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VITA IN LETTERE (Giugno)

Inserito Giovedì 09 luglio 2009

Saggistica di Franco Ricciardiello

Libri comprati:
Gore Vidal, “Trilogia dell’Impero: 1. La fine della libertà; 2. Le menzogne dell’impero; 3. Democrazia tradita” (Fazi)
Dominique Lapierre e Larry Collins, “Stanotte la libertà” (Mondadori)
Ts’ao Hsüeh-ch’in, “Il sogno della camera rossa” (Einaudi)
Ibn Battūta, “I viaggi” (Einaudi)
Magda Szabó, “La porta” (Einaudi)

Libri letti:
Che il baricentro economico dell’economia globale si sta spostando verso l’Asia, oramai tutto il mondo se ne è accorto: meno palese invece è la progressiva espansione delle letterature emergenti. Per quanto riguarda gli scrittori del subcontinente indiano, la percezione forse è distorta dal fatto che la maggior parte degli autori pubblicati in occidente scrivono in lingua inglese, e questo sostanzialmente per tre ragioni:
1) perché sono residenti negli Stati Uniti o nel Commonwealth;
2) perché appartengono alla casta più alta, i brahmani, che tradizionalmente frequentano istituzioni scolastiche anglofone sia in India che in Gran Bretagna;
3) perché vista l’immensità della produzione letteraria indiana, è più “comodo” in Europa evitare di tradurre i testi e limitarsi a pescare tra i numerosi autori anglofoni di qualità.
Vikram Chandra soddisfa tutti e tre i requisiti: nato nel 1961 a New Delhi in una famiglia della classe alta, educato in college esclusivi in India e poi negli Stati Uniti, attualmente divide la propria residenza tra Bombay e Berkeley, California. Non si può definire un autore eccessivamente prolifico, considerato che negli ultimi 15 anni ha pubblicato solo tre opere: il romanzo d’esordio Red earth and pouring rain (1995, “Terra rossa e pioggia scrosciante”, tradotto nella bellissima edizione Instar Libri del 1998 e ripubblicato da Mondadori nel 2009); la raccolta di racconti Love and longing in Bombay (1997, “Amore e nostalgia a Bombay”, anche questo pubblicato in una splendida edizione Instar Libri, 1999); infine, Sacred games (2006, “Giochi sacri”, Mondadori 2007). Bisogna riconoscere che le dimensioni dei volumi sono impegnative: 646 pagine Red earth, addirittura 1159 pagine Sacred games nell’edizione tascabile.
Giochi sacri è stato un vero e proprio caso editoriale internazionale, oggetto di una guerra di diritti d’autore al rialzo tra India, Gran Bretagna e Stati Uniti. E dire che tutto sommato il romanzo, a parte la lunghezza, è in definitiva piuttosto semplice. Il motore della narrazione è abbastanza simile a Red earth & pouring rain: nel primo romanzo uno studente universitario tornava in India degli USA per le vacanze estive; una scimmia proveniente dal vicino tempio dedicato a Hanuman gli trafugava i jeans firmati stesi a asciugare, il giovane la impallinava con un fucile a aria compressa. Il trauma faceva sì che la scimmia ferita, opportunamente medicata dalla devota famiglia, sedesse alla macchina da scrivere e iniziasse a raccontare la fantastica, intricata storia della propria vita precedente, a metà tra le Mille e una notte e il romanzo gotico ottocentesco. In Giochi sacri invece il protagonista Sartaj Singh, “unico ispettore sikh della polizia di Bombay” (è abbastanza evidente che Chandra non ama il nuovo nome della città, quel “Mumbai” imposto nel 1995 dal governo sciovinista dello stato del Maharashtra) riceve una soffiata che riguarda il boss della malavita hindi, Ganesh Gaitonde. La polizia accerchia immediatamente il covo del mafioso, il quale pur di non cadere vivo nelle mani degli agenti si suicida. Tuttavia, anche dopo la morte Gaitonde continua a raccontare la storia della sua vita in capitoli che si alternano a quelli di Sartaj Singh, il quale a sua volta è protagonista della storia parallela, incaricato informalmente dai servizi segreti di scoprire cosa stesse architettando il boss. La posta in gioco è veramente grossa, ha a che vedere con la sicurezza nazionale e verrà svelata al lettore poco per volta, a mano a mano che Sartaj Singh procede nella sua indagine. Nel frattempo, davanti ai nostri occhi non si srotola soltanto la machiavellica trama della mafia hindi, ma soprattutto uno spaccato della Bombay attuale, la miseria e la grandezza di una città difficile da credere, ai confini tra una modernità esibita senza remore e una arretratezza endemica. Vikram Chandra non nasconde nulla, e dopo i primi capitoli il lettore fa l’abitudine all’illegalità e alla corruzione della polizia indiana, che attraverso il punto di vista di Sartaj Singh si può addirittura arrivare a comprendere se non a giustificare. Giochi sacri è un romanzo bello e disperato, di un realismo amaro ma non privo di soluzioni, da leggere assolutamente per cominciare a rendersi contodi quali vie seguirà la letteratura quando arriverà a svincolarsi dal predominio dell’industria editoriale occidentale.


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