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VITA IN LETTERE - Maggio 2009

Inserito Giovedì 14 maggio 2009

Saggistica di Roberto Sturm

Libri acquistati:
Il grande nulla (Ellroy)
I Picard (Simenon)
Principianti (Carver)
Non avevo capito niente (De Silva

Libri letti:
Il grande nulla (Ellroy)
Quando cala la nebbia rossa (Raymond)
L’uomo di Londra (Simenon)

Mese dedicato al noir, oltre (per fortuna) al Portogallo che mi ha regalato davvero dieci giorni molto belli. Terra da visitare, ancora raggiunta parzialmente dagli Stati Uniti. Per la sua posizione tanto estrema tutto sembra ancora poco contaminato. Sembra, dicevo. Ma è già molto.
Prima di parlare dei libri letti, un omaggio per me doveroso a James G. Ballard. Il mio debito di riconoscenza verso l’autore inglese è infinito. Il suo primo romanzo che lessi, nel 1981, è stato Deserto d’acqua, che a tutt’oggi reputo uno dei più bei romanzi scritti nel novecento. Qualcuno ha affermato che con la scomparsa di Ballard cala definitivamente il sipario sul secolo scorso. Probabilmente – in una certa prospettiva – è vero. Il vuoto che Ballard lascia - letterariamente parlando – credo che sia incolmabile. Regno a venire, il suo ultimo romanzo pubblicato nel 2006, è un capolavoro di genialità. Come spesso accade per le sue opere. La sua lungimiranza, la sua perspicacità nell’indagare il presente lo ha sempre portato a scrivere romanzi sempre in anticipo sui tempi, precorrendo tematiche politico-sociali ormai alle porte che la maggior parte delle persone non avevano ancora neppure intravisto.
Buon viaggio e grazie, Mr. Ballard.

Il grande nulla, di James Ellroy, è uno dei romanzi più belli che abbia mai letto. Quattrocentocinquanta pagine e più che ci catapultano in una Los Angeles di fine anni quaranta, inizi anni cinquanta, dove crimine, corruzione, legge, politica, protagonismo, potere, vizio convivono in un continuum senza soluzione di continuità. Tre uomini protagonisti, a loro volta vittime (in)consapevoli di qualcuno più in alto di loro, corrompono a loro volta, uccidono, indagano, ricattano. Ma con un’etica di fondo che chi li manovra non ha affatto.
Mal Considine, Danny Upshaw e Buzz Meeks mettono a ferro e fuoco la città. Per scopi che nascondono i veri obiettivi dei potenti. Chi caccia i comunisti di Hollywood, chi insegue un maniaco che semina vittime con una sanguinarietà depravata, chi cerca di arrivare a un malloppo che gli renda la vita futura un paradiso. Ma alla fine è l’inferno che esplode, un inferno che si porta tutto dietro senza andare a intaccare il potere dei grossi calibri. Un timbro di scrittura potente, uno stile maestoso, un ritmo forsennato, una storia lucida e angosciata che ci porta nell’America dei bassifondi contrapposta a quella dei messaggi pubblicitari.

Quando cala la nebbia rossa, ultimo romanzo di Derek Raymond, non fa altro che consolidare l’ottima opinione che ho sempre avuto su di lui. Fin dalla lettura di E morì a occhi aperti che ha aperto la saga del Tenente della Factory.
Lasciato l’(anti)eroe dei suoi primi romanzi, Raymond inventa Gust, detenuto in libertà vigilata, che si trova, suo malgrado, in una storia più grande di lui. Invischiato in tutta una serie di circostanze poco raccomandabili, Gust comincia – come spesso accade ai protagonisti Raymondiani -, la sua lenta e inesorabile discesa all’inferno. La lucidità, lo sguardo gelido, la trama, i protagonisti e lo stile ci consegnano un grande autore, che ha usato il noir sempre – ma non solo – per denunciare la corruzione, l’incapacità e l’ipocrisia della nostra società e della politica. E’ superfluo sottolinearlo, ma spesso non sono gli assassini i peggiori criminali del nostro tempo.

E finiamo con Simenon. Un altro grande. Devo dire che ultimamente mi concedo delle letture veramente degne. Speriamo di continuare su questa qualità.
Anche Simenon, spesso, rappresenta la caduta negli inferi dei suoi protagonisti. Questa non è una novità, per chi conosce l’autore. Ma è fondamentale e eccezionale la maniera in cui l’autore presenta e ci accompagna all’interno della vicenda. Vite quasi sempre (pseudo)normali, gente spesso incolore, situazioni quasi sempre semplici – inizialmente -, che rasentano la banalità. ma poi qualcosa succede. Quasi per caso. E la gente prende colore, le situazioni cambiano radicalmente, l’esasperazione delle vite prende il sopravvento. E piano piano, le ossessioni divengono protagoniste con un succedersi di eventi apparentemente banali e per questo ancor più realistiche. Gli scritti di Simenon (L’uomo di Londra è del 1934) hanno la rara qualità di mantenere la loro freschezza, la loro attualità anche a distanza di molti anni. Caratteristica che li rende, quasi tutti, capolavori letterari che non moriranno mai.

Roberto Sturm


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