un racconto di Mirko Tavosanis
Quando il messaggero la raggiunse, Ylain stava facendo sorveglianza a una delle
conferenze di Tomas Likkir. Era seminascosta tra le quinte dell’auditorium di
una grande scuola superiore alla periferia di Primo Approdo; direttamente di
fronte a lei, dieci passi più avanti, c’era la schiena di Likkir, piazzato
davanti a una batteria di microfoni. Subito dopo il palco finiva e si apriva una
platea sterminata di ragazze e ragazzi a bocca aperta.
Il messaggero sfiorò con una mano il braccio di Ylain e si piegò in avanti per
bisbigliarle nell’orecchio. “Il Vecchio ti vuole subito in sede. Passa il
comando della squadra a Raduvan e vieni con me.”
Ylain inarcò un sopracciglio e fissò il ragazzo, ma non si trattava di uno
scherzo. E, del resto, nessuno si permetteva di scherzare con il nome del
Vecchio. Lei annuì e si girò per fare un segnale a Raduvan, sul lato opposto
della stanza. Vide un gesto di conferma e si avviò dietro il messaggero, in
silenzio.
Attraversarono a passo svelto i corridoi della scuola - che non era molto
diversa da quella in cui Ylain aveva finito gli studi, una decina d’anni prima.
Pareti nude, attaccapanni, sedie accatastate dappertutto. Di tanto intanto
incontravano degli altoparlanti, e prima di sbucare nel parcheggio ebbero modo
di godersi il pezzo forte del racconto di Likkir: il disperato attracco della
nave su una cometa a due anni luce di distanza dalla stella più vicina, il
frenetico rifornimento di ghiaccio e ammoniaca per riattivare i propulsori...
Era una storia affascinante, ma Ylain l’aveva già sentita diverse volte.
Nel parcheggio accanto all’ingresso la macchina del Comando spiccava perché era
l’unico veicolo grigio in mezzo a decine di automobili personalizzate dai
proprietari con strisce di colore, pallini, chiazze. Il messaggero si mise alla
guida e schizzò via senza dire una parola. Ylain si aggrappò alla maniglia della
portiera e guardò le strade che le scorrevano accanto.
La radio della macchina era sintonizzata su un notiziario che non faceva che
raccontare le imprese dei Visitatori. Come, del resto, succedeva da un mese, da
quando la loro piccola nave interstellare si era messa in orbita attorno al
pianeta, annunciando ai discendenti dei vecchi profughi che anche sulla Terra la
crociata contro le Macchine Pensanti aveva trionfato e la scrittura era stata
messa al bando.
Dopo pochi minuti di viaggio il messaggero scaricò Ylain all’ingresso della sede
centrale della polizia, sotto i resti dello scafo che aveva portato i primi
umani sul pianeta, più di un secolo prima. La sede stessa era una costruzione in
cemento che aveva riutilizzato come tetto una delle immense piastre della
fiancata dell’astronave: metallo lavorato dalle Macchine Pensanti in un modo che
nessuno era più in grado di riprodurre.
Ylain entrò, e dal bancone dell’atrio si staccò subito un assistente per
accoglierla.
“Da questa parte” le disse. “Il Vecchio ha convocato una riunione nel nido.”
“Nel nido?” Ylain inarcò di nuovo un sopracciglio. La sede centrale della
polizia aveva un asilo nido per i figli dei dipendenti, ma lei non riusciva a
capire perché il Vecchio volesse organizzare una riunione proprio lì.
“I bambini sono stati accompagnati da un’altra parte” spiegò l’assistente. Ma
questo in realtà non chiariva proprio nulla, e Ylain si limitò a seguire in
silenzio la guida.
Le cose non si fecero più comprensibili neanche quando lei entrò nel cortiletto
centrale del nido. Il Vecchio era seduto su un tubo circolare di cemento in
mezzo al recinto della sabbia e teneva un pallone colorato tra le mani. Per un
attimo Ylain pensò, banalmente, che fosse impazzito; poi notò che intorno a lui
c’erano alcuni dei dirigenti e dei capireparto più anziani, con espressione
costernata. E in mezzo a loro... al suo ingresso Ylain li aveva quasi scambiati
per due Visitatori autentici. Invece erano Basai e Sursinor, vestiti con tute
grigiastre come quelle dei Visitatori e piazzati in mezzo al recinto della
sabbia, che era stata accuratamente spianata con un rastrello. Ylain si chiese
quali fossero le ragioni di quella mascherata.
“Bene, bene” disse il Vecchio, alzando lo sguardo dal pallone. “Ci siamo quasi
tutti. Un attimo di pazienza e poi...”
Dalla porta entrò di corsa uno sconosciuto, un uomo di mezza età con una lunga
barba bianca e la tonaca dei Custodi.
“Illustre Priore!” disse il Vecchio. “Ben lieto di vederla! L’abbiamo attesa,
sa?”
Il Priore sembrò confuso. “Il traffico...” balbettò.
“Oh, non importa, non importa.” Il Vecchio agitò una mano e cambiò
interlocutore. “Signor Basai, vuole raccontare ai signori che cosa ha visto
stamattina?”
Basai si mise quasi sull’attenti e si schiarì la voce. “Sissignore. Ero
assegnato alla sorveglianza dei Visitatori Quattro, Dodici e Tredici...”
“Vasiliev, Aspen e Duruez” spiegò il vecchio.
“... e ho seguito il visitatore Quattordici anche quando si è appartato dagli
altri. Stamattina. Sulla spiaggia di Lido di Luce.”
“Erano andati a visitare la flotta peschereccia e il paese” spiegò ancora il
Vecchio. “Anzi, sono ancora tutti lì, e stanno pranzando a un ristorante sul
molo. Ma stamattina Basai ha visto Duruez passeggiare sulla spiaggia, da solo.
Pensava che nessuno l’avesse seguito, ma il nostro Basai è molto, molto bravo ed
è riuscito a nascondersi nella macchia accanto alla spiaggia. E ha assistito
alla scena che vedremo ora. Basai stesso coprirà il ruolo del signor Duruez, e
il sergente Sursinor quello della signora Aspen, che è comparsa poco dopo sulla
scena. Illustre Priore, la invito a prestare la massima attenzione a quello che
vedrà. Procediamo pure.”
Senza dire una parola, Basai fece due o tre passi strascicando i piedi. Fissò
l’orizzonte. Poi si piegò sulle ginocchia. Stese una mano, sollevò un pugno di
sabbia e se la fece scorrere tra le dita. Voltò di nuovo la testa a fissare un
punto lontano.
Ylain continuava a non capire. Ma a un certo punto Basai emise un sospiro e
raccolse dalla sabbia uno stecco... qualcosa che sembrava portato dal mare.
Ylain immaginò che qualcuno l’avesse messo apposta nel recinto del nido. Basai
impugnò lo stecco con la destra, lisciò con la sinistra un piccolo tratto di
sabbia e cominciò a grattare la superficie liscia... anzi, no. Iniziò a lasciare
dei solchi sulla sabbia. Non erano disegni, e non erano tracce fatte a caso.
Seguivano un percorso preciso. E a quel punto Ylain capì di colpo che cosa stava
succedendo.
Proprio in quell’istante entrò in scena Sursinor / Aspen, avanzando a grandi
passi dal bordo del recinto. “Sei impazzito?” bisbigliò, con un tono feroce.
Basai / Duruez lasciò cadere lo stecco. “Oh, diavolo, io...”
Sursinor fece un passo avanti e calpestò i graffi sulla sabbia. Li calpestò con
metodo, cancellandoli completamente. “Penso che uno di loro ci abbia seguito”
sibilò ancora.
“Diavolo.”
“Zitto! Andiamo via di qui e comportati normalmente.” Sursinor aveva sul volto
una maschera di rabbia, ma la rilassò immediatamente. Appena il suo compagno si
fu risollevato, lo spinse per un braccio e assieme uscirono dal recinto della
sabbia.
Per un attimo nessuno parlò. Poi il Priore fece uscire il fiato che aveva
trattenuto fino a quel momento. “Dèi dell’Uomo!” Era sbiancato.
“Ah!” disse il Vecchio. “Dalla sua espressione, signor Priore, direi che i miei
peggiori timori hanno trovato conferma. Era scrittura, vero?”
“Potrebbe essere.” Il Priore sembrava profondamente scosso. “Ma allora...”
“Allora, i Visitatori ci stanno mentendo” disse il Vecchio. Si alzò in piedi.
“Devo parlare subito con il ministro. E... Ylain, Basai, Ricardo.” Indicò col
dito le tre persone. “Riunione operativa nel mio ufficio tra un’ora. Aspettatemi
lì.” Si avviò alla porta, scortato dai funzionari più anziani.
“Un momento!” disse il Priore, con una voce ferma e decisa. Tutti si voltarono
dalla sua parte.
“Nel nome dell’Uomo... contro le Macchine che portano i pensieri al di fuori di
noi e li deformano senza rispetto... possa l’Umanità guidare il nostro cuore e
la nostra mano.” Tracciò un ampio arco nell’aria.
“Così sia” risposero tutti, automaticamente, come bambini.
L’ufficio del Vecchio era in realtà solo una stanza con poche sedie, qualche
armadio e un televisore. In un angolo c’era un lettino, perché il Vecchio ormai
aveva bisogno di sdraiarsi spesso. Un piccolo tavolo e un mobile bar
completavano l’arredamento.
Ylain e gli altri ingannarono l’attesa chiacchierando e guardando sul televisore
un programma che descriveva l’intervento dei Visitatori sulla fabbrica di
automobili di Roccia Nera. I Visitatori avevano spiegato tecniche terrestri che
permettevano di trattare la lamiera dimezzando i tempi di lavorazione. Uno di
loro aveva dato poi indicazioni per riorganizzare la linea. Nel giro di una
settimana la fabbrica aveva preso a produrre un buon trenta per cento di veicoli
in più, a costi invariati e senza bisogno di investimenti.
“Se davvero i Visitatori ci stanno mentendo, siamo nei guai fino al collo” disse
a un certo punto Ricardo. Era uno dei migliori operativi usciti dall’Accademia e
Ylain e gli altri pensavano che avesse ottime possibilità di diventare uno dei
prossimi dirigenti.
“Mi chiedo perché dovrebbero farlo” rispose Ylain. “Se sanno scrivere...”
“Forse sulla Terra hanno vinto le Macchine Pensanti” disse Ricardo.
“Ma i Visitatori sembrano gente come noi. Non assomigliano per niente a quello
che ci raccontano a storia. Hanno fatto un sacco di controlli medici, quando
sono scesi. Hanno denti otturati, portano gli occhiali, non hanno aggeggi strani
dentro al corpo. E Duruez e Farlin sembrano perfino un po’ stupidi. Com’è
possibile che le Macchine Pensanti tengano in vita gente del genere?”
“Non lo sappiamo, Ylain” disse il Vecchio dalla porta. Tutti si voltarono. Era
comparso senza che nessuno dei presenti lo sentisse arrivare – una capacità che
a Ylain aveva sempre dato i brividi, ma che adesso le sembrava quasi
tranquillizzante.
Il Vecchio si avvicinò alla sua sedia personale e ci si lasciò cadere con un
sospiro. “Non sappiamo perché i Visitatori ci hanno tenuto nascoste queste cose.
Non sappiamo nemmeno che razza di creature siano... se siano davvero umani o no.
Però abbiamo un modo per scoprirlo.”
Si chinò in avanti e scrutò in volto tutti i presenti. “Rapiremo un Visitatore.
Faremo credere ai suoi compagni che è morto in un incidente e lo porteremo con
tutte le precauzioni possibili all’Isola Gialla, senza dargli la possibilità di
lanciare l’allarme.”
Tutti lo fissarono con occhi sgranati. “Dobbiamo esaminare uno di loro da
vicino” continuò il Vecchio. “Controllarlo per bene, vedere se ha addosso delle
macchine nascoste o qualcosa di simile. L’ospedale militare dell’Isola Gialla è
attrezzato per tutti i generi possibile di analisi... inclusa l’autopsia, se
necessario.”
“Sa già chi scegliere?” chiese Ricardo. Il tono calmo della sua voce stupì
Ylain.
Il Vecchio annuì. “Prenderemo Tomas Likkir.” Ylain sentì un tuffo al cuore.
“Likkir è un chimico” continuò il Vecchio. “Tra due giorni farà un’altra visita
al petrolchimico del porto. Come Ylain sa bene, lì è appena cominciata una
ristrutturazione completa, sotto il controllo dei Visitatori. Ci sarà un
incidente. Un’esplosione, credo. Likkir e le sue guardie saranno ufficialmente
morti. I dettagli li definiremo oggi.”
Ylain si sentì la gola secca. “Signore...” disse. Tutti si voltarono dalla sua
parte. “Se i Visitatori sono stati inviati dalle Macchine Pensanti... non è
possibile che abbiano qualche risorsa che noi non conosciamo? Che ci stiano
spiando anche in questo momento?”
Il Vecchio abbassò appena la testa. “È possibile, ma non possiamo farci niente”
disse. “Correremo il rischio.”
Likkir si appoggiò alla ringhiera metallica e si sporse a guardare le acque del
porto. “Sono uguali, sai?” disse.
Ylain fu colta di sorpresa. “Eh?”
“Questo mare e quello della Terra. Questo porto e quello della città in cui
stavo da bambino.”
“Ah.” Ylain non riuscì a dire altro.
“Due pianeti diversi, ma molto simili.” Likkir aveva occhi grigi come l’acciaio,
appena ingranditi dai suoi minuscoli occhiali rotondi, con una sottile montatura
in metallo. “Non ti piacerebbe vedere la Terra, Ylain?”
“Certo,” rispose lei, confusa. Fino a quel momento, anche se era sempre molto
cortese, Likkir non si era mai interessato troppo alle sue guardie del corpo e
aveva fatto pochissima conversazione. Possibile che sospetti qualcosa?
“La Terra è bellissima, sai?” disse Likkir. E poi si voltò, riprendendo a
camminare lungo la passerella metallica. Ylain era riuscita a separarlo dal
gruppo senza troppe difficoltà e, apparentemente, senza creare sospetti.
In quarantott’ore, alcuni dei migliori chimici del pianeta avevano preparato un
incidente che giudicavano assolutamente verosimile. Di fronte a loro ci sarebbe
stata un’esplosione di gas. La passerella sospesa sarebbe crollata alle loro
spalle. In cinque minuti lei e Ricardo, che la aspettava al serbatoio, avrebbero
dovuto spingere Likkir sulla scala d’emergenza fino a un barchino che li
aspettava lì sotto. A quel punto avrebbero narcotizzato il Visitatore e poi il
serbatoio di propano sarebbe esploso, cancellando per sempre ogni traccia e
trascinando una buona parte della struttura sul fondo della baia.
Però, adesso, Likkir sembrava strano. Sospettoso. È solo la mia immaginazione,
si disse Ylain. Non può sapere nulla. Se davvero i Visitatori avevano
individuato le loro intenzioni, perché avrebbero dovuto infilarsi in una
trappola del genere?
Ylain si sentì sollevata vedendo Ricardo in posizione, sull’altro lato del
serbatoio. Però, proprio in quel momento, Likkir si voltò a guardarla.
“La Terra è davvero meravigliosa,” disse. “Mi dicono tutti che io sono bravo a
raccontare, ma neanche le mie parole bastano a descriverla. Bisognerebbe...”
In quel momento ci fu il primo scoppio, a pochi passi dal punto in cui si
trovavano. Schegge minuscole di metallo crepitarono intorno a loro. La vampa
azzurra dell’esplosione si lasciò dietro sottili fiammelle arancione che
lambivano i fianchi del serbatoio di propano. Alle loro spalle, con uno schianto
terribile, la passerella si sganciò e cominciò a sprofondare.
“Corriamo alla scala!” urlò Ylain. L’apprensione nella sua voce era simulata
solo in parte. Ma Likkir non si mosse. Era immobile, e sul volto aveva
un’espressione di completo stupore.
“Andiamo!” urlò di nuovo Ylain. Prese il Visitatore per il braccio e cercò di
trascinarlo via. Ma l’uomo puntò i piedi e si voltò a fissarla. Il suo volto si
era trasformato.
“Allora era questo!” urlò. Strappò il braccio alla presa di Ylain e scandì ad
alta voce qualche parola in una lingua sconosciuta, gutturale. “Indietro!”
Ylain vide con la coda dell’occhio Ricardo correre verso di loro ed estrarre la
pistola. Lei si gettò contro Likkir, estrasse la bombola di narcotico e gliene
spruzzò un getto dritto in faccia. L’uomo spalancò gli occhi e lei gli si
strinse addosso, premendogli un tampone sulla bocca. Lo spinse contro la
balaustra metallica e cercò di immobilizzarlo.
All’improvviso, proprio mentre Likkir si afflosciava, la luce attorno a loro
diminuì. Ylain sentì Ricardo urlare proprio accanto a lei: “Attenta!” Poi ci fu
uno sparo, e un altro, e una specie di urlo strozzato.
Un istante dopo una tenebra completa l’avvolse. Likkir continuava a dibattersi.
Ylain, disperata, alzò gli occhi al cielo. Ci fu un urto tremendo e poi tutto si
fece definitivamente nero.
Quando rinvenne, Ylain provò una sensazione strana. Si sentiva dolorante
dappertutto, quindi non era morta. Ma in aggiunta ai danni fisici c’era qualcosa
che non andava. Un intontimento, come se fosse stata drogata. E la sensazione di
sentirsi leggera.
Però era davvero più leggera. Aveva le braccia libere, anche se riusciva a
muoverle a malapena; e le braccia erano strane. Sembrava si muovessero per conto
loro. Aprì gli occhi, senza bisogno di adattarli alla luce.
Era seduta a un tavolo metallico, in una specie di stanzetta senza finestre.
All’altro lato del tavolo c’era Tomas Likkir, pallido, con la faccia chiazzata
da una decina di cerotti color carne. In piedi accanto a lui, con una mano
posata sulla sua spalla, c’era Valeria Aspen.
Ylain mise assieme gli indizi e ricompose il quadro: era sull’astronave dei
Visitatori, in orbita attorno al pianeta. In qualche modo erano riusciti a
portarla fin lassù, nel cilindro rotante che forniva ai Visitatori un surrogato
di gravità.
Likkir si voltò a fissarla. Ylain si sentiva la bocca asciutta, come se avesse
appena finito di fare un lungo discorso... e apparentemente era successo proprio
quello, perché Likkir scosse la testa e disse: “Il Vecchio, eh? Dovremo
occuparci di lui. Sarà una delle prime cose da sistemare.”
Ci fu un bip sommesso e Valeria Aspen sollevò dal tavolo una specie di
rettangolo di plastica, illuminato dall’interno. Se lo portò davanti agli occhi
e rimase a scrutarlo, intenta. Le sue pupille si muovevano in modo strano, da un
lato all’altro dell’oggetto. Con un sussulto, Ylain si rese conto che la donna
stava leggendo qualcosa.
“Bene,” disse alla fine, riabbassando il rettangolo. “Tutto il personale sul
pianeta ha raggiunto senza problemi i punti di raccolta. Entro stasera saremo di
nuovo tutti a bordo.” Poi si girò verso Ylain. “Avete sottovalutato le nostre
possibilità. E poi, noi non abbiamo cattive intenzioni nei vostri confronti, lo
sapete?”
“Siete al servizio delle Macchine Pensanti” disse Ylain.
“Le cose non stanno così,” le rispose Likkir, che sembrava un po’ imbarazzato.
“Le cose sono molto cambiate anche sulla Terra, in questo secolo. Gli esseri
umani e le macchine vivono in pace, adesso.”
“Com’è possibile che ci sia pace con qualcosa che ti porta i pensieri fuori
della testa?” protestò Ylain. Provò ad alzarsi ma, nonostante la gravità
ridotta, non ci riuscì. Riusciva a malapena a piegare la testa.
“Gli esseri umani lo fanno da migliaia di anni, Ylain,” rispose Likkir. “Parlano
da quando è nata la specie. Scrivere, creare sistemi per trasformare la
scrittura... è solo un’evoluzione di questo meccanismo. È una cosa naturale. E
ci rende più forti. Guardati intorno.”
Ylain mosse gli occhi in giro per la stanza. Le pareti e i mobili esibivano, in
parecchi punti, piccoli elementi decorativi. No, erano qualcosa di diverso.
Tracce che non erano disegni. Segni. Lettere.
“Ma allora, perché avete cercato di nasconderlo?” urlò. “Chi siete, in realtà?”
Likkir e Aspen si scambiarono un’occhiata. “Credo che con lei non possiamo
andare oltre, adesso” disse Likkir.
La donna annuì. Premette un bottone su un cinturino che aveva al polso. Un
attimo dopo Ylain sentì un movimento alle sue spalle, come una porta che si
fosse aperta. Delle braccia robuste l’afferrarono da dietro e la sollevarono.
“Può essere sgradevole, all’inizio,” disse ancora Likkir. “Ma poi ci capirai
meglio. Fidati di noi.”
“Perché?” urlò ancora Ylain. “Perché ci avete mentito? Perché non volete farci
sapere delle macchine? Che cosa vi hanno fatto quei segni che scrivete?”
Continuò a urlare anche quando le mani la trascinarono fuori dalla porta, di
spalle, lungo i corridoi poco illuminati dell’astronave.