un saggio di Marcello Bonati
Stanislaw Lem è una figura decisamente
atipica nel panorama della fantascienza (e “…i
suoi interessi sono vasti e profondi:
futurologia, cibernetica, strutturalismo,
filosofia, linguistica…” (Rottensteiner,
“Introduzione” a “Buonanotte Sofia”, pag.
13); egli ha infatti cominciato a scrivere in un
ambiente culturale lontano, e non solo
geograficamente, da quello statunitense: “…a
metà strada fra l’Europa occidentale e
orientale, a un crocevia di interessi culturali
vasti ma convergenti, al centro di un vivo
fermento d’idee sia in campo letterario che
filosofico.” (Lippi, “Introduzione” a “Ritorno
dall’universo”, pag. 7); “Geograficamente
collocato tra Mosca e Parigi, l’Est e l’Ovest,
Lem non è mai appartenuto all’uno o all’altro
campo della fantascienza.” (Rottensteiner,
“Introduzione” a “Buonanotte Sofia”, pag.
13).
E ha cominciato a conoscere la Sf
faticosamente, dapprima dai pochi testi, di
proto-fantascienza (Verne, Wells), che poteva
trovare nella sua lingua, e, poi, alla fine degli
anni ’50, qualcosa in traduzione francese,
dopo aver pubblicato per Denoël; fu poi Franz
Rottensteiner che, a partire dal ’68,
intraprese con lui una fitta corrispondenza
dagli States, dove, ai tempi, curava la fanzine
“Quarber Mercur”, a procurargli i primi testi
originali.
E gli consigliò alcuni autori che riteneva
“notevoli”, come Cordwainer Smith, Philip K.
Dick, James G. Ballard, Cyril M. Kornbluth e
Philip José Farmer, e i pochi testi critici allora
disponibili, “In Search of Wonder” di Damon
Knight e “The Issue at Hand” di James Blish,
ma, afferma: “…non ho mai fatto nessun
tentativo per influenzare l’impostazione del
lavoro di Lem e del resto non pensavo
nemmeno di poterlo fare con successo con un
personaggio come lui…” (“Introduzione” a
“Micromondi”, pag. X)...
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