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Paolo Roversi - BLUE TANGO. Noir Metropolitano

Inserito Martedì 07 febbraio 2006

Interviste intervista a cura di Giuseppe Iannozzi







 
 
Cosa accade quando uno scrittore come Paolo Roversi prende in mano la penna per dar vita ad una fotografia in bianco e nero? o meglio ancora, ad un noir ambientato nella gelida fredda Milano? Le note si diffondono lievemente, dolcemente, duramente: feriscono l’anima come unghie portate a rompersi su una lavagna nera. Piano, sotto il ritmo sincopato della voce di Paolo Conte, emerge subito Blue Tango, ed Enrico Radeschi, personaggio principale del nuovo romanzo di Paolo Roversi, non ha più possibilità alcuna di fuga perché ormai prigioniero della bramosia di conoscere, quella del lettore.
Potremmo dimenticarci dentro a una giornata di sole, tra le pagine d’un libro d’amore; e invece no, preferiamo sprofondare ben dentro al nero che Roversi ha disegnato per noi in una Milano ferale fatta di nebbie e di apparenze, di lembi di vita, in una Milano che sembra esser stata tratteggiata col carboncino.
E’ quasi Natale, è quasi melanconia: le strade della città sono vetrine, ma anche – e soprattutto – scandalo per gli occhi, sia giorno o notte, non fa differenza: lo scandalo della morte si eterna uguale. E per Radeschi è impossibile non inciamparci e caderci dentro di faccia. Milano non è una città sicura, non lo è mai stata, e le prostitute, anche le più raffinate ed intelligenti, hanno da sempre avuta vita difficile, e spesse volte una morte assurda senza né dignità né colpevole. Radeschi è un free lance che sbarca il lunario malamente, scrivendo perlopiù articoli per le pagine della cronaca nera: è lì, con un amore alle spalle che l’ha lasciato e che torna a sposarsi alla sua memoria - però solo in veste di fantasma -, e aspetta il grande salto di qualità, forse uello che lo proietterà al centro dell’attenzione. Se così si può dire, l’occasione per mettersi in luce gli viene offerta da un serial killer, uno dei tanti, che – a una prima superficiale analisi – parrebbe fin troppo stereotipato: difatti il suo unico bersaglio sono delle giovani prostitute. Enrico Radeschi si trova invischiato nel fattaccio: una giovane prostituta viene trovata morta, ed Enrico si butta anima e corpo nel caso. In fibrillazione, l’attenzione si concentra intorno alla morte di questa giovane donna; Loris Sebastiani, vicequestore milanese, è incaricato di seguire le indagini. Loris ed Enrico si conoscono, e diciamo pure che si completano a vicenda, perché insieme sono il prototipo ideale dell’investigatore che non conosce né sconfitte né casi impossibili. I due, insieme quasi, portano avanti le indagini nel tentativo di capire perché un serial killer dovrebbe uccidere una giovane prostituta, che, fino a prova contraria perlomeno per chi nella malavita, nel bene e nel male rappresenta sempre e comunque una fonte di guadagno. Iniziano gli interrogativi, e tutti sono senza risposta. Un solo debole indizio, ma che subito si complica: un uomo finisce sotto il ferro della metropolitana. Si sospetta che l’uomo sia stato buttato, spintonato, ma da chi e perché? C’è forse una relazione fra quello che è forse un suicidio-omicidio, la linea rossa della metropolitana e le prostitute uccise nei loro appartamenti? Il sospetto è forte sia per Radeschi che per Sebastiani, che però comunicano poco o niente conducendo indagini parallele, il primo in veste di giornalista, l’altro in qualità di vicequestore. Eppure, le loro strade sempre s’incrociano, e sembra quasi che lavorino di concerto, non fosse per una sorta di attrito come amici-nemici che è fra di loro. Prima che possano rendersene conto, pienamente conto, i due sono coinvolti in una caccia che è un vero e proprio rompicapo: sì, devono stanare un serial killer, ma non solo… sarebbe infatti troppo semplice. Dietro la morte delle prostitute, dietro l’omicidio-suicidio, si annida qualcosa che solo le forze e le intelligenze congiunte di Radeschi e Sebastiani possono portare alla luce. In una Milano soffocante di genti e di razze diverse, di conti mai finiti da pagare, di strade lunghe come affanni mortali, di case ambigue asmatiche a luci rosse, di personaggi grotteschi e striscianti nella miseria della loro stessa anima, Radeschi in sella alla sua Vespa gialla – del 1974, e che lui ha battezzato Giallone – non si dà per vinto e batte la città in lungo e in largo per capire, per entrare nella mente malata del killer, ma anche per comprendere sé stesso e il motivo che lo spinge a vivere così, sempre al limite pur riconoscendo d’essere un pavido per natura.
La scrittura di Paolo Roversi è veloce, molto veloce, a ritmo, sulle note di Blue Tango: nessuna concessione, nessun elemento superfluo che si possa distinguere come backdrop noise nel corpus narrativo. Stile asciutto, come se la penna adoperata fosse in realtà un carboncino buono per disegnare sul foglio bianco della vita, o un gessetto sulla nera verginità d’una lavagna. E qualche ingenuità, qua e là a graffiare (e a griffare) meglio lo spirito pavido di Enrico Radeschi, contribuisce a fare di Blue Tango un romanzo godibile, in bilico fra la scrittura di Loriano Macchiavelli, Gianni Biondillo, Sandrone Dazieri, e per certi versi anche del miglior Scerbanenco, quello di “Venere Privata”. 
 
Paolo RoversiBlue Tango. Noir metropolitanoStampa AlternativaCollana Eretica – 208 pagine – prima edizione: 2006 – 10 Euro   





 
Intervista a Paolo Roversi - Blue Tango
a cura di G. Iannozzi

 
1. Ritengo sia abbastanza improbabile, ma a chi ancora non dovesse conoscerti, che cosa racconteresti di te, Paolo Roversi scrittore? Sì, certo la biografia è on line sul tuo sito, ma io vorrei che aggiungessi qualcosa che non si sa, anche se non pienamente corrispondente al vero: ecco, chi potrebbe (anche) essere Paolo Roversi scrittore e uomo?
 
Ti posso dire chi non sono: Patrizio Roversi, innanzi tutto, il marito di Syusy Blady. Ormai da tempo mi scambiano per lui. A volte si presentano addirittura alle mie presentazioni e rimangono delusi di non trovare il turista per caso. Il dubbio, comunque, è legittimo. Non solo per il cognome: io e Patrizio, entrambi mantovani, siamo nati ad una decina di chilometri di distanza. Magari alla lontana siamo pure parenti...
Poi ho un’altra omonimia ingombrante, quella col fotografo di moda Paolo Roversi (già fotografo di Armani): mi arrivano delle mail da tutto il mondo di persone che studiano fotografia e che vorrebbero diventare miei allievi...
 
 
 
2. Per quale profonda necessità hai iniziato a scrivere?
 
Scrivere è una cosa che ti senti dentro, non lo decidi. Io ho cominciato come giornalista, quando avevo diciotto anni. Da lì la passione si è rafforzata al punto che il bisogno di raccontare agli altri è diventato qualcosa di impellente.
 
 
 
3. Quali gli autori che hanno ispirato la tua penna, da sempre? Ce n’è stato forse uno che ti ha insegnato qualche cosa di più significativo rispetto ad un altro, e se sì perché?
 
Facile rispondere: Bukowski. E sul perché ci ho scritto un libro (http://www.roversiplanet.com/buk/scrivoracconti_bukowski.html). Il vecchio Charles, al di là degli argomenti, sapeva trasmettere emozioni, scriveva benissimo: se ti poteva dire una cosa in quattro parole non ne avrebbe usate né tre né cinque. Aveva il senso della frase, il senso del ritmo quando scriveva; sapeva sempre fino a dove spingersi per tenere viva l’attenzione del lettore. Un libro su tutti: Post Office.
 
 
 
4. Non ti sei mai provato sino ad ora con la narrativa di genere, con un noir: come mai hai scelto di scrivere un noir? per andare incontro ad una moda? Sì, lo so, la domanda è di quelle cattive, o per meglio dire maliziose: però so che mi risponderai con piena sincerità.
 
Io penso che se l’uomo è ciò che mangia, lo scrittore è ciò che legge. Io sono un divoratore di noir: Ellroy, Lansdale, Raymond, Bunker, Carlotto, Macchiavelli, Lucarelli, Dazieri, De Cataldo... Non so se sono così di moda: a me piacciono parecchio; così quando ho preso in mano la penna per scrivere  un romanzo mi è venuto naturale raccontare una storia nera.
 
 
 
5. “Blue Tango”, questo il titolo del tuo ultimo romanzo, che è anche una famosa canzone di Paolo Conte, dall’album del 1979, “Un gelato al limon”: “Parigi accoglie i suoi artisti/ pittori, mimi, musicisti/ offrendo a tutti quel che beve/ e quel fiume suo pieno di neve/ e la illusione di capire/ con l’arte il vivere e il morire/ su antichi applausi a fior di pelle/ di molte donne ancora molto belle/ blue tango…” Quale il legame profondo che lega la colonna sonora scritta da Conte al tuo noir, che si svolge interamente a Milano?
 
La voglia d’evasione. Vedi Radeschi, il protagonista, ascolta questa canzone quando vuole estraniarsi dalla realtà, quando ha bisogno di riflettere. La voce e la musica di Paolo Conte gli permettono d’immaginare di essere altrove. Magari a Parigi.
 
 
 
6. “Blue Tango”, il tuo noir, è ambientato a Milano: quanto Milano, questa città di cemento, ha saputo darti, a livello emozionale? E a livello artistico? Io ho l’idea – forse sbagliata – che Milano essenzialmente una città sterile, di affaristi, e di chi se la passa male, molto male.
 
Milano è una città che dà le vertigini quando ci arrivi. Io ci vivo da cinque anni e i ritmi rilassati della provincia cui ero abituato, qui vengono spazzati via in un attimo, ti senti come risucchiato in un vortice. Poi se scappi, ti ci abiti. Milano è una città che devi imparare a conoscere per apprezzarla a fondo. Se ci vieni da turista un paio di volte hai un’impressione: il duomo, Brera, i Navigli, le vie della moda... Se la vivi, se la giri in scooter come il mio protagonista, se frequenti certi posti non così “turistici” , che sono poi quelli che ho cercato di descrivere nel mio libro, allora assume un volto più umano. E può diventare il luogo ideale per ambientarci un romanzo.
 
 
 
7. Protagonista indiscusso di “Blue Tango” è un giornalista, un free lance e un hacker, che si improvvisa investigatore, riuscendo laddove la polizia sbatte il naso solo per romperselo. Chi è Enrico Radeschi che percorre le strade di Milano in sella al suo Giallone, una Vespa del 1974? Quanto di te c’è in questo personaggio uscito dalla tua fantasia?
 
 
Radeschi è un sognatore, un trentenne con la sindrome di Peter Pan. Non vuole crescere e resta sempre saldamente ancorato alle sue passioni: il computer e la cronaca nera.
Credo, inoltre, che in ogni personaggio ci sia molto dell’autore. E non parlo solo del sottoscritto, naturalmente. La cosa più macroscopica è che anch’io, come Radeschi, possiedo una vespa gialla del 1974; a parte questo il resto è pura inventio letteraria, anche se è impossibile non mettere una parte di sé nei personaggi che si descrive.
 
 
 
8. Come mai il labrador, il cane di Radeschi, ha un nome piuttosto singolare, Buk? Ma a Radeschi, per il suo bene, non gli sarebbe convenuto abbandonare Buk al suo destino… non è bello avere in casa un cane dispettoso. E forse non è neanche bello per Buk avere per padrone Radeschi. Perché stanno insieme, perché dividono lo stesso spazio Buk e Radeschi?
 
Lo ammetto questa è un’altra caratteristica che il  protagonista ha ereditato dall’autore: lo scrittore preferito di Radeschi è Bukowski e così, quando si trova questo cucciolo fra i piedi, il primo nome che gli trova è quello del suo autore favorito.
Radeschi, come dicevo, è un bambinone e qual è il bambino che non ama i cani? Lui adora il suo labrador, e nonostante la convivenza con il cane non sia sempre facile, non potrebbe mai separarsene. Inoltre ha una convinzione: portarselo sempre appresso aiuta a far colpo sulle donne...
 
 
 
9. In “Blue Tango” convergono tanti e tanti personaggi, alcuni molto singolari, che per il carattere che si ritrovano pare siano usciti direttamente dalle pagine di un fumetto underground. Potresti dirci di loro, di come se la passano? e, in primis, di Loris Sebastiani, che fa (e non fa) coppia con Radeschi durante le indagini nel tentativo di stanare un serial killer
 
Loris Sebastiani è l’alter ego di Radeschi. Vicequestore, sbirro tutto d’un pezzo, ma anche donnaiolo, esperto enologo va sempre in giro vestito elegantissimo con l’immancabile Toscanello spento fra le labbra. E’ burbero ma ha fiuto per le indagini anche se spesso è troppo irruento. Ha bisogno di Radeschi per tutte le faccende informatiche visto che lui col Pc è negato. In cambio, gli fornisce ghiotte notizie da mettere sul giornale. Diciamo che uno non potrebbe esistere senza l’altro.
Quanto agli altri personaggi del romanzo credo che se la passino bene, tra alti e bassi come tutti: sono questurini, spacciatori, prostitute d’alto bordo, universitari, autisti,giornalisti, portinai... Tante voci che ho inserito per descrivere il più realisticamente possibile la Milano di oggi.
 
 
 
10. Come mai usare lo stereotipo del serial killer che si fa e fa poi fuori le prostitute? Sì, un’altra domanda di quelle cattive.
 
Il serial killer non è certo un argomento nuovo nel noir, lo ammetto. Quello che ho cercato di fare è stato di costruire un killer atipico (te ne sarai reso conto scoprendo la sua identità alla fine). In pratica, restando all’interno dei canoni del genere ho cercato di sviluppare in maniera originale un tema che originale non è.
D’altronde nei noir ci si aspetta che il cattivo di turno ammazzi un mucchio di persone, dico bene?
 
 
 
11. Sbaglio o Radeschi è piuttosto imbranato (sfortunato) con le donne? Be’, non solo con le donne.
 
Sì, è essenzialmente un romantico. Un timido che beve per farsi coraggio e spesso cerca di rimorchiare via mail. D’altro canto questo è anche l’aspetto che le donne, o almeno certi tipi di donne, apprezzano in lui: fa venir fuori il loro lato materno.
 
 
 
12. C’è un messaggio politico o sociale nascosto fra le righe di “Blue Tango”? E se sì, quale?
 
Il noir è per vocazione romanzo popolare, racconta quello che ci sta intorno, la nostra la società. Non la società in cui tutto va bene però:  il noir indaga piuttosto gli aspetti più cruenti, le cose che non funzionano, il lato oscuro, ciò che ci spaventa ma da cui siamo misteriosamente, e forse morbosamente, attratti.
 
 
 
13. Da un po’ di tempo è in corso un acceso dibattito che non accenna a smorzarsi, quello intorno al ruolo della letteratura e della narrativa. A tuo giudizio, esiste una differenza sostanziale fra narrativa e letteratura, oppure no? Per quali motivi?
 
Secondo me non si può sapere a priori se un’opera narrativa sia letteratura o meno.
Sarà il giudizio del pubblico, e sopratutto del tempo, a determinarlo.
Mi spiego meglio: può accadere che un libro che oggi vende molto, domani sia completamente dimenticato. Allo stesso modo un autore che oggi è considerato marginale, o addirittura sconosciuto, domani potrebbe essere riscoperto come un vero genio. Allora come si fa a decidere? La risposta che mi dò è questa: se un libro è letto tanto oggi quanto lo sarà domani, be’ quella è letteratura.
 
 
 
14. Facciamo un passo indietro: “Bukowski - Scrivo racconti poi ci metto il sesso per vendere.” Ora che il successo di questo pamphlet è stato deciso dalla critica e dal pubblico, te la senti di tirare un po’ le somme?
 
Il libro su Buk è stata un’esperienza fantastica. Non solo perché ho avuto la fortuna di conoscere ed intervistare Fernanda Pivano, che è un mito vivente della letteratura. Lo è stata, sopratutto per quello che mi ha dato questo libro. Pensa che solo l’anno scorso ho fatto più di venticinque incontri in tutt’Italia: da Roma a Venezia, da Milano a Napoli, da Firenze a Verona, da Genova a Udine, da Mantova a Teramo. Questo giro vorticoso fra librerie, pub, circoli culturali, teatri, feste all’aperto, alla fine si è trasformato in un vero e proprio tour: il Buktour (vedi tappe e foto su http://www.roversiplanet.com/buk/tourbukowski.html). Durante questi incontri ho conosciuto, e condiviso le mie passioni, con tante persone ed è stato davvero bello.
 
 
 
15. Si fa un gran parlare di Scerbanenco, come di uno scrittore inarrivabile. Niente di più falso a mio avviso: Scerbanenco scriveva assai male, senza stile, producendo parecchi errori grammaticali; e le sue storie, seppur originali, lasciano il tempo che trovano. Tu che ne pensi? Meglio esser designati dalla critica come eredi di Scerbanenco, o esser notati per originalità stilistica e di contenuti?
 
Scerbanenco era una vera e propria macchina da guerra quando scriveva; possedeva due doti davvero rare: una straordinaria inventiva e una fertilissima fantasia. Rileggendo oggi i suoi romanzi ci si rende conto che la lingua utilizzata non è quella dei giorni nostri, tuttavia ritengo che questo non nuoccia per nulla al piacere di leggere le storie che racconta. Sempre attuali nonostante gli anni e sempre intriganti. Inoltre penso che Scerbanenco avesse uno stile, il suo stile, cui tante generazioni di giallisti, nel corso degli anni, hanno cercato d’ispirarsi...
Quindi, per rispondere alla tua domanda, non mi dispiacerebbe per nulla essere definito come l’erede di Scerbanenco, anzi ne sarei lusingato.
 
 
 
16. Domanda cattiva ma necessaria come l’aria, come la pistola per un bravo poliziotto, come la penna per uno scrittore: a chi consiglieresti di leggere “Blue Tango”, e perché soprattutto?
 
Risposta politcally correct: non solo a coloro che amano e respirano noir, ma anche a tutti gli altri perché il mio romanzo racconta anche molto altro come ad esempio: l’amicizia fra due uomini, una storia d’amore, una città con le sue luci e le sue ombre.
 
 
 
17. Cos’hai in serbo per il futuro? Hai già dei progetti in cantiere? E se sì, potresti scoprire un pochino almeno le tue carte?
 
Sto scrivendo un nuovo romanzo. Tempi e contenuti per ora sono top secret.
 
 
 
18. Direi che è proprio tutto, o quasi: vorresti aggiungere qualcosa circa “Blue tango” o il tempo che fa – che è più brutto di giorno in giorno?
 
Visto che siamo arrivati all’ultima domanda mi cito addosso. Radeschi “quando era felice, triste o doveva semplicemente riflettere, ascoltava sempre e solo quella canzone, Blue Tango”. Bene, io che direi che quando si è felici, tristi o semplicemente quando fuori piove oltre alla canzone di Paolo Conte, un buon consiglio per passare il tempo è leggere “Blue Tango”.  C’è anche un mini sito dedicato al libro: http://www.roversiplanet.com/bluetango/bluetango.asp 
 
 
 
Grazie Paolo, sei stato infinitamente gentile e paziente. Hai sopportato molto bene questa inquisizione. Che la fortuna possa arridere a “Blue Tango” e a Te che ne sei l’Autore.

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