ma non vorrei sbagliarmi, è stato La spada di
Shannara di Terry Brooks, secondo me il miglior scrittore fantasy dopo Tolkien
che ho letto solo pochi anni fa. Ad oggi ho letto tutti i romanzi di Brooks.
Questi sono i generi che mi hanno influenzato, difatti scrivo noir, horror,
brevi racconti o romanzi lunghi come Odori, il primo di una tetralogia fantasy,
una saga non ancora completata, che passa dall’horror al fantasy per arrivare
fino alle battaglie campali e agli assedi. Il periodo medioevale mi affascina
moltissimo, e per costruire quei romanzi mi sono documentato sulle tecniche di
battaglia facendo ricorso spesso alla sola fantasia.
Oggi leggo Cristian Jacq (vedi il suo romanzo Ramses, cinque per essere
precisi), che a mio avviso è stupendo, e poi tutti gli altri sui vari re.
Valerio Massimo Manfredi, grande archeologo e scrittore che parla sempre molto
bene di Aquileia che tutti snobbano ( a un’oretta circa da casa mia - città che
ho avuto l’occasione di visitare molte volte e che dovrebbe essere rivalutata
per la sua storia e la sua ricchezza). Ma ho letto anche Freud quando avevo
vent’anni circa, capendoci probabilmente ben poco, ma interessante, e il Main
Kampf di Hitler, dove descrive le sue scemenze... Ma per combattere il nemico
bisogna prima conoscerlo.
Ho letto Marion Zimmer Bradley, posseggo quasi tutti i suoi romanzi: mia
moglie è un’accanita appassionata di questa grande scrittrice scomparsa nel '99.
Anche se non sono mai stato un grande fan della fantascienza, sempre che non si
parli di Phillip K. Dick, che purtroppo sino ad oggi ho letto pochissimo… ne ho
solo sentito parlare… ho visto i film, ma nei prossimi anni vorrei approfondire
la conoscenza di questo scrittore. Per me un grande.
E poi c’è Valerio Evangelisti, autore di casa nostra che devo ancora
attaccare, ma del quale ho acquistato i romanzi di Nostradamus, un genere che mi
prende molto e che si avvicina alle mie corde. L’alchimia, la magia, tutto
quello che è mistery e sotterfugio, assassini segreti, fantasy in tutte le sue
più esaltanti e variopinte pieghe, tutto ciò mi affascina e mi influenza. Per
tale motivo passo da un genere all’altro, sperimentando nuove tecniche di
scrittura e nuovi generi. Ad oggi ho scritto noir, thriller-horror, fantasy,
gialli storici, perché è quello che ho letto.
Ultimamente ho letto Lucarelli, Bernardi, ma anche Faletti, ovviamente, e poi
Tullio Avoledo che ho avuto la fortuna di conoscere molto bene in più occasioni
- persona veramente stupenda. Forse da Avoledo ho attinto parte della sua grande
ironia, anche se è difficile prendere in prestito l’arte che uno possiede di
natura; io sono semplicemente Grisostolo, e tale rimarrò.
3. "L’ultima notte", se non vado errato, è il tuo terzo romanzo: come e
perché hai maturato l’idea per questo libro, che è - a mio avviso - anche
un’accusa contro l’illogicità della pena di morte?
Ero sul lavoro, in un reparto oggi chiuso e nel quale mi trovavo molto bene.
Avevo la fortuna di avere un caporeparto giovane che non stressava l’anima, che
ti lasciava fare il tuo mestiere in santa pace e magari chiudeva un occhio
quando mi portavo la radiolina. Proprio ascoltando verso le dieci del mattino
una trasmissione, mi sono imbattuto casualmente in quella che sarebbe divenuta
poi l’idea per un romanzo, anche se inizialmente doveva essere un breve racconto
che col tempo ha preso vita da sé. Parlavano della pena di morte e di un
condannato ucciso proprio quel giorno: non rammento il giorno né il nome di
questa persona… a me interessava riproporre la storia, la vita di una persona
sofferente in attesa della morte come di una passeggiata. Per i carcerieri di
quegli Stati Uniti che si definiscono un Paese libero, l’uomo pronto al grande
viaggio - come lo definisco nel romanzo - è soltanto un povero mentecatto di cui
non sanno nulla e del quale non vogliono conoscere nulla. Mi dava fastidio
l’idea che ci facessero sopra pure una trasmissione, non per attaccare le
barbarie che stavano compiendo e che compieranno ancora negli anni, ma perché
materiale utile per un’oretta di trasmissione. Io l’ho vista così, potrei
sbagliarmi, però è nata in me la voglia e la rabbia di narrare la vita di un
pover'uomo chiuso tra le sbarre di una cella mentre attende l’arrivo dell’ora
fatidica. Sparky lo attende al varco, oltre il bivio che divide la vita
dall’oscurità, e nessuno può immaginare la sofferenza che quell'uomo, che io ho
chiamato Robert, ha dentro. Ho faticato a immedesimarmi in quell’uomo che
attende insonne l’arrivo del carcerieri per l’ultimo Viaggio, ma credo di avere
centrato l’obiettivo.
Come hai detto è il mio terzo romanzo, anche negli altri narro la storia di
una fuga, da un carcere nel primo, e di una compagnia che si incontra
raccontandosi storie dell’orrore nel secondo. In entrambi i romanzi c’è un punto
di fuga comune: la ricerca della libertà perduta, l’inseguimento di un sogno che
non vuole essere catturato. Un po’ quello che a me è accaduto mentre cercavo un
nuovo editore. L’ultima notte è il terzo romanzo di una trilogia sulla ricerca
della libertà, nata da sé, senza che io ci avessi pensato sopra né prima né
durante, né mentre scrivevo L’ultima notte, il romanzo che chiudeva il cerchio.
Me ne sono reso conto solo dopo, rileggendolo e confrontandolo con gli altri.
Avevo delle cose da dire, e le ho dette a modo mio.
4. Robert Hudson, il personaggio principale del romanzo, chi è? Mi spiego
meglio: per tracciarne l’identità, su chi ti sei basato? E’ solo il frutto della
tua immaginazione, oppure Robert Hudson è (era) una persona reale?
Robert non è mai stata una persona reale, anche se per certi aspetti pensa
ciò che penso io, fa ciò che ho fatto io (mi riferisco alla scuola). Robert è in
un certo senso la trasposizione di me in un’altra vita, in un mondo parallelo
nel quale mi sono comportato così. Ho cercato di essere lui: può sembrare
assurdo, ma in un certo senso è così.
Quello che fa, come giocare a basket o correre al parco, sono le cose che
piacciono a me, quello che pensa lo sono soltanto in parte. Per esempio la
scuola: non odio personalmente le materie artistiche, tutt'altro, adoro Dalì,
Van Gogh e Picasso. In breve ho trasportato me stesso nel personaggio, senza
scendere in una descrizione autobiografica, usando soltanto la fantasia.
5. Ne "L’ultima notte", praticamente, descrivi l’intera vita di Robert
Hudson nel braccio della morte. Otto lunghe interminabili ore durante le quali
Robert torna all’infanzia fino a scontrarsi con la sua nemesi. Robert ha paura,
di chi, di che cosa?
Di se stesso, di ciò che ha fatto e che ha cercato di cancellare, di
rimuovere. Per questo motivo durante l’ultima notte ripercorre la sua infanzia e
l’attimo in cui compie l’atto violento che lo porterà nel luogo in cui si trova,
per rammentare ciò che ha fatto con efferata violenza, ma anche per capire o
cercare di capire il perchè di quel suo gesto.
E’ un ricordo che non può scacciare: lo assale e lo avvolge trasportandolo in
un imbuto di incubi e deliri; sogno e realtà si confondono continuamente in
flashback cinematografici, dove si perde e dal quale faticherà a riemergere sano;
un sogno che porterà dentro di lui la consapevolezza dell’errore che ha compiuto,
ma lo farà anche riflettere sulla sua condizione di vita, sul Fato che decide
tutto del nostro destino. Ed è vero, io ne sono in parte convinto: guardate
quello che ho scritto qualche riga sopra riguardo all’editore che ho incontrato
e del libro che ora potete leggere...
Noi siamo il male di noi stessi... Ma spesso qualcun altro decide il nostro
futuro, magari spedendoci nelle calde braccia d’una sedia elettrica!
6. A tuo giudizio, le condizioni sociali in cui l’individuo è inserito
possono contribuire a fare d’un uomo un criminale senza possibilità alcuna di
sfuggire al suo destino? O è soltanto il caso (la fatalità) a far sì che l’uomo
possa diventare un criminale e un assassino?
Le condizioni sociali ci guidano per tutta la nostra esistenza, non faranno
di noi un assassino, un criminale, ma sono un aiuto forte al nostro cammino, e
se non siamo forti ci sopprimono costringendoci a fare ciò che forse non
vorremmo per svariati motivi sempre diversi, e sempre a detta dell’individuo,
importanti.
Come ho detto sopra il destino è segnato, il Fato, il Caso, chiamiamolo come
ognuno vuole, è qualcosa che ci guida. Personalmente non sono ottuso a riguardo,
preferisco infatti vivere la mia vita giorno per giorno, cercando con grande
sforzo ogni metodo per far avverare il mio sogno di poter essere scrittore per
mestiere, sapendo con realismo che questo difficilmente potrà avverarsi.
Tuttavia l’individuo è, in ogni sua realtà, costretto a scontrarsi con ciò che
lo circonda: l’ingegnere con complicati calcoli matematici, l’operaio con una
staffa che non chiude bene...
L' uomo che vive in un ambiente emarginato ha due soli metodi per
sopravvivere alla violenza che lo circonda, con violenza, o andandosene, ma
anche facendolo deve stare attento a quelli che durante una rapina potrebbero
sparargli per rubargli l’auto e fuggire... E il cerchio si chiude.
Caso o destino? Volontà di cambiare le carte in tavola, oppure semplice
fatalità? Succede sempre più spesso che individui inseriti in una società
emarginata si comportino come la società sa fare; e solo raramente qualcuno esce
dal mazzo di carte, mescolando la propria esistenza con quella di qualcun altro,
che lo trascina lontano salvandogli la vita, proprio come la donna che Robert
conosce al campetto di basket e che segnerà per sempre la sua esistenza.
7. Robert Hudson, da subito, è un personaggio triste, destinato alla
sconfitta, una sorta di miserabile à la Victor Hugo. Gli affetti che lo
circondano fanno presto a morire in tragici incidenti, tranne la figura del
padre, o meglio il suo fantasma che lo perseguiterà fino all’ultimo minuto.
Quanto c’è dei difetti della figura paterna in Robert? e quanto influiscono
sulle scelte di vita di Hudson?
Completamente. Mi spiego: tutti i difetti del padre ricadono inesorabilmente
sul figlio, su Robert. Ogni suo atto, ogni suo comportamento descritto solo a
grandi linee nel romanzo, contribuiscono alla formazione del figlio, e quindi
Robert ne esce come un uomo fatto e plasmato sul modello del padre. Ognuno può
cambiare la propria condizione sociale se lo vuole veramente: si dice che
l’America sia il paese delle grandi occasioni, dove tutto è possibile, dove la
libertà è di tutti. E poi ti rinchiudono dentro il braccio della morte...
Ma non sempre è così: Robert si lascia trasportare dagli errori del vecchio
Hudson, nonostante vada a lavorare in nero da Larry per guadagnare qualche soldo
per procurarsi da mangiare, nonostante tenti di non divenire come lui, alla fine
quell’insegnamento, indiretto o diretto - dipende dai punti di vista -, ricade
inesorabilmente su Robert facendogli lasciare per sempre la scuola, il lavoro e
tutto ciò che lo legherà alla nuova famiglia. La scomparsa dei familiari a lui
cari come la madre suicida, ma anche del padre poi, faranno sì che scatti
qualche cosa dentro di lui, allontanandolo dalla realtà, costringendolo a
trovare una compagnia che lo aiuti a sopravvivere, ad essere qualcuno. Ma anche
questi non saranno dei veri amici, e lo capirà quando Peter... Dovrete leggere
il romanzo per sapere cosa voglio dire.
8. Nelle ultime otto ore di vita di Robert accade qualcosa, qualcosa che
potrei definire una manifestazione; difatti Robert si trova, suo malgrado, a
fare i conti con sé stesso, con la sua coscienza che gli appare simile a un
mezzo incubo, a un mezzo sogno. Ne "L’ultima notte" c’è un grande scavo nelle
latebre umane per farle emergere. Come sei riuscito ad immedesimarti dentro la
psiche (l’anima) di Robert che vive le sue ultime ore? hai lavorato di fantasia
o hai anche compulsato delle biografie di condannati a morte; e se sì, quali?
Forse è una mia caratteristica quella di scavare all’interno della psiche dei
personaggi, di coloro che invento e faccio vivere di vita propria, o almeno ci
provo. Mi piacce molto la psicologia, per esempio ho fatto un corso come RLS (legge
626), Rappresentate della sicurezza dei lavoratori, per l’azienda in cui lavoro,
eletto dagli operai stessi circa 6 anni or sono, all’interno della RSU, proprio
sulla psicologia della comunicazione. E tra le 40 ore di corso pagate
dall’azienda, è stata una delle lezioni di 4 ore più interessanti. Altri si
annoiavano, lo rammento bene, altri dicevano che era una cazzata, ma io ho
sempre cercato di scavare nella testa delle persone, chiacchierando, facendo i
vari confronti con le varie parti, - l’avvocato del diavolo si potrebbe dire -,
forse perchè mi sento sempre uno scrittore, e lo scrittore di solito deve saper
gestire tutti i punti di vista dei vari personaggi.
Molti scrittori invece preferiscono scavare nella loro vita ammucchiando
fatti su fatti, disegnandoli quasi davanti a noi lettori, e ce ne sono di bravi;
ma io, oltre a questo, anche se cerco di non esagerare mai, preferisco vedere
dentro la mente del personaggio, chiunque esso sia, piuttosto che osservare
soltanto quello che gli sta attorno.
Devo anche dire che, proprio per questo motivo, non ho usato assolutamente
biografie di condannati a morte, in nessun paese e con alcuna tortura più o meno
rapida. (Quando hanno fatto andare Sparky per la prima volta, avevano detto che
sarebbe stato il metodo per uccidere una persona condannata, più veloce ed
indolore di sempre, ed invece...)
Ho usato soltanto la mia fantasia, nulla di più, con calma, anche se poi il
libro l’ho scritto in due mesi e mezzo circa. Non è semplice seguire una storia
dove devi scavare all’interno di un personaggio. E io ho maturato negli anni una
mia tecnica che qui posso riassumere brevemente: non inizio mai un racconto o un
romanzo se non ho davanti a me un periodo vuoto con tutto il tempo che voglio a
disposizione. Vuol dire che non devo andare a correre in quel periodo - circa
tre mesi -, quindi quasi sempre in inverno; vuol dire che non ho impegni
duraturi di qualunque genere. Devo sentirmi libero di lavorare non appena torno
dal lavoro, quindi mi siedo davanti al computer e scrivo per un paio d’ore sino
a sera fatta. Questo include anche date importanti come Natale o il Primo
dell’anno, e non scherzo. Quando inizio un lavoro lo devo portare a termine nel
più breve tempo possibile per essere sicuro di non aver dimenticato nulla dei
personaggi per strada. E spesso, nonostante tutto, mi succede e allora devo
tornare a rimettere a posto le cose. D’altronde non potendo fare lo scrittore a
tempo pieno per mestiere: elaboro spesso i capitoli al lavoro, e a casa li
scrivo, giorno per giorno, senza saltarne uno se non per un caso eccezionale, ma
gli errori talvolta nascono lo stesso.
9. Il tuo stile: dì pure quello che vuoi, come l’hai maturato e verso
quale direzione si sta muovendo.
Diciamo che dai sedici anni in cui scrissi Fino alla Morte e Adrenalina, due
romanzi che si accavallano nella stesura, ad ora, il mio stile è sicuramente
migliorato. Diciamo che si è affinato un po’, ma questo lo dovreste dire voi
leggendo i miei vecchi e nuovi lavori, io non sono un buon giudice. Non dico che
quello che scrivo ora sia migliore o peggiore, o peggiore era la narrativa che
ho scritto all’epoca, dico soltanto che alle volte sembra che ci sia una mano
diversa dietro a quelle storie. Mi piace cambiare genere letterario; leggo, come
vi ho già detto, un po’ di tutto, quindi di conseguenza credo di essere in
qualche modo in grado di assorbire i vari generi e trasmetterli con un mio
stile… non so spiegarlo in altre parole. Ultimamente mi sono dato una regola
nuova, scrivere i racconti o i romanzi come se stessi scrivendo un film, una
sceneggiatura, e difatti il mio ultimo lavoro in ordine cronologico, finito a
febbraio, non è altro che una sceneggiatura di circa 50 cartelle, quindi un
centinaio di pagine. Veloce da leggere, a mio avviso crudo, un noir che parla
del traffico d’organi di bambini dall’est europeo, l’unico romanzo che mia
moglie ha letto tutto d’un fiato dicendomi che gli piaceva. E di lei mi fido
come critico.
Non so come saranno gli altri, di sicuro non sceneggiature, in quanto dipende
(anche) da cosa devo scrivere; un fantasy sarà scritto in terza persona con il
mio solito stile, cercando di descrivere bene i luoghi e le battaglie se ve ne
dovessero essere, dovrà essere movimentato e pieno di colpi di scena; un noir
invece dovrà essere secco e crudo, breve nei capitoli e via così. Spesso la
storia nasce da sola, non ci penso più di tanto, e di conseguenza anche lo stile
narrativo nasce da sé.
10. Credi che "L’ultima notte" sia indirizzato soprattutto… a chi?
A chi come me pensa che la pena di morte sia un rituale barbaro e senza più
alcun scopo civile. Non si può pensare di salvare la società dalla feccia,
semplicemente eliminandola. In molti casi si potrebbe tentare un recupero, o
perlomeno condannare i colpevoli a riflettere - sino a che non sopraggiunga
morte naturale - sul male che hanno compiuto ma da dietro le sbarre.
Lo consiglierei soprattutto a quelle persone che non guardano in faccia la
realtà, a quelle persone che le girano le spalle, a quelle che cambiano canale
quando in tv (raramente o quasi mai) parlano di qualcosa di serio. E’ troppo
facile dire - come mi è stato detto - che il mio libro è crudo, che è pesante in
alcune sue parti, - quali siano non me lo hanno detto però -, tirandosi indietro
e voltando la testa; e i loro pensieri altrove, ad una vita felice, al gelato
lungo il corso, alla partita di pallone alla domenica etc...
A tutte quelle persone dico: LEGGETELO E PENSATE A CHI STA PER MORIRE PER
MANO DI UN UOMO CHE SI E' FATTO DIO, MENTRE VOI CENATE!
11. E’ possibile considerare, a tuo avviso, "L’ultima notte" un romanzo
con una sua specifica appartenenza politica e/o sociale? E se sì, perché?
Di sicuro è un romanzo-critica, una storia che non ama quella barbarie,
quindi si schiera con quella sponda politica che non vuole la pena di morte. Da
un po’ tutti i lati questa idea esiste, a seconda del paese in cui si va; io
sono di sinistra, non ho problemi a dirlo, forse si era già capito, e la storia
segue un po’ le mie idee che, ovviamente, non devono essere per forza uguali o
speculari a quelle di un altro appartenente alla stessa "sponda" politica.
Di sicuro è un romanzo socialmente utile a quelle persone che non hanno
ancora capito cosa voglia dire condannare una persona a morte. Molti potrebbero
dire che ammazzerebbero l’uomo che ha ucciso un suo parente, per esempio, ma lo
farebbero veramente se potessero? In molti paesi questo avviene, e non per
semplice lapidazione popolare - soprattutto e comunque in paesi poverissimi e
culturalmente barbari -, ma per volere di una giuria popolare e di un giudice
sopra le parti, che, con molta scioltezza, decide il destino di una persona. A
queste persone dico una cosa: bisogna capire il motivo del gesto, i risvolti
emotivi che stanno alla base di quel gesto, insomma tutto ciò che ha portato una
persona a compiere un gesto efferato come quello di provocare la morte. Non
voglio difendere nessuno, sto solo cercando di dire che dietro ad ogni nostro
atto c’è dell’altro: la semplice apparenza ha portato molte vite umane a
spegnersi per errore.
12. Se Emiliano Grisostolo dovesse incontrare sé stesso allo specchio,
probabilmente quale domanda gli porgerebbe?
Gli chiederebbe chi sarebbe potuto essere se fosse andato a scuola. Chi
sarebbe potuto essere se non fosse andato a lavorare in una fonderia. Chi
avrebbe conosciuto e poi magari sposato. Una laureata?
Gli chiederebbe soprattutto una cosa: saresti stato felice in quel caso?
13. I tuoi progetti per il futuro: potresti dirci qualcosa in proposito?
Di progetti ve ne sono cinque, uno sicuro, gli altri ancora alla ricerca di
una loro collocazione nella mia mente. Comunque i soggetti me li sono scritti:
si tratta del quinto romanzo della mia saga fantasy, che potrebbe essere
l’ultimo ma forse solo l’ennesimo… vedremo. Poi una coppia di romanzi di
fantascienza e mitologia, dove narro del Pianeta Rosso, di Atlantide e quindi
della sua scomparsa. E una coppia di romanzi storici che narrano della vita di
Akenathon e di suo figlio Tutankamon; ma tutto è in alto mare sia per il tempo a
mia disposizione per scriverli che per l’opera di ricerca su cui poter lavorare.
Aggiungo una cosa a quanto già detto: l’Egitto è un paese affascinante che ho
avuto modo di visitare alcuni anni fa; è per me stupendo, con una storia e una
cultura unica. E un passato in cui la fantasia può lavorare a pieno regime senza
trovare ostacoli di sorta.
Poi ci sarebbero i nove lavori già pronti nel classico cassetto. Quattro
romanzi fantasy, ambientati nelle vallate attorno a Maniago, nel 1200 d.C.; ho
stravolto i nomi dei luoghi, ma la geografia dei posti è quella reale, se non
per alcuni dettagli modificati per esigenze narrative. Poi un noir breve ma
crudo, in cui parlo del traffico d’organi tra l’est europeo e Milano, con un
breve passaggio attorno a Maniago; e un romanzo breve di carattere storico, dove
narro di Caelina, mitica città che affonda le sue radici proprio tra Maniago e
Monterele. Ne parlava Plinio il Vecchio a suo tempo, e io mi sono limitato a
costruire un racconto in cui un archeologo per diversi motivi è costretto ad
indagare sulla sua esistenza. Ed ancora, due raccolte di racconti brevi, per un
totale di una sessantina di racconti di genere horror-noir-mistery-mitologico, e
chi più ne ha più ne metta. Una raccolta di due racconti lunghi di genere
horror-thriller.
Spero di poterli pubblicare più avanti, così mi direte cosa ne pensate. Nel
frattempo continuerò a lavorare in fonderia finché qualcuno non mi offrirà un
lavoro più sano, ovviamente a tempo indeterminato.
14. Grazie Emiliano, sei stato gentilissimo. Ti auguro, di cuore, ogni
bene per la tua carriera artistica ma anche per quella privata. "L’ultima notte"
è un romanzo che tutti dovrebbero leggere, perché l’oggi che viviamo temo sia
fin troppo barbaro: c’è bisogno che le coscienze si sollevino per una civiltà
che sia realmente civile.
Dici bene Giuseppe, ti ringrazio per questa lunga intervista e ringrazio
tutti coloro che hanno comperato o compreranno "L'ultima notte". Spero che le
vostre coscienze siano pulite.
Emiliano Grisostolo