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Audrey Niffenegger

Inserito Domenica 27 maggio 2007

Interviste di Veronica Bond

The Time Traveler's Wife fa perno su una relazione, quella fra Henry e Clare, mentre entrambi, cioè la relazione ed Henry, scorrono attraverso il tempo. Quando Clare incontra Henry per la prima volta, lei ha sei anni e lui è tornato indietro di trent’anni per incontrarla. Ambientata a Chicago, la storia va ben oltre la tipica ballata d’amore per diventare una storia sul vivere nell’istante e sull’apprezzare le persone così come vanno e vengono attraverso la vita di tutti i giorni. Me ne sto seduta con Audrey Niffenegger, l’autrice del libro, da Ann Sathers per discutere dei suoi personaggi, della città e della creazione dei libri.

Ho apprezzato molto il tuo uso della città di Chicago nel libro. Era abbastanza evidente che hai vissuto a Chicago; già prima che leggessi le notizie su di te pensavo, questa persona è stata a Chicago, questa persona conosce Chicago. Quanto era voluto da parte tua l’uso della città come un personaggio?

Molto, perchè ho iniziato a pensare, be’ è proprio importante dare a tutto ciò un ancoraggio con la realtà. Dovrebbe essere subito evidente per chiunque lo legga che questo è un luogo reale e queste sono persone reali. La premessa del libro è talmente fantastica che occorreva proprio un contro-bilanciamento di luoghi descritti con stile documentaristico. E ho pensato che sarebbe stato divertente. Penso che Chicago abbia un qualcosa che la lega a un mondo da rivista, ma è un tipo di posto proprio pratico e accessibile. Non è proprio lo stessa cosa che vampiri a New Orleans o fantasmi a Parigi. E’ un tipo di luogo inaccettabile perchè vi accada qualcosa di veramente strano.

Fa piacere attraversarla… citi Ann Sathers e il negozio dell’Esercito e l’Oak Street Beach ed è come se, sì, ci sono stata! Ci sono stata! E ci sono stata!

Mi ha offerto la possibilità di mostrare la città e le cose che amo di essa.

Mi piacciono i riferimenti alla cultura pop. Mi piace tutto di questo aspetto perché penso che lo renda più reale… parli dei Violent Femmes e l’Aragon Ballroom…

Sono andata veramente a quello spettacolo! E’ come se Chicago fosse una cosa da fan. Vi ho messo le cose che amo particolarmente.

Un’altra cosa che mi è piaciuta… be’, non è che ami particolarmente le storie d’amore e quello che m’è piaciuto è che questa è una storia d’amore classica ma che non me ne sono resa conto… perché non era sciocca! Era semplicemente scritta in modo reale, con pensieri reali ed emozioni reali e non semplicemente "Oh, dai, scappiamo assieme!" C’erano proprio dei grossi temi sull’amore, ma non era dichiaratamente emotiva.

E’ una buona cosa. In una recensione è stato paragonato a Love Story e m’ha fatto morire. Per me la parte veramente interessante che ha richiesto un sacco di immaginazione sta in cosa significa essere sposati. Penso che per la gente realmente sposata (io non mi sono sposata mai) ci sia tanta ordinarietà e quotidianità del giorno-dopo-giorno che la brillantezza della novità scivoli via e dopo dieci anni o dopo venti anni ti abitui l’uno all’altro e non appare più tanto eccezionale che tu abbia quella persona. E ho pensato, be’, che succederebbe se quella persona se ne andasse in continuazione e tu la perdessi ripetutamente? Ciò sarebbe differente. Saresti obbligata a vivere nell’attimo, una cosa che tutti affermano, ma che credo nessuno faccia.

Pensi che sia una storia d’amore classica? Ti sei proposta di scriverla a quel modo? C’è un grosso sforzo a rendere reali le metafore che usiamo per l’amore. Cose come aspettare qualcuno che si ama e sai che resterai con lui. Fin da bambina Clare sa che finirà con lo stare con Henry sia perchè lui lo ha visto accadere sia perchè lei ha la parola di lui. E’ una cosa veramente subdola. La porta ad essere una cosa totalmente diversa da una vera storia d’amore, anche se poi lo è.

Ho lavorato all’indietro, cosicché l’immagine iniziale (probabilmente non dovremmo dire cosa è nel caso chi legge non abbia ancora letto il libro) era l’immagine centrale del libro e tutto spingeva per arrivare ad essa. Allorché ho iniziato a scrivere il libro stavo passando attraverso relazioni abbastanza infelici e mi sono detta: "Ne hai abbastanza… Voglio scrivere un libro… all’inferno con questa gente reale." Ma, inoltre, il matrimonio dei miei genitori (i miei genitori sono ancora sposati): mio padre di solito era sempre in viaggio e tutte le settimane era via all’incirca quattro giorni e così, quando eravamo bambini, c’era mia madre che cercava di cavarsela da sola. E poi i nonni, i genitori di mamma, mio nonno morì da giovane. Il libro è dedicato a lui. Un giorno si ritrovò con un gran mal di testa e tre giorni dopo era morto. Così è questa idea che non puoi dipendere dalla gente per esserci, che non puoi predire nulla. C’è probabilmente una certa dose di pensieri di speranza investita in quei personaggi.

Hai basato su questo il problema di Henry che assomiglia all’epilessia? Avevi qualche idea di renderlo in qualche modo fantascienza?

Pensavo all’epilessia e anche alla schizofrenia, quel genere di idea su una tempesta elettrica all’interno del cervello che anche nella schizofrenia si presenta come il volgersi ad una realtà che è altra e che si dipana liberamente. Mi piace la fantascienza, ma non è proprio ciò che leggo. Così non stavo provando la fantascienza, ciò a cui ero interessata inizialmente era l’avere una cosa fantastica e strana e poi la realtà normale. C’è questa idea che cambi una cosa nel mondo e tutto il resto si muove attorno ad essa. Questa idea che ti è permesso in qualche modo di giocare con la realtà. Nella mia arte in qualche modo sono surrealista: mi piace cambiare le cose.

Si vede come hai cambiato quell’elemento e l’hai reso reale, come ti sei sforzata a spiegarlo in termini di cose che possono essere reali, come un problema al cervello che può essere curato con le medicine. Assomiglia più a un problema psicologico che a un problema tipo ehi-quel-tipo può-viaggiare-nel-tempo.

Se fosse stato meccanico allora sarebbe riuscito a controllarlo. Ero interessata a che lui fosse completamente soggetto ai desideri del suo corpo o del suo tempo e questo per me ha molto più significato che il buttarlo in una macchina.

Quanto era voluto il fatto di immettere un senso di fato e di destino nel libro? Sembra che Henry vada sempre da Clare.

Semplicemente non si vedono le altre volte. Il mio curatore mi ha detto: "Bene, forse dovresti metterci più viaggi casuali," ma il manoscritto era già lungo seicento pagine.

Così avevi intenzione di renderlo più casuale?

Nella mia testa era molto più casuale, ma volevo che la storia si concentrasse attorno a loro due, così ho provato a suggerire qua e là che lui andava anche in altri posti. Portarci il lettore avrebbe voluto dire un sacco di deviazioni. E’ interessante cercare di controllare quella che risulta essere una storia abbastanza semplice e renderla solida.

Come hai gestito la linea temporale? Ho notato che dall’inizio per come è sistemata diventano sempre più vicini l’uno all’altra col passare del tempo.

Ce l’ho a casa sul mio computer: ce ne sono due. Una è la linea temporale di Clare. L’altra è quella data dall’ordine delle cose come accadono nel libro e da dove viene Henry cosicché posso vedere cosa conosce in ogni dato momento. Quello a cui lavoravo principalmente era chi sapeva che cosa e quando. Così, se avevo bisogno di un Henry che non sapeva troppe cose io introducevo un Henry più giovane. Dovrei interessarmene per una decina di anni per leggerla e avere un sacco di idee migliori per farla. Per ora è il meglio che ho potuto fare.

Una cosa su cui vorrei complimentarmi con te è nell’uso che fai del tempo presente: passi molto bene da una voce del personaggio all’altra. Trovo che in molte opere, soprattutto di questi tempi, la gente cerchi di usare tempi diversi o cerchi di passare attraverso stili di scrittura differenti perchè pensano che renda interessante la cosa, mentre, in realtà, devi avere una buona storia di fronte per fare qualcosa con la forma.

Penso che molta gente cerchi di essere furba o alla moda, il che va benissimo. Posso leggere queste cose con gioia per un po’, ma poi ho bisogno di leggere qualcosa un po’ più normale, ma è interessante che la gente continui a cercare tutte queste novità, che cerchi di mantenere il tutto nuovo. Mi diverte quando la gente inizia a descrivere il mio romanzo e ne parlano come “Originale!” e per me va bene. Per me gran parte della decisione è stata semplicemente un prodotto del materiale e ha quel tempo perchè se metti tutto nel tempo passato, prima o poi devi arrivare a definire un qualche punto nel tempo come presente. Poi tutto diventa dei flashback e così via. Io volevo che tutto stesse succedendo al momento. Così è stata proprio una decisione ingegnosa. Quello che spero è che la gente abbia l’impressione che dovunque si trovi nel racconto, sia proprio là, che le altre parti possano o meno collegarsi sensibilmente al solito prima e dopo. Spero che la gente si ritrovi col fatto che la cronologia è tutta sovvertita.

E’ stato difficile prendere una decisione in merito alla fine?

L’idea originaria che avevo in mente era che Clare arrivasse quasi a perdere la mente e ad essere completamente inabile, ma più scrivevo e più pensavo che Clare è proprio una persona abbastanza sensibile e probabilmente non sarebbe arrivata a questo. C’era gente che mi diceva che, oh, sono così belli e ricchi e felici, e io non lo reggevo e chiedevo, ma è vero?

Mi è piaciuto il fatto che non hai reso Henry un martire. Non si trovava a fare una crociata, non stava cercando di tornare indietro nel tempo per salvare Clare, non stava cercando di insegnare a qualcuno qualcosa, non aveva controllo sulla cosa. La cosa rendeva più facile il voler sapere perchè faceva ciò che stava facendo, o perchè aveva scelto di farlo.

Questa è una cosa interessante… tutti si chiedono se in qualche modo sono differenti, il che è una questione a cui non è possibile rispondere realmente: sei semplicemente quello. La parte che avviene attorno all’undici settembre è stata interessante perchè, naturalmente, è accaduta quando avevo quasi finito con il libro e ho pensato, oh, non posso proprio che passi inosservata! Per la maggior parte gli eventi del mondo reale non entrano in questo libro perchè non volevo datarlo e non volevo che riguardasse l’attualità del mondo. E’ semplicemente su questa relazione. Ho immaginato: ho questa cosa gigantesca e se almeno non ci fai un accenno finirà con l’apparire abbagliante proprio per la sua assenza.

Hai mai voluto che Henry cambiasse le cose nel passato? E’ stato difficile trattenerlo dal fare una cosa del genere?

In verità è stato molto più facile scrivere con delle limitazioni. Un personaggio che può fare ogni cosa può anche sistemare ogni cosa in ogni momento e allora non ci sarebbe più trama. E’ stato proprio d’aiuto il fatto che non potesse cambiare niente. E poi, la mia visione del mondo attualmente è abbastanza scura. L’idea che non puoi cambiare le cose coincide col modo in cui ho scritto il libro.

Hai ricevuto domande sul fatto che Henry, semplicemente ritornando in quei posti, possa cambiarli?

Il fatto del paradosso è che hai i paradossi se le cose possono essere cambiate. Tutto accade solo una volta e accade in quel modo con Henry presente, con lui che agisce, ma con il mondo che non sarà differente. Ogni volta che quella particolare cosa è accaduta lui era là. E’ un po’ come se ogni volta che fai qualcosa tu cambi le cose, ma per qualcuno che guarda dal futuro apparirà come se c’è una certa dose di inevitabilità. E’ qualcosa che mi dà da pensare riguardo all’attuale fantascienza, questo sforzo di fornire tutte le risposte e far sì che tutto funzioni chiaramente.

Hai avuto da sempre il desiderio di scrivere un libro?

Sì! Cioè, ho iniziato solo perchè avevo un’idea. Non è che mi sono seduta alla scrivania a pensare: “Oddio, su cosa possa scrivere un libro?" Ci sono voluti circa quattro anni e mezzo da quando ho iniziato a scarabocchiare i primi progetti a quando ho terminato il manoscritto. E’ una buona cosa se ci vuole un sacco di tempo perchè allora hai più tempo per pensare ad ogni cosa e puoi inserirci altre idee. Una volta ho fatto un visual book che mi ha preso quattordici anni … quello è stato un po’ troppo lungo. Io non mi preoccupo molto di quanto tempo ci vuole, ma poi, di nuovo, se stai scrivendo il primo libro non c’è nessuno che ti sta aspettando. Nessuno si preoccupa se hai finito o meno, non hai ancora nessuno da impressionare. Ora tutti stanno a chiedere, "Ehi, come va col libro?" Al momento il secondo libro è lungo venti pagine. Cerco di non preoccuparmene, con le scadenze scolastiche è difficile fare qualcosa.

Cosa insegni?

Insegno per un istituto chiamato Interdisciplinary Arts. Fa parte del Book and Paper Center cosicché gran parte di ciò che insegno ha a che vedere col fare i libri con gli scarti. Caratteri a mano, tipografia... seguo un corso che dura tutto l’anno e la gente mette un’idea e poi la progetta, la trasforma sulla carta, la rilega …

Ha molto a che vedere con la fisicità dei libri.

Ha una specie di bellezza, pensare ai libri come oggetti.

Sì…sono delle belle proprietà.

Soprattutto se hai fatti ogni singola cosa nella loro realizzazione.


titi orig. An Interview with Audrey Niffenegger; apparsa in Bookslut december 2003

tra. ital. Danilo Santoni


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