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VITA IN LETTERE (settembre)

Inserito Venerdì 19 ottobre 2007

Saggistica di Danilo Santoni

(settembre)

acquistati

letti

King, David, Lee, Isanove, Furth - Dark Tower: The Gunslinger Born (voll. 1-7)

John C. Wright - Orphans of chaos

Martin, Avery, Miller - The edge knight II - Sworn sword (voll. 1, 2, 3)

Stephen King, L'ultimo cavaliere (iniziato)

King, David, Lee, Isanove, Furth - Dark Tower: The Gunslinger Born

Michael Cunningham, Giorni memorabili

Brandon, Gunter, Macdonald - NYC mech

Prima o poi doveva succedere. Ho sempre cercato di avvicinarmi a King, ho comprato i suoi libri, mi sono riproposto di leggerli ma sempre ho rimandato il grande passo. Non saprei dire per quale motivo, forse per una certa diffidenza verso il successo: secondo una strana tendenza della mia mente se qualcosa piace a troppa gente, sotto sotto un problema c’è. E quindi ho anche smesso di comprare i libri di King. Per caso, poi, qualche giorno fa mi sono fermato ad un’edicola è ho visto il primo numero di una serie a fumetti della Panini sulla Torre Nera e l’ho comprato perché mi piacevano i disegni degli autori (Jae Lee e Richard Isanove). Mi ricordavo poi di avere anche il volume iniziale del ciclo (che avevo comprato perché aveva un bel disegno in copertina! Certo, era di Whelan). Sembra quindi che questa Torre Nera mi colpisca soprattutto per l’aspetto grafico. Comunque eccomi di nuovo impelagato in un ciclo narrativo.

La Torre Nera si compone di sette romanzi scritti in un periodo di tempo abbastanza ampio (dall’inizio degli anni ’80 al 2004) mentre il fumetto per ora prevede una prima serie di sette uscite (in Italia saranno quattro fascicoli che accoppieranno due numeri per volta… se la matematica non è un’opinione uno sarà singolo!). Anche se il materiale è lo stesso, le due serie non coincidono cronologicamente in quanto il fumetto narra essenzialmente le vicende che accadono nel quarto volume della serie dei romanzi.

King racconta che l’idea gli è venuta leggendo (guarda un po’!) Tolkien ma che non si sia messo a scrivere subito perché non voleva scrivere una copia delle opere del grande maestro. La molla narrativa invece è scattata quando King ha visto i film western di Sergio Leone. La serie della Torre Nera presenta un mondo western dove la magia è una realtà ma la cosa è complicata dall’esistenza di una serie infinita di mondi paralleli con passaggi segreti da uno all’altro e qui ci avviciniamo molto alla serie di Ambra di Zelazny (del grande Zelazny). Penso che mi si debba dare un po’ di tempo per addentrarmi in una storia complessa che fa un uso consapevole di stereotipi narrativi come il cavaliere solitario, il peccato originale, il mago cattivo, i mondi paralleli…

Ho aspettato tanto a leggere King, ora ho iniziato...

Il mese scorso avevo comprato un libro per un motivo piuttosto prosaico: era a metà prezzo. Ero anche convinto che non lo avrei mai letto, invece ero in vacanza e di botto mi ero ritrovato senza altro da leggere e così l’ho iniziato. Si tratta di Giorni Memorabili di Michael Cunningham e dopo qualche difficoltà iniziale (ne parlavo nell’intervento del mese scorso) sono arrivato alla fine. Si tratta di un romanzo strano e di difficile catalogazione. E’ composto da tre diversi racconti che appartengono a tre generi letterari differenti (ghost story, thriller e fantascienza)e hanno in comune solo degli elementi astratti:

1. I personaggi principali di ognuno sono tre, un ragazzo, un uomo e una donna (forse sarebbe meglio dire un ragazzo, un maschio e una femmina); i nome dei tre personaggi si assomigliano: Lucas Simon e Catherine nel primo, Luke Simon e Cat nel secondo, Luke Simon e Catareen nel terzo, quasi a sottolineare la ripetitività del ruolo che essi svolgono nell’economia delle storie.

2. In ogni racconto c’è un personaggio oppresso dalla poesia di Whitman

3. Una tazza da tea dall’aspetto strano e misterioso ritorna in tutti e tre i racconti

4. Alcuni accenni secondari rendono l’idea di una continuità dell’azione tra un racconto e l’altro: nel primo racconto c’è un incendio in una manifattura dove muoiono tutte le operaie, nel secondo la protagonista andrà in una università che è stata costruita accanto a quell’edificio e chiederà notizie proprio di quell’incidente. Nel secondo la protagonista indaga su una banda di terroristi che nel terzo verrà citata come la causa principale della distruzione del mondo.

Nel primo racconto ambientato a New York verso la fine degli anni ‘70 dell’ottocento un dodicenne che ha perso il fratello in un incidente sul lavoro e vede la morte attraverso gli occhi del poeta; è convinto che il fratello sia imprigionato all’interno della macchina che lo ha ucciso e che tenti, in qualche modo, di portare con se la propria fidanzata. Nel secondo, ambientato nella New York post 11 settembre, dei bambini spinti dai versi del poeta si fanno saltare in aria assieme a degli sconosciuti. Nel terzo un replicante va alla ricerca del proprio costruttore che per salvaguardare la sua integrità ‘spirituale’ gli ha immesso un chip poetico.

Fondamentalmente è un libro sulla morte: sulla morte fisica e sulla morte spirituale che la vita moderna induce nell’animo; sembra quindi naturale l’uso di Walt Whitman che con versi del tipo “to die is different from what anyone supposed, and luckier” può essere definito benissimo come il poeta della morte e la sua poesia sarà quindi il personaggio principale dell’intero libro, anche se molto spesso i versi citati hanno un’aria di casualità. Ma l’uso di Whitman per Cunningham ha uno scopo preciso: il poeta è stato il cantore di ciò che è grande dell’America, senza curarsi delle classi sociali, delle differenze sessuali o della razza; usare la sua poesia vuol dire riproporre questo amore senza pregiudizi. Cunningham ama la sua America, quella urbana e violenta e tragica, quella stessa America che nasce dalla letteratura popolare e proprio dalla letteratura popolare è descritta: l’America delle ghost stories, dei thriller e della fantascienza.

Due curiosità finali: il titolo del libro viene proprio dall’autobiografia del poeta e i tre racconti sono ambientati a New York con la sola eccezione della seconda parte del terzo che narra di un viaggio a Denver, che è il punto più lontano verso cui si è spostato Whitman.

L’ultimo racconto sull’androide in una città artificiale mi ha fatto tornare alla mente un fumetto che avevo comprato e riposto in libreria senza leggerlo. L’ho ripreso ed ho iniziato a leggerlo. Si tratta di NY Mech di Brandon, Gunter e Macdonald un vecchio fumetto del 2004 che narra la vita quotidiana violenta e sfasata di alcuni robot che vivono in una New York abitata esclusivamente da robot. Che fine abbiano fatto gli umani non è dato di sapere, la città è così, interamente abitata da esseri metallici dalla forma umana che si comportano proprio come si comportavano gli umani, mostrandone le stesse bassezze e gli stessi istinti. La genialità dell’idea sta proprio qui, prendere delle conosciutissime ambientazioni noir e popolarle di robot. Ciò che sarebbe stato scontato per un personaggio umano diventa quasi ironico e didascalico se vissuto da un essere artificiale. Perché mai un robot dovrebbe andare a rapinare una drogheria? Quali bassezze generano gli stimoli dei suoi circuiti? Ormai non ci meraviglia più niente nel comportamento dell’uomo, solo osservandolo riflesso in una macchina forse riusciremo a rifletterci un po’ su.


vita in lettere del mese di agosto



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