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Tim Powers, essere individui, per vivere la Magia

Inserito Mercoledì 21 novembre 2007

Saggistica una biobibliografia di Marcello Bonati

Nome completo Timothy Thomas Powers, è nato il 29 febbraio '52 a Buffalo, New York, da Richard, un avvocato e Noel Zimmerman Powers, cattolici, ma vi restò solo fino ai sette anni, per poi andare in California nel ‘59.

Nel '65 spedisce il suo primo racconto, a "The Magazine of Fantasy & Sf", che gli venne rifiutato.

Nell’’80 ha sposato Serena Batsford, segretaria legale.

Ha studiato alla California State University di Fullerton, dove conobbe James Blaylock e Kevin W. Jeter, ottenendo un Bachelor of Arts (1° livello di laurea in discipline umanistiche) in Inglese nel ‘76.

Ha poi fatto innumerevoli lavori, fra i quali il barista, il pizzaiolo, il caricaturista ambulante ed il commesso in un negozio di tabacchi.

Ha insegnato ai Clarion Science Fiction Writers' Workshop della Michigan State University, al Writers of the Future Workshop e, part time, alla University of Redlands.

Vive a Muscoy, San Bernardino (California), ed è sembre sposato con Serena.

Tim Powers è comunemente designato come una delle figure di maggiore spicco dello steampunk, ma, questo, è vero solamente in parte.

Come vedremo, infatti, se certo alcuni sui romanzi sono ambientati in questo passato nostalgico di tempi meno tecnologizzati, altri non lo sono affatto.

"…appartiene all’ultima generazione di scrittori, ovvero quelli che hanno avuto a disposizione per esprimersi un linguaggio molto articolato… utilizzando atmosfere steampunk quanto i canoni dell’horror e del racconto mitologico." (Domenico Gallo, "Introduzione" a "Invito al palazzo del deviante").

"…fa (…) parte di quella schiera di scrittori (Card, Varley, Benford, Bear…) che è riuscita a mantenere in auge la fantascienza nonostante l’incalzare di due generi paralleli-horror e fantasy-che in questi ultimi anni ne hanno insidiato il primato di creatività e di vendite…" (Tim Powers: un tecnocrate nell’ottocento", di Bernardo Cicchetti).

Ma, i suoi lavori, sono molto più fantasy e horror, che Sf.

Meglio forse dire, con de Camp: "…è riuscito ad illuminare di una luce assolutamente nuova un settore che si stava avviando verso il grigiore del crepuscolo…" (citato in "Tim Powers ed il risveglio dell’interesse per la magia", di Gianni Pilo).

Certo, la sua amicizia con James P. Blaylock, principalmene, e Kevin W. Jeter, ha dato le basi allo svilupparsi di quel sottogenere, ma è un "anche".

L’aspetto tecnologico vi ha un’importanza decisamente marginale, mentre è l’elemento avventuroso quello che vi prevale, decisamente.

Un’avventurosità che spesso, come vedremo, arriva ad eccessi che la rendono un po’ troppo aggrovigliata, di difficile fruizione.

In effetti ciò che caratterizza maggiormente la sua scrittura è l’amalgamare elementi provenienti da varie tradizioni letterarie, in lavori che, spesso, risultano nonostante ciò assolutamente ben bilanciati.

"La sua capacità "sincretica" di appropriarsi dei materiali più disparati per forgiare qualcosa di copletamente originale è insuperabile." (Tim Powers: un tecnocrate nell’ottocento", di Bernardo Cicchetti)

"La sua opera… è improntata a una personale forma di "realismo magico" in cui si fondono elementi di fantascienza, fantasy, horror, occulto, psichiatria, surrealismo, comicità, storia e qualsiasi altra influenza Tim si senta, di volta in volta, di gettare nel calderone… ma sempre con risultati magici." (Al Sarrantonio, presentazione a "Itinerario").

E poi c’è il fattore "stile". Quello di Powers è decisamente al di sopra di quello medio della Sf di… anni luce. Abbiamo visto che era insegnante di lettere, e la sua Cultura la si assapora appieno, nelle sue opere: "… la dimensione di Powers è quella classica dell’avventura, ma dagli esiti tutt’altro che scontati: la sua narrativa è briosa e scintillante, con trame ben congegnate, ricche di inventiva e libere stravaganze. Oltre a possedere un ottimo senso del ritmo e dell’azione, Powers è molto bravo a giocare con un’ampia varietà di toni, passando con disinvoltura da accenti ironici e grotteschi ad altri più seri e meditati. Talvolta, forse per indisciplina o troppa generosità, non riesce ad evitare pericolose cadute, ma è raro che l’equilibrio complessivo ne risenta." (Piergiorgio Nicolazzini, "Presentazione" a "Il palazzo del mutante").

Wolfe l’ha definito "Il Maestro indiscusso della narrativa magico-mitologica", e Zelazny ne ha detto: "… è riuscito a… realizzare in moduli storico-narrativi concetti magici e riferentesi al Pantheon egizio, che nelle sue mani assumono il tono di fatti di vita vissuta…" (citati in "Tim Powers ed il risveglio dell’interesse per la magia", di Gianni Pilo).

L’elemento magico è reso credibile dal suo essere ambientato in un contesto realistico, descritto nel dettaglio: "…il lettore deve essere indotto a credere che quegli avvenimenti immaginari stiano realmente accadendo a quei personaggi immaginari; quindi lo scrittore deve fare in modo che l’intera cosa appaia il più possibile reale… cerco di trattare la magia in modo che sembri "realistica"." (Intervista all’autore, "Fantasy magazine").

Come, ancora, vedremo, questo mischiare sacro e profano ha una grande importanza, nella sua opera. Un effetto stemperante, di contrasto, assolutamente centrale.

Come al solito i miei commenti sono in "work in progress", in una scoperta progressiva dei segreti dell’autore.


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