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Valter Binaghi: ''I tre giorni all'inferno di Valter Bonetti...''

Inserito Giovedì 12 aprile 2007

Autori intervista all'autore a cura di Giuseppe Iannozzi




Valter Binaghi - I tre giorni all'inferno...

Valter Binaghi: "I tre giorni all'Inferno
di Enrico Bonetti cronista padano"




“Nel 2005 ho scoperto di avere un fratello gemello. A rivelarmelo è stata una lettera di Valter Binaghi, uno scrittore che non conoscevo, nato come me nel 1957. Dopo aver letto ‘Lo stato dell’unione’ mi mandava un suo romanzo, dicendo che pensava potesse piacermi.” - Tullio Avoledo
 
“I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano” è l’ultima opera di Valter Binaghi pubblicata da Sironi Editore nella collana Questo e altri mondi.
Valter Binaghi insegna Storia e Filosofia nei licei, è musicista e scrittore. I suoi romanzi sono: L’ultimo gioco, scritto con Edoardo Zambon (Mursia 1999), Robinia Blues (Flaccovio 2004), La porta degli Innocenti (Flaccovio 2005) e “I tre giorni all’inferno…” (Sironi Editore 2007).
Un romanzo difficile da classificare quello di Binaghi, in quanto rifugge da un po’ tutti i generi pur appartenendo a ognuno di essi. Ne “I tre giorni all’inferno…” c’è dentro fantapolitica e fantareligione, fantascienza ed eugenetica, cronaca nera e cronaca rosa. “I tre giorni all’inferno…” coinvolge diversi campi dello scibile umano, e in alcuni casi li mette in ridicolo e in altri ancora consacra verità e smonta bugie e viceversa. Un romanzo robusto, non solo per le sue 405 pagine: c’è dentro la storia, o meglio la cronaca italiana e non di almeno gli ultimi cinque anni, ovvero dall’11 settembre ad oggi. Se fossi costretto a trovare un posto in libreria a questo libro, sicuramente lo metterei tra i lavori di Marco Buticchi e quelli di Tullio Avoledo.
Alcuni giovani satanisti, alle prese con festini e orge, finiscono più o meno consapevolmente fra le grinfie di Satana in carne e ossa: il satanismo nato come un gioco diventa presto qualche cosa di efferato, che vede il sacrificio di feti umani e altri inimmaginabili delitti. Un giorno, per caso, drenando un lago viene scoperto un pesce, enorme, una sorta di ventre di Giona: il pesce, seppure grande, è di per sé innocuo, soprattutto una volta fuori dall’acqua. Ma quando viene aperto per togliergli le viscere, ecco la macabra scoperta: un feto umano. Enrico Bonetti, cronista di nera in un giornale di provincia, viene mandato sul posto: certo non può immaginare, così sulle prime, che da quel macabro ritrovamento nasceranno per lui un sacco di guai. Sarà costretto a vedersela con trafficanti di organi umani, o meglio di feti, con un gruppo di satanisti coinvolti in un intrigo internazionale, con Lilith e altri demoni, con il mondo dei Morti. Ad aiutarlo nella sua indagine un frate dal passato non troppo pulito e che si sa muovere nel mondo virtuale, quello della Rete, che a detta del frate è frequentato da Satana e non solo. Il traffico di feti, da cui viene ricavato uno speciale collagene, deve essere arrestato: ma come? Bonetti non lo sa. Però sa di essere in pericolo e più di lui la donna che ama, Ljanka, una ex prostituta di cui il cronista di nera si è innamorato strappandola dalla strada. 
“I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano” di Valter Binaghi è una grande avventura, dove il protagonista, belloccio e romantico, un po’ una sorta di moderno moschettiere à la Dumas, dovrà vedersela con le forze del Male e non solo. Bonetti, lui che è non troppo credente, per la prima volta nella sua vita verrà messo proprio di fronte all’Inferno, e non semplicemente in maniera metaforica, perché Bonetti l’inferno dantesco lo toccherà con mano.
 
 
I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano – Valter Binaghi – Sironi Editore – Collana: Questo e altri mondi – 405 pagine - ISBN: 978-88-518-0078-9 - € 17,00
 
 
Leggi il prologo Clicca qui
 
Leggi un estratto Clicca qui


Valter Binaghi


1. Per te, Valter, niente domande facili: quindi chi è Enrico Bonetti? quanto c’è di te in questo cronista padano molto moschettiere à la Dumas?
 
Bonetti attraversa l’intera vicenda da cronista: descrive quello che vede, non è detto che capisca o condivida tutto. E’ il punto di vista del lettore del libro, che alla fine trarrà le sue conclusioni. L’autore è il regista occulto dell’operazione. Comunque Bonetti non mi somiglia: è un Candido dei nostri giorni. Io sono più vecchio, più smaliziato.
C’è un altro personaggio semmai, Zivago, un reduce della contestazione giovanile degli anni 70, di cui mi servo per fare i conti con la mia generazione.
 
 
 
2. Bene: “I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano” è una amalgama di tanti e tanti spunti più o meno fantastici e di altri maggiormente realistici, si passa difatti, senza pietà, dalla teogonia alla fantareligione, dall’eugenetica alla fantascienza, per arrivare alla fantapolitica. Chiaramente molte le influenze che hai investito in questo romanzo ereditate dalle tue letture nel corso degli anni… Com’è nata l’idea principale di “I tre giorni all’inferno” e per quali esigenze?
 
Diciamo che è un nodo in cui si sono addensati diversi spunti. Uno, quello più horror, legato alla cronaca: il caso delle “Bestie di satana” che si è verificato a due passi da dove vivo, l’altro, quello dell’involuzione politica e sociale degli ultimi anni, la democrazia del terrore che si è instaurata dopo l’11 settembre. Infine la percezione che l’uomo del terzo millennio sia caduto preda di una forma letale di narcisismo, che lo rende incapace ormai di distinguere tra la vita e lo spettacolo della medesima. Ho provato a mettere insieme questi tre aspetti di ciò che mi pare il Male oggettivo, con Qualcuno che ne tira le fila.
 
 
 
3. Più volte tiri in ballo il Diavolo, Satana, Belzebù, il Signore delle Mosche: dunque, chi sarebbe il diavolo oggi in un mondo sempre più globalizzato, che nega l’identità personale per sostituirla con una generica e qualunquista (o riciclata dai rotocalchi), presa di forza dai mass media?
 
E’ chi vuole acquisire un potere assoluto sull’essere umano. Quindi per prima cosa lo priva del suo nutrimento vitale, ciò da cui può attingere da solo: la protezione di una comunità familiare e la saggezza di una tradizione, l’identità con un paesaggio, l’autonomia produttiva e creativa, sostituendo tutte queste cose con un benessere “somministrato” dalla tecnica, dalla burocrazia, dal flusso spettacolare di immagini mediatiche. L’effetto è si, come dici, l’omologazione del pensiero, ma anche e soprattutto la crescente dipendenza.
 
 
 
4. Nel tuo romanzo, Enrico Bonetti, quarantenne piacione, romantico, debolmente depresso, incappa per caso in un caso più grande di lui e suo malgrado, alla fine, finisce col diventare una sorta di detective, non fosse altro che per salvare la donna amata dalle grinfie di alcuni magnaccia senza scrupoli. Chi sono le ragazze che fanno la vita? E la prostituzione, già di per sé abominevole, è il solo progetto satanico cui vanno incontro od on the road incontrano altre forme di sfruttamento, più subdole e malefiche?
 
Nel romanzo la prostituzione è quella di strada, dove ragazze dell’est sono vere e proprie schiave di feroci clan mafiosi, ma poichè lo sfruttamento dell’essere umano non ha limiti per chi ha potere, alcune di esse, rimaste gravide, vengono usate per alimentare un osceno traffico di neonati, che termina in laboratori ultramoderni, protetti da segreto militare.
 
 
 
5. Ljanka, la ragazza-prostituta di cui Bonetti s’innamora, è una sorta di Magdalena: che ruolo ha nella vita di Enrico?
 
Quello di fargli scoprire la semplicità dell’amore dopo un matrimonio mai decollato (da cui però ha avuto una figlia fantastica: Mabel), ma soprattutto di mettere in moto il suo interesse per una vicenda che poi è più grande di lui. Come dire, anche se poi raggiunge orizzonti impensabili, è per amore che l’uomo vero, incarnato, fa quello che fa.
 
 
 
6. In “I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti” parli spesso, per voce dei tuoi personaggi, del Diavolo, quindi del Male le cui radici sarebbero da ricercarsi nella notte dei tempi, da quando Lilith cominciò a partorire mostri. Parrebbe quasi che con questo romanzo tu voglia dire ai tuoi lettori che il pericolo per la civiltà moderna è il progresso tecnico scientifico e medico: è così?
 
No, affatto. Il pericolo non è il progresso della scienza o della tecnica, ma la cattiva filosofia di chi interpreta i dati scientifici (scientismo) e soprattutto la sostituzione dell’agire tecnico all’agire morale. Quando mi si dice che ciò che è tecnicamente possibile è anche politicamente ed eticamente plausibile, è come se fosse il cavallo a guidare il carretto anzichè il vetturino.
 
 
 
7. Anche la musica in questo romanzo non trova scampo, diciamo poca giustizia: gruppi quali Black Sabbath e Led Zeppelin vengono detti del Diavolo, ma più in generale tutto l’heavy metal viene messo sotto accusa. Come mai, ancor oggi, alcune frange di persone cadono nell’errore di credere che possa esistere Satana nella musica? Voglio provocarti: io non ce la faccio proprio ad ascoltare Mozart e Vivaldi, ad esempio: li trovo diabolicamente noiosi.
 
Non confondere l’ideologia e il linguaggio di alcuni personaggi del romanzo (giovinastri satanisti o loro interpreti) con il pensiero dell’autore. Io coi Led Zeppelin ci sono cresciuto, ignorando il lato “oscuro” di certi testi, e adesso che lo conosco considero i flirt di Jimmy Page con Aleistar Crowley più cretini che pericolosi. Certo, la suggestione potente che la cultura del rock esercita sui giovani è da considerare. Ma le ultime generazioni sono più vulnerabili ad altre forme del demoniaco: uscire dal corpo, vivere più che altro nell’avatar che mandi a spasso per la Rete, nei clip che posti su Youtube. Neanch’io impazzisco per la musica classica: sono un bluesman di vecchia data, da vent’anni faccio serate nei pub con la mia band: Doctor Blue and the Healers. Dottor Tristezza e i Guaritori perchè il blues, caro Giuseppe, è la malattia ma anche la cura.
 
 
 
8. Il tuo è un romanzo post 11 settembre e post G8, dove la fantareligione è parecchia: tutta farina del tuo sacco? Da chi hai preso in prestito in maniera più o meno esplicita? E la fantareligione, da H.P. Lovecraft a James Morrow, oggi come oggi, non è secondo te più forte d’un qualsivoglia sentimento religioso? Mi spiego meglio: io ho l’impressione che si ha bisogno del confisso fanta affinché la religione possa venir digerita dal popolo e non solo.
 
Quella che tu chiami fantareligione sono ritagli e frattaglie di gnosi antiche e moderne, che rispondono al bisogno narcisistico di una religione su misura. Capaci di produrre fenomeni di dabbenaggine e fanatismo che le religioni tradizionali tendevano ad espellere, perchè dovevano fare i conti con la praticabilità di un credo da parte di una comunità, quindi i bisogni naturali e la saggezza del senso comune, oltre a nutrire il bisogno di conoscenza del singolo. Oggi invece il confine fra gnosi religiose e aberrazione è molto labile. Come diceva Chesterton, quando si perde la fede religiosa si smette di credere in Dio per credere a qualunque cosa.
 
 
9. Nel tuo lavoro citi anche il tanto vituperato “Il codice Da Vinci” di Dan Brown: tutti ce l’hanno con Dan, il cui unico peccato è quello d’aver ridato vita – e credibilità – alla fantareligione. Però tutti non possono fare a meno di citarlo nel bene e nel male. Non credi che molti romanzi contemporanei abbiano un debito nei confronti de “Il codice Da Vinci”?
 
Certo, ha introdotto un filone di successo, una variante del complottismo. Abile artigiano o abile artigianato redazionale. La materia è datata, però. Ciò che si spaccia come rivelazione sulle vere origini della Chiesa sono speculazioni massoniche vecchie di quasi un secolo. Devo dire però che io più che a Dan Brown devo molto a un romanzo come “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco, di cui ho provato a rovesciare la tesi centrale.
 
 
 
10. A bruciapelo: sei credente, sei cristiano cattolico?
Parrebbe superflua una simile domanda da parte mia; ma io penso che il tuo romanzo sia un po’ tanto attaccato ai dogmi della Chiesa, e non te lo nego, perlomeno io ho letto una storia che difende a spada tratta il dogmatismo del Vaticano. Sbaglio, e in che misura?
 
Il Vaticano non rientra nelle mie preoccupazioni primarie. Gesù Cristo invece è l’unico maestro che riconosco, ma è anche il volto di Dio nell’uomo. L’unica possibilità per cui la parabola dell’uomo abbia un senso. Ma questo romanzo sarebbe stato “teologicamente ispirato” a prescindere dalle mie convinzioni personali, perchè il cristianesimo è l’unica narrazione disposta a riconoscere nel Male un soggetto e non una necessità o una serie di accadimenti fortuiti.
 
 
 
11. Parafrasando da F.W. Nietzsche, ti dico che non è stato Dio a creare l’uomo, dico che è stato l’uomo a creare Dio. E io aggiungo: l’uomo ha creato Dio perché l’uomo aveva bisogno di addossare (o di rimettere) le sue colpe a qualcuno più grande di lui, ma la cui natura non fosse dimostrabile se non con un atto di cieca fede. Il Diavolo è solamente l’altra faccia di quel Dio che l’uomo ha creato. Ne consegue che: se l’uomo non esistesse, non esisterebbero né Dio né il Diavolo. E’ una teoria questa che si potrebbe applicare a “I tre giorni all’inferno”?
 
No. La classica riduzione dell’idea di Dio alla dialettica del soggetto (Fuerbach, Marx, e diversamente Freud e Nietzsche) salta a piè pari la questione fondamentale. Il dialogo con Dio è interno e non esterno alla coscienza, allora meglio l’ateismo esistenziale (Leopardi ad esempio) che riconosce comunque nell’uomo una spiritualità senza oggetto. Io sull’ateismo filosofico mi ci sono fatto le ossa, visto che l’ho praticato fino quasi a trent’anni. Sono arrivato al cristianesimo dopo aver bevuto il calice del moderno fino alla feccia, quindi niente facili consolazioni o robe del genere. E nemmeno pacifista ad oltranza. Attenzione Iannozzi, e tutti voi mangiapreti, che non c’è solo il vostro beneamato Nietzsche a filosofare col martello.
 
 
 
12. C’è un messaggio nel tuo romanzo, un messaggio spirituale e/o politico, o piuttosto siamo di fronte a una bella storia, che lascia col fiato sospeso sino all’ultima pagina evitando però una qualsivoglia morale o indicazione moralistica?
 
Il romanzo è costruito in modo che chi cerca solo una storia avvincente ce la trovi, una scorribanda tra orrori e mitologie del terzo millennio. Ma c’è un secondo livello di lettura, dove cronaca e fantasia diventano relementi allegorici di un’interpretazione del mondo. Chi vuole accedervi, troverà di che riflettere.
 
 
 
13. Si fra un gran baccano intorno a letteratura, fiction, generi narrativi e letterari. Non posso esimermi dal chiedertelo: pensi che sia da parrucconi asserire che “La Divina Commedia” vale sicuramente mille volte di più di “Gomorra” di Roberto Saviano, ad esempio? E il tuo romanzo, tu in che genere, in che girone lo cacceresti?
 
Paragone improponibile. Come diceva Gadamer, un’opera d’arte è anche la storia delle interpretazioni, e Dante è storicamente la voce in cui si è riconosciuta un’intera civiltà. Il libro di Roberto Saviano è importante per la sua urgenza, la sua contemporaneità, che è un valore diverso ma ugualmente irrinunciabile per la cultura. Il mio romanzo lo caccerei nello stesso girone del “Pendolo di Foucault”, ma anche dell’ultimo di Avoledo, “Breve storia di lunghi tradimenti”: allegorie del disordine spirituale, l’entropia dell’anima.
 
 
 
14. Perché leggere “I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano”? Nell’arco di un anno si stampano migliaia di nuovi titoli, perché un lettore dovrebbe scegliere proprio di leggere Valter Binaghi piuttosto che Gianni Biondillo o Franz Krauspenhaar, ad esempio?
 
Intanto evita di mettermi in alternativa a due scrittori che stimo e che sono pure cari amici, coi quali credo di condividere un certo brio meneghino anche nella scrittura. Leggetemi piuttosto perchè la letteratura la tratto con grazia, come una signora, ma con intenzioni serie: le chiedo non la sveltina sul sedile posteriore, ma una verità superiore a quella della cronaca e perfino della storia.
 
 
 
15. (Domanda a cui puoi tranquillamente non rispondere. Anzi: prego che tu non risponda.) Che diavolo ne pensi di Giuseppe Iannozzi? :-D
 
Sei irruento, ostinato ed esibizionista più di quanto serva a sopravvivere in Rete.
Ma anche generoso, spregiudicato e amante sincero dell’arte. A me istintivamente simpatico: questo traspariva anche dallo scherzetto che ti ho combinato su NI.
Mica difficile che io e te si diventi amici.
 
 
Grazie Valter, sei stato molto paziente. Un santo praticamente!
Ti auguro il meglio, in ogni senso.


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