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Note per un Manifesto PostCyberpunk

Inserito Martedì 31 gennaio 2006

Saggistica di Lawrence Person

"(…) I critici, compreso me stesso, insistono nell’etichettare le mercanzie, a dispetto di tutti gli avvertimenti; dobbiamo farlo, perchè è una valida fonte di chiarimento così come un grosso divertimento(…)"
Bruce Sterling, introduzione a Mirrorshades

Bud, in L’Era del Diamante (The Diamond Age) di Neal Stephenson, è un classico protagonista cyberpunk. Un criminale solitario, aggressivo e vestito di pelle nera, con modificazioni cibernetiche del corpo (inclusa una pistola nel teschio con collegamento neurologico). Bud si guadagna da vivere come esca di uno spacciatore e in seguito terrorizzando a pagamento i turisti. Tutte cose che la spiegano lunga sul perché ci rimetta i fondelli a pagina 37 di un romanzo di 455 pagine.

Benvenuti nell’era postcyberpunk.

Si può dire che la fantascienza sia entrata nell’era postcyberpunk nel 1988 con la pubblicazione di Isole nella rete (Islands in the Net) di Bruce Sterling. Così come The Artificial Kid di Sterling raccoglieva molti temi cyberpunk prima che il movimento avesse un nome, Isole nella rete prefigurava un corpo di opere crescente che può essere etichettato (almeno fino a che qualcuno non viene fuori con un nome migliore) postcyberpunk. Ma per comprendere il postcyberpunk, è importante distinguere ciò che il cyberpunk trattava (e non trattava).

I personaggi cyberpunk classici sono dei solitari marginalizzati e alienati che vivono ai limiti della società in un futuro che è generalmente distopico, dove la vita quotidiana subisce l’impatto di un rapido mutamento tecnologico, in una sfera-dati di informazioni computerizzate ubiqua e con modifiche invasive del corpo umano. Neuromante (Neuromancer) di William Gibson, naturalmente, è l’opera archetipa del cyberpunk ed è da qui (insieme a racconti iniziali di Gibson come "Johnny Mnemonic" e "Burning Chrome", a The Artificial Kid e alle opere di John Shirley) che viene il clichè "high tech/low life" del cyberpunk e dei suoi imitatori.

La patina superficiale di pelle-nera/cromo è stata in larga misura ciò che ha attratto l’attenzione dei media, ma non è ciò che ha fatto del cyberpunk il movimento letterario della fantascienza più importante dalla New Wave ad oggi. L’impatto più profondo del cyberpunk è derivato non tanto dai dettagli ambientali, ma dal metodo del loro spiegamento, la tecnica immersiva di costruzione di un mondo che gli conferiva quella qualità così rivelatoria (ciò che John Clute, parlando di Pat Cadigan, definiva "la bruciante presenza del futuro"). Il cyberpunk aveva compreso che la formula della vecchia SF di "alterare solo una cosa e vedere poi cosa succede" era irrimediabilmente sorpassata, una dottrina resa irrilevante dalla velocità furiosa del mutamento tecnologico della fine del ventesimo secolo. Il futuro non è "semplicemente una dannata cosa dopo l’altra", è tutte le dannate cose assieme. Il cyberpunk non solo ha realizzato questa verità, ma l’ha abbracciata. Parafrasando Chairman Bruce, si può dire che il cyberpunk ha portato l’estrapolazione tecnologica nel tessuto della vita quotidiana.

La parte migliore del cyberpunk ha convogliato enormi carichi cognitivi riguardo al futuro tracciando (nella migliore moda del "mostralo, non raccontarlo") l’interazione dei suoi personaggi con le minuzie quotidiane del loro ambiente. Nel modo in cui interagivano coi propri vestiti, con i propri mobili, con le proprie tastiere, i personaggi cyberpunk narravano molto più riguardo alla società in cui vivevano di quanto non avevano fatto le storie di SF "classica" con la loro interazione con robot e razzi spaziali.

Il postcyberpunk usa la stessa tecnica immersiva di costruzione dei mondi, ma presenta personaggi e ambientazioni differenti e, cosa più importante, fa deduzioni fondamentalmente differenti riguardo al futuro. Tutt’altro che tipi solitari e alienati, i personaggi postcyberpunk sono di solito membri integrati della società (per esempio hanno un lavoro). Vivono in futuri che non necessariamente sono distopici (anzi, spesso sono soffusi di un ottimismo che va dal cauto all’esuberante), ma la loro vita quotidiana è ancora influenzata dal rapido mutamento tecnologico e da un’infrastruttura computerizzata onnipresente.

L’Era del Diamante di Neal Stephenson è forse il romanzo postcyberpunk più popolare, anche se meritano considerazione Isole nella rete e Fuoco sacro di Bruce Sterling; Necroville (Terminal Cafe) di Ian McDonald; Il piano clandestino (The Star Fraction) e La divisione Cassini (The Stone Canal) di Ken MacLeod; La regina degli angeli (Queen of Angels), Slant e (parti di) Marte in fuga (Moving Mars) di Greg Bear; The Fortunate Fall di Raphael Carter; alcune opere di Greg Egan (romanzi di Egan come La Terra moltiplicata (Permutation City) e Diaspora presentano un’estrapolazione così vivida che è difficile collocarli in qualche categoria); e all’incirca le prime cento pagine di Aristoi di Walter Jon Williams (tra gli altri).

Le opere postcyberpunk, così come le loro progenitrici cyberpunk, immergono il lettore in futuri che sono riccamente dettagliati e abilmente sfumati, ma sono futuri in cui i personaggi e le ambientazioni scaturiscono da quella che per mancanza di un termine migliore potremmo indicare come la classe media. (E ci occorre un termine migliore, in quanto qui, negli Stati Uniti, la mobilità economica ha reso il concetto di "classe" quasi del tutto obsoleto.) I personaggi postcyberpunk quasi sempre hanno una famiglia e a volte hanno figli. (I bambini, piuttosto che protagonisti adolescenti audaci, super-intelligenti e incompresi, sono le creature che più mancano a gran parte della fantascienza.) Sono ancorati alla propria società piuttosto che andarvi alla deriva. Hanno carriere, amici, obblighi, responsabilità e tutti i lacci di una vita "ordinaria". O, per metterla in modo diverso, il loro paesaggio sociale spesso è dettagliato e sfumato come quello tecnologico.

I personaggi cyberpunk di solito cercano di far cadere o di sfruttare un ordine sociale corrotto. I personaggi postcyberpunk cercano di trovare il modo di vivere, e perfino di prosperare, in un ordine sociale esistente o danno una mano a costruirne uno migliore. Nel cyberpunk la tecnologia facilita l’alienazione dalla società. nel postcyberpunk la tecnologia è la società. La tecnologia è ciò che i personaggi respirano, mangiano e in cui vivono (nel caso di Aristoi di Walter Jon Williams o di Diaspora di Greg Egan, ci vivono nel vero senso della parola, con i loro io (in parte o in toto) immersi nella sfera-dati). I personaggi postcyberpunk agiscono in quella che Sterling ha soprannominato la "rivoluzione tecnologica permanente" così come facciamo oggigiorno noi.

Il cyberpunk tendeva ad essere freddo, distaccato ed alienato. Il postcyberpunk tende ad essere caldo, impegnato e connesso. (Un cenno qui al manifesto "Ribofunk" di Di Filippo.) Il cyberpunk tendeva ad essere cupo mentre il postcyberpunk spesso è quasi buffo (parti di L’era del diamante sotto questo aspetto brillano in modo più luminoso, così come succede alle opere di Ken MacLeod.) Si può anche affermare che il postcyberpunk rappresenti una fusione della divaricazione cyberpunk/umanisti nata negli anni ’80 ma:

A.) sono felicissimo di lasciare questo vespaio ad anime più coraggiose (e più temerarie)

B.) Anche se molte opere cyberpunk sono diventate più umanizzate, non sembra essere vero l’inverso (nonostante la ricapitalizzazione fatta da John Kessel del "Mozart in Mirrorshades" di Shiner e Sterling in Corrupting Dr. Nice).

Dovrebbe essere stato Isaac Asimov a dire (anche se io l’ho sentito da Howard Waldrop) che ci sono tre ordini di fantascienza, usando l’automobile come esempio. L’uomo inventa l’automobile e la usa per scovare il cattivo: narrativa d’avventura. L’uomo inventa l’automobile e qualche anno dopo vengono fuori gli ingorghi del traffico: narrativa sui problemi sociali. Nel terzo tipo l’uomo inventa l’automobile e un altro uomo inventa il cinema: cinquant’anni dopo la gente va al drive-in. E’ questo terzo ordine di narrativa, quella sul tessuto sociale, che sta al cuore del cyberpunk. Eppure quasi tutti i racconti cyberpunk, per esplorare tali problemi, usavano congegni classici della trama (giovani ribelli ardimentosi che fronteggiano ordini sociali decadenti, etc.) Il miglior postcyberpunk si inoltra più all’interno nella fantascienza del terzo tipo, con la trama che scaturisce organicamente dal mondo stesso in cui è ambientata.

L’influente saggio di Gardner Dozois degli anni ‘70 "Living the Future: You Are What You Eat" sottolineava proprio questo punto, osservando che le società future devono essere descritte come "una cosa reale, organica e auto-consistente." Il punto di vista postcyberpunk non sta fuori del vaso dei pesci e ci guarda dentro, ma sta dentro il vaso e si guarda attorno. Come risultato, il postcyberpunk di solito costeggia il confine di ciò che può essere descritto nell’inglese di fine XX secolo, sia essa la rappresentazione dei dati nello spazio Pikeover quadri-dimensionale in Slant che il qualcosa di espansione dell’intelligenza per cui Maya capisce di essere troppo vecchia in Fuoco sacro.

Per ultimo c’è l’inevitabile problema della rilevanza generazionale. Sì, il cyberpunk si riferiva agli inizi degli anni ’80 mentre il postcyberpunk tratta degli anni ’90 e in massima parte il cyberpunk era scritto da persone sui 20-30 anni mentre il postcyberpunk da gente sui 30-40. Ma c’è un altro fattore all’opera: molti scrittori che hanno iniziato a leggere negi anni ’80 incominciano proprio adesso a pubblicare le loro storie e i loro romanzi. Per loro il cyberpunk non è stata una rivoluzione o una filosofia aliena che ha invaso la SF, ma piuttosto un altro sapore della SF. Come gli scrittori degli anni ’70 e ’80 che assimilarono i classici e le tecniche stilistiche della New Wave senza conoscere necessariamente (o preoccuparsi per) i manifesti le ideologie che li generarono, I nuovi scrittori di oggi possono benissimo aver Neuromante accanto a Foundation di Asimov, Tutti a Zanzibar (Stand on Zanzibar) di John Brunner e Ringworld di Larry Niven senza avervi visto discontinuità, ma anzi tutto un continuum. Potrebbero guardare al postcyberpunk non solo come al linguaggio naturale per descrivere il futuro, ma al solo modo adeguato di iniziare ad strapolare dal presente.

Risposte alle inevitabili domande:

- Il postcyberpunk è un movimento? No.

- Non è che ci sono opere cyberpunk o postcyberpunk che non si adattano a queste definizioni? Sì. La matrice spezzata (Schismatrix) di Sterling e le sue altre storie su Shaper/Mechanist tendono ad uscire da questo schema (anche se diventa più applicabile se si considera "Moving in Clades", l’ultimo terzo di La matrice spezzata, come postcyberpunk), e Cadigan sembra aver fatto a contrario la sequenza.

- Non è che ci sono molti nuovi scrittori (Jack Womack, Kathleen Ann Goonan, Linda Nagata, Nicola Griffith, etc.) il cui lavoro potrebbe essere etichettato postcyberpunk ma che ancora non ti sei messo a leggere? E’ vero. Mea culpa.

- Non è che ci sono libri usciti negli anni ’90 che appaiono come postcyberpunk e che non si adattano alle tue definizioni? Nimbus di Alexander Jablokov, Fairyland di Paul J. McAuley e, naturalmente, Snow Crash di Stephenson, tutte sfuggono a questa tassonomia, o almeno devono essere ritenuti ibridi mutanti o tardi "classici".

- Non è che queste definizioni sono esagerate e affrettate? Non solo, ma sono anche maldestre, restrittive e appariranno di sicuro fuorvianti sotto molti aspetti da qui a qualche decennio. Il postcyberpunk, comunque, è una parte molto vitale e reale del panorama della moderna fantascienza. Necroville, Slant, e Holy Fire, pur nelle loro differenze, hanno tra di loro molto più in commune di quanto non ne abbiano con la maggior parte delle opera di fantascienza moderna nel loro insieme o anche con altri libri in quell 10% della SF che non è mondezza.

Di tutti i tratti mutanti che percolano attualmente dal corpo politico della fantascienza, il postcyberpunk è quello più adatto ad esplorare temi relative al mondo dell’innovazione tecnologica in accelerazione e della complessità crescente in modi che sono rilevanti alle nostre vite quotidiane senza perdere quel "sense of wonder" che caratterizza la fantascienza al suo meglio. Con questo non si vuol dire che il postcyberpunk sia l’unico gioco in città; scrittori di fantascienza come Octavia Butler, Stephen Baxter e Jack McDevitt (per nominarne solo tre) stanno tutti facendo un buon lavoro al di fuori dei suoi confini. Ma il postcyberpunk è il più importante gioco in città è quello che è più adatto ad affilare il taglio della punta del genere.


titolo originale 'Notes Toward a Postcyberpunk Manifesto', trad.ital. Danilo Santoni


Lawrence Person è uno scrittore ed un editor di fantascienza di Austin nel Texas. Sue opere sono apparese (tra l’altro) in riviste del calibro di Asimov's, Analog, Reason, National Review, Liberty e SF Eye. Attualmente dirige l’ultimissima incarnazione del Turkey City Writer's Workshop con Bruce Sterling e cura la rivista Nova Express, che ha ottenuto la nomination al premio Hugoper la categoria small press SF magazine .



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