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La metàfisica di Groucho
Inserito Mercoledì 14 novembre 2007
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di Luigi Siviero, anteprima del paragrafo 2.3 del libro Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole
«Metafisica? Se metà è fisica, l'altra metà com'è?»
si chiede Groucho - il ben noto assistente di Dylan Dog - senza
realizzare sul momento di stare partorendo quella che diventerà la più celebre
fra le sue infinite battute e forse senza rendersi conto che la frase nasconde
più di un fondo di verità (1). Metafisica, cioè ciò che viene
dopo la fisica. Inizialmente era un nome di comodo ideato dai filosofi
successivi ad Aristotele per riferirsi a quei testi dello Stagirita che,
nell'ordine in cui erano stati tramandati, erano collocati dopo gli scritti
sulla fisica (2). Si tratta
quindi di un nome dalla doppia anima in cui il significato posteriore raffinato
convive con un'origine schietta e sfacciatamente servile, quasi a preannunciare
possibili domande e presunte risposte. Groucho, pur sbagliando l'etimologia,
coglie questa ambivalenza nella metafisica da un lato coniando una definizione
scalcinata e dall'altro suggerendo che ci sia qualcosa di ulteriore davanti al
quale affacciarsi con l'atto del domandare. Groucho quindi non fa solo ironia
spiccia, perché per mezzo della sua battuta suggerisce una metafisica dalla
natura ossimorica in cui la convivenza e l'impasto fra poli antitetici va oltre
il semplice aspetto semantico, lasciando intravedere la convivenza di
contraddizioni che non si limitano alla nascita del nome contrapposta al
significato assunto con il passare del tempo.
La cosa più importante da
notare a proposito di questa battuta è che Tiziano Sclavi (tramite Groucho)
percorre la strada non ortodossa della "folle ironia". Questo approccio - una
sorta di riverenza che porta a non affrontare il tema di petto, compensata con
l'imbocco di vie personali e poco battute - è una costante nei suoi fumetti di
“Dylan Dog” e infatti si può trovare un esempio anche in “Ucronìa” (3), un albo uscito a distanza di quasi
venti anni da quello con la battuta di Groucho sulla metà fisica.
A
pagina 79 di “Ucronìa” si legge questo dialogo fra Dylan Dog e l'ispettore
Bloch. Bloch: «Abbiamo diffuso il suo identikit, ma niente, neanche una
segnalazione. Svanito nel nulla». Dylan Dog (nuvoletta di pensiero): «Il
nulla». «Il nulla esiste o non esiste? Cosa ne direbbe Knock?... Forse la
realtà è un non-nulla... un nonnulla...» Bloch: «Beh, ti lascio, old
boy». «Vado a farmi licenziare dal soprintendente». Dylan Dog: «Ciao,
vecchio e grazie di tutto». Bloch: «Di niente. E' proprio il caso di dirlo:
di niente».
L'andamento di questo ciclo di parole e pensieri è
tortuoso. Non si tratta di un vero e proprio dialogo perché Bloch parla
mentre Dylan Dog rielabora mentalmente quello che dice l'ispettore, in una
sequenza di nuvolette che, per i cambiamenti di rotta repentini, ha un sapore
onirico. La parola "nulla" è detta da Bloch senza la minima intenzione di
chiamare in causa la filosofia ma Dylan Dog la prende di peso portandola
drasticamente in un altro contesto - questo sì metafisico - fatto di nulla,
realtà e nonnulla. Alla fine della sequenza però Bloch si riappropria di quel
nulla (diventato "niente") riconducendolo dal campo della metafisica a quello
delle sue preoccupazioni e delusioni di ispettore lontano dalla
pensione. Quest'altalena di pensieri rivolti tanto a un nulla quotidiano (il
nulla della pensione di Bloch se verrà licenziato) quanto a un nulla che è
l'idea di nulla ricorda da vicino quella tensione nella metafisica individuata
nella battuta di Groucho. E in mezzo a tutto questo spicca il ragionamento di
Dylan Dog - la "folle ironia"? - che fra sé passa con nonchalance dal nulla al
non-nulla fino ad arrivare al nonnulla.
Sempre in “Ucronìa” c'è un altro
esempio di questo tipo di approccio da parte di Sclavi. Il professor Knock
spiega che nella fisica quantistica il nucleo della particella può esistere
contemporaneamente in due condizioni, intatto o disintegrato, finché un
osservatore non lo esamina. Secondo un'efficace metafora (4) del fisico Erwin Schrödinger se si
chiude un gatto in una scatola non si può sapere se è vivo o morto fino a quando
non si riapre la scatola per osservarlo. Nel fumetto la scatola è sostituita
con la coppia di tavole (sulla composizione delle coppie di tavole ho scritto
questo articolo). Nella tavola pari il gatto è nella scatola e per Dylan Dog non
c'è nulla di quantistico se non la prevaricazione nei confronti di un animale
indifeso. Fino a che non si volta la tavola (azione che coincide con l'apertura
della scatola) non si può sapere se il gatto è vivo o morto. Cosa succede
girando la pagina? Si scopre che nella scatola ci sono due gatti, uno vivo e
l'atro morto!
Come nei casi precedenti un argomento "istituzionale" viene
stravolto con una deviazione verso un territorio nuovo dove regnano l'assurdo e
l'inaspettato. Mi sembra che ci sia da parte di Sclavi sia una sorta di
timidezza che lo porta a visitare questo tipo di argomenti con un velo di
rispetto sia la voglia di meravigliare il lettore, portandolo lontano da
trattazioni ingessate e pedanti.
NOTE (1) Tiziano Sclavi e Montanari &
Grassani, «La Zona del Crepuscolo», in Dylan Dog Collezione Book, Sergio Bonelli
Editore, Milano, 1996 [1987], pag. 41.
(2) Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero,
Protagonisti e testi della filosofia, Vol. I, Paravia, Torino, 1996, pag. 304:
“Il termine «metafisica» non è aristotelico. Con esso la posteriorità e la
tradizione hanno indicato (…) quella parte della filosofia che indaga le
strutture profonde e le cause ultime del reale, che vanno al di là delle
apparenze immediate dei sensi o del campo di studio della fisica. Per indicare
tale disciplina, Aristotele usava il termine «filosofia prima». Sebbene la
nascita della parola metafisica sia casuale, in quanto pare che essa risalga ad
Andronico di Rodi, che nel I secolo d.C., ordinando i capolavori aristotelici,
mise «metà tà fusika», cioè dopo i libri di fisica, le opere di filosofia prima,
la posterità ha preferito indicare con il nome di «metafisica», forse perché più
suggestivo e pregnante, ciò che Aristotele denominava «filosofia
prima»”.
(3) Tiziano Sclavi e
Franco Saudelli, «Ucronìa», in Dylan Dog, n. 240, Sergio Bonelli Editore,
Milano, 2006, pag. 79.
(4)
Bruno Corazza, «Il gatto di Schroedinger ovvero dov'è la luna quando la
guardo?», nel sito http://scientiaemunus.provincia.parma.it; in
questo articolo l'autore parla di universi paralleli connessi al Paradosso del
gatto di Schrödinger: «Si può pensare che la teoria sia per così dire
sovrabbondante, prevedendo una infinità di universi “paralleli”, ma
incomunicabili tra loro. Potremmo pensare che si tratta di universi possibili di
cui uno, quello in cui ci troviamo, si è realizzato. Ma non possiamo escludere,
se ci consola pensare che magari in un altro universo siamo in uno stato più
felice, che tutti gli universi possibili siano realizzati. Restando però
incrollabile l’impossibilità di un passsaggio dall’uno all’altro nonché quella
di poter in qualche modo avere prove che gli altri universi esistono».
Abigail
Press di Luigi Siviero
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