un racconto di Annarita Petrino
Il caso Verter fece parlare per parecchio tempo, divise l’opinione pubblica e
scatenò violente polemiche. Nella storia degli scandali fu di certo il più
eclatante. Potete fidarvi di me, perché non troverete nessun altro in grado di
raccontarvi la storia nei minimi particolari. Il mio nome è Jonathan Hudson e
sono il giornalista che se ne occupò.
Tutto ebbe inizio nel mese di febbraio del 2025, quando controllando il sito
dell’OCU – Ordine Giornalisti Uniti, mi imbattei per caso in una notizia
archiviata tra le Infondate. Il sito era collegato a tutti i più importanti
bollettini telematici di informazione. Riceveva ogni giorno migliaia di notizia
smistate automaticamente e suddivise in categorie di importanza. C’erano le
Prioritarie, le Mezzane e le Infondate. Questi erano i tre principali
raccoglitori, ognuno dei quali aveva delle sottocategorie di argomenti.
Di solito lasciavo le prioritarie e le mezzane agli squali in cerca di scoop e
mi concentravo sulle infondate, perché erano quelle dove il gusto per la ricerca
tipico dei giornalisti poteva essere pienamente soddisfatto. Nella
sottocategoria Benessere delle Infondate trovai dunque il seguente post:
Non ci voleva molto a capire perché fosse stata archiviata tra le Infondate; una
tale dichiarazione messa così suonava come una grande presa in giro. Eppure… Una
specie di sesto senso, simile ai sensi di ragno del popolare supereroe di fine
secolo, mi diceva che valeva la pena indagare. Presi nota dell’indirizzo del
professore e prenotai un biglietto per Atlanta per il giorno dopo. Scelsi un
volo Sonic, capace di coprire la distanza tra New York e Atlanta in un lasso di
tempo decisamente inferiore rispetto ai voli normali. La notizia era stata
postata il giorno prima e questo significava che avevo già perso una giornata
intera. Questo, nel mio lavoro, poteva significare lasciarsi sfuggire uno scoop
eccezionale. Se qualche altro iscritto alla OCU aveva già adocchiato la notizia,
poteva avermi preceduto.
Quando arrivai all’aeroporto, noleggiai un’auto e chiesi indicazioni per
raggiungere la casa del professore. L’indirizzo corrispondeva ad un tranquillo
quartiere residenziale, attraversato da un viale alberato. Individuai il numero
civico che stavo cercando su un palazzo di finto mattone rosso, quindi
parcheggiai e mi avvicinai per suonare il campanello.
Pochi istanti dopo venne ad aprirmi un vecchietto dall’aria simpatica. Aveva
perso quasi tutti i capelli sulla parte superiore della testa, ma alcuni ciuffi
grigi resistevano ancora ai lati. Doveva avere più di 60 anni, ma l’espressione
era vivace.
“Buongiorno.” disse con voce mite
“Buongiorno, sono Jonathan Hudson, giornalista dell’OCU.”
Ero preparato alla più violenta delle reazioni. In diversi anni di onorata
carriera avevo imparato a non fidarmi delle apparenze. Anche la persona più
tranquilla, poteva trasformarsi in una belva a sentir solo nominare la parola ‘giornalista’.
“Prego si accomodi.” disse invece
Tutto sommato mi era andata bene. Lo seguii all’interno di un accogliente
salotto, dove ci sedemmo.
“Mi dica tutto.”
“Bene,” iniziai sporgendomi in avanti “sono qui per via della sua scoperta
Professor Verter… ”
“Oh! Lei cerca il professore… dovevo immaginarlo. Mi segua.”
Mi lasciò decisamente senza parole, ma lo seguii fin davanti ad una stanza,
davanti alla quale si fermò.
“Prego.” disse e poi se ne andò
Bussai e quando qualcuno da dentro disse avanti, entrai in uno studio elegante.
Seduto ad una scrivania in noce c’era un uomo anziano di circa settant’anni.
“Il professor Verter?” chiesi stavolta per evitare errori
“Si, sono io.”
“Sono il giornalista Jonathan Hudson.”
Richiusi la porta dietro di me ed avanzai. Mi fece segno di sedermi ed io presi
posto su una sedia, mentre fissavo l’attestato di cerebrostudioso appeso alla
parete dietro di lui. Affianco c’era l’ingrandimento di una foto che aveva
l’aria di essere molto vecchia. Il professor era ancora giovane e riceveva il
premio cerebro, uno dei massimi riconoscimenti nel campo della ricerca. La data
sotto la foto risaliva a 40 anni prima.
“Perché è qui signor Hudson?”
“Per la sua scoperta, la Scissione di Verter.”
“Ha letto la notizia, dunque.” poi notando il mio sguardo interrogativo aggiunse
“Sono stato io a postare il comunicato.”
“Sta scherzando, vero?”
“Io non scherzo mai.”
“Ma questo vuol dire che non è stata fatta alcuna dichiarazione ufficiale!”
“Infatti ed è per questo che la notizia è stata catalogata tra le Infondate.”
“Dunque… ”
“Esatto signor Hudson, non c’è alcuna scoperta che sia stata resa pubblica, ma
speravo che arrivasse qualcuno come lei a verificarne l’infondatezza.”
In quel momento scattai in piedi: “Mi sta dicendo che sono venuto sin qui da New
York per niente? Come le è venuto in mente di postare una notizia su una
scoperta inesistente?”
“Si calmi signor Hudson, ho detto che non c’è alcuna scoperta che sia stata resa
pubblica, no che non esista.”
Tornai a sedermi lentamente: “La prego, cerchi di spiegarsi meglio.”
L’uomo sorrise, mettendo in evidenza denti piccoli e bianchi, un impianto senza
alcun dubbio, quindi batté le mani e le luci si spensero. A poca distanza dal
ripiano della scrivania venne proiettato un ologramma che riproduceva l’intero
encefalo.
“Ecco,” disse il professor Verter “ora osservi.”
I due emisferi si divisero e nella parte centrare ed interna di quello destro
venne colorata una minuscola zona.
“Quella è la Scissione di Verter, dove risiedono i rancori umani.” la luce tornò
nella stanza e il cervello olografico scomparve “Sono anni che studio il
cervello umano, signor Hudson. Gli ho dedicato tutta la mia vita ed ora ho
bisogno di qualcuno che dia risalto alle mie scoperte. Vuole essere lei?”
“Perché non ha fatto una dichiarazione ufficiale? Sarebbe stato più semplice.”
“In verità non mi è venuto in mente.”
“Ci devo pensare… ”
“Non è necessario che mi dia una risposta adesso.”
“Tornerò domani.”
Mi alzai e lasciai l’abitazione del professor Verter, per raggiungere il mio
albergo. Una volta nella stanza collegai il mio palmare per raccogliere
informazioni sulla carriera del professore. Hans Verter aveva iniziato i suoi
studi giovanissimo e si era subito distinto per intelligenza e acume. Le notizie
reperibili si fermavano a circa 40 anni prima, più o meno in coincidenza del
periodo in cui aveva ricevuto il premio Cerebro. Dopodichè sembrava essere
scomparso nel nulla. Saltò fuori un nome, Edward Ross, cerebrostudioso di fama
mondiale e primario dell’ospedale di Atlanta. C’era anche una foto. Lo riconobbi
all’istante: era lo stesso uomo della foto del premio, nello studio di Verter.
Decisi che dovevo parlarci. L’atteggiamento del professore non mi convinceva.
Negli ultimi 40 anni sembrava essersi dedicato interamente alla ricerca, allora
come diavolo aveva fatto a non pensare a dare l’annuncio ufficiale della sua
scoperta? Mi diressi dunque all’ospedale, dopo aver chiesto informazioni
all’usciere dell’albergo.
L’ospedale era un massiccio edificio in finto marmo bianco variegato.
All’entrata chiesi del dottor Ross e mi fu indicato un ufficio al terzo piano.
Quando arrivai trovai la porta aperta ed un uomo seduto all’interno.
“Il professor Ross?”
L’uomo sollevò le folte sopracciglia bianche: “Si.”
“Sono Jonathan Hudson, un giornalista.” proseguii entrando “Potrei rivolgerle
alcune domande?”
“Ma certo, prego si accomodi.”
Mentre mi sedevo lanciai un’occhiata ad una piccola foto appesa al muro,
identica a quella di Verter.
“Da quanto tempo conosce il professor Hans Verter?”
“Abbiamo fatto gli studi insieme. Hans era un giovane molto promettente. Eravamo
anche ottimi amici, ma i nostri rapporti si sono interrotti dopo la consegna di
quel premio.”
Istintivamente tornai a guardare la foto: “Per quale ragione?”
L’uomo alzò la mano destra e solo allora mi accorsi che gli mancavano l’anulare
e il medio.
Alla mia domanda muta rispose così: “Hans Verter me li ha strappati a morsi. Per
mia fortuna sono mancino e riuscii a colpirlo, prima che avesse il tempo di
terminare il suo lavoro.”
“Sembra una persona così mite.”
“Lo è, mi creda. All’epoca, però, stava lavorando a quella sua maledetta
Scissione di Verter.”
“Dunque lei sa di cosa si tratta?”
“Sicuro, è la più grande scoperta di tutti i tempi, ma non sono tenuto a dirle
altro.”
Rimasi interdetto e il professor Ross mi congedò con una stretta di mano. Una
volta nella mia stanza d’albergo, mi buttai sul letto e presi a riflettere. Ross
aveva parlato dell’aggressione dell’amico come se fosse un fatto di poca
importanza. Verter aveva passato quarant’anni a preparare la sua scoperta e non
ne aveva dato annuncio ufficiale. Ross sapeva tutto ma aveva taciuto. La storia
era più intricata del previsto.
Decisi che mi sarei occupato della cosa, ma solo se vi fosse stato qualcosa di
concreto di cui parlare. Quindi il giorno dopo tornai da Hans Verter e fui
accolto dallo stesso vecchietto del giorno prima.
“Buongiorno signor Hudson e bentornato.”
Lo salutai a mia volta, dopodichè mi condusse dal professore, che trovai di
nuovo seduto alla sua scrivania.
“Sono contento che sia tornato.” disse una volta soli
“Ho deciso di occuparmi della sua scoperta, ma prima mi dica, chi è la persona
che abita con lei?” il mio istinto di giornalista mi imponeva di indagare,
soprattutto se la faccenda non era molto chiara
“Oh, è mio fratello Benjamin, abita con me da quando vent’anni fa è rimasto
vedovo.”
“Mi dispiace, com’è successo?”
“Lidia era una persona orribile e terribilmente invadente. Mio fratello l’amava,
ma io non la sopportavo, così l’ho uccisa.”
“C… cosa?!” balbettai
“L’ho avvelenata e adesso stiamo decisamente meglio.”
“E suo fratello lo sa?” chiesi incredulo
“Certo, come pensa che sia finito su questa sedia a rotelle?”
Verter spostò la sua sedia e mi resi conto che non aveva più le gambe.
“Mi disse che dovevo perdere qualcosa di altrettanto importante e visto che non
ero sposato… ”
Inorridii: “E nonostante tutto abitate insieme?”
“Oh, non ci portiamo alcun rancore. Questa è la prova che la mia scoperta
funziona.”
“Si spieghi.”
“In questa casa ho allestito un piccolo laboratorio personale con l’aiuto di
Benjamin. Lì c’è un macchinario programmato per colpire con il laser la
Scissione di Verter e cancellare i rancori. Anche il dottor Ross vi si è
sottoposto. Immagino sia già andato a parlargli e le avrà raccontato il nostro
piccolo diverbio.”
Annuii: “Va bene professore, mi dica tutto ed io pubblicherò l’articolo.”
Passai la giornata a prendere appunti, quindi feci ritorno a New York, dove
scrissi forse il miglior articolo di tutta la mia carriera, nonché l’ultimo.
Una volta pubblicatolo si innescò una paurosa reazione a catena, che spaccò a
metà l’opinione pubblica. Da una parte c’erano coloro che volevano credere alla
scoperta del professore e dall’altra quelli per i quali si trattava di una
montatura. Il professor Verter venne invitato a tutti i più importanti Talk Show
nazionali e internazionali e la notizia fece il giro del mondo. Gli spettatori
inorridirono al sentir raccontare di come avesse perso le gambe e
dell’aggressione a Ross e lo scandalo scoppiò violento. Molti furono quelli che
vollero provare la macchina, credendo di perdere per sempre i loro rancori.
Seguì un’escalation di violenza su scala mondiale. Il mio articolo, infatti, non
parlava di possibili effetti collaterali. Sono un giornalista ed il mio lavoro è
quello di riportare una scoperta nei dettagli e dare prove della sua validità.
Era quello che avevo fatto. Non era certo compito mio indicare gli aspetti
negativi della terapia, anche perché non immaginavo che ve ne fossero. Se avessi
fatto più domande, avrei scoperto che Hans Verter aveva ucciso la cognata, dopo
che il fratello gli aveva rotto un vaso a cui teneva molto e che aveva aggredito
Ross in seguito alla perdita delle gambe. Il macchinario, infatti, riusciva ad
individuare i rancori delle singole persone, ma invece che rimuoverli li
indirizzava su altre persone, senza che il soggetto provasse il minimo senso di
colpa. Quando me ne resi conto, era troppo tardi… anche per me.
Nonostante tutto questa storia mi è valsa il più importante riconoscimento
giornalistico. Peccato, che poi abbia lasciato che altri si accaparrassero gli
scoop più importanti. Non mi importava. Ero seccato solo perché Hans Verter non
mi aveva detto tutto.
Ora sono in prigione a scontare l’omicidio di Benjamin Verter.