un racconto di Claudio Tanari
Io vivere vorrei
addormentato
entro il dolce
rumore della vita.
(Sandro Penna)
Se andate a
Firenze, chiedete dello Scorpione: è una birreria come tante, d’accordo,
ma lì, quella sera profumata di primavera, ci suonava Carlo, quello che potremmo
definire un musicista di strada. Sì, in America li chiamavano folksinger,
nel secolo scorso: se ne andavano in giro con chitarra e armonica a rimediare
nelle piazze qualche soldo per… continuare a farlo.
Quella sera allo
Scorpione aveva suonato il vecchio, solito, infallibile repertorio per
anziani turisti in vena di nostalgia: Dylan, Denver, Donovan, Stevens e un po’
di suo. Tra un pezzo e un altro qualche battutina e una birra: si portava
appresso i capelli ricci e gli occhi verdi con olimpica indolenza.
Però quella
volta allo Scorpione c’era anche lei: piccola, i capelli neri tagliati
corti. Si accese una sigaretta, sporgendosi sulla sedia i jeans attillati e la
canottiera nera. Gli chiese una canzone, lui la suonò.
Due giorni dopo
Carlo era seduto a un bar di Piazza della Signoria. Guardava la piazza, i
bambini che rincorrevano i piccioni, i turisti che armeggiavano con le mappe
della città. Soddisfatto, di fronte a una bibita rossa. Con la coda dell’occhio
vide fermarsi una bicicletta; si girò: era la ragazza dello Scorpione..
- Ciao!
- Accaldata, una tutina rosa, il labbro superiore imperlato di sudore.
- Ciao…
- rispose Carlo scrutandola – Ci conosciamo? – mentì.
- Ma
sì, non ti ricordi? L’altra sera: tu cantavi, io ti ho chiesto quel pezzo dei
Nirvana – intanto si era seduta al tavolino.
- Ah
sì, è vero – fece lui – Ma riprendi fiato. Vuoi qualcosa?
- Un gin tonic
con molto ghiaccio, grazie. Sai perché sono qui, vero? – facendosi
improvvisamente seria.
-L’ho immaginato
fin dall’altra sera…
Barbara finì il
suo drink asciugandosi poi il viso con cura. Era carina, senza dubbio: naso
all’insù, bocca lievemente imbronciata, le guance arrossate dalla corsa in
bicicletta…
- Non me l’hai
chiesto, ma mi chiamo Barbara.
- Carlo, tanto
piacere. O avrei dovuto dire HRU – Humar Reply Unit - 1500?
- Senti, mi
dispiace: i turisti non chiedono più folksinger…
HRU 1500 non
rispose, limitandosi a guardare la sua bibita rossa.
Barbara se ne
stette un po’ in silenzio. Si mise a fumare fissandolo con il suo lungo sguardo
grigio.
Al suo interfono
una voce metallica mormorò: - Barbara, ci sono complicazioni? C’è una squadra
all’angolo di Via dei Calzaiuoli. La vedi?
Lei alzò gli
occhi sui tre uomini in scuro, apparentemente uomini d’affari intorno
all’edicola.
-
No, Controllo, nessun problema. Va tutto bene, ripeto, tutto ok. –
rispose la ragazza.
HRU 1500
sorrise: era bella, colorata di arancione dal sole basso del pomeriggio.
- Se ti può
interessare, un paio di piccioni, laggiù girano intorno a se stessi da ore:
qualche bambino se n’è già accorto… - disse sarcastico Carlo.
- I piccioni non
sono di mia competenza – rispose fredda Barbara – Stai rendendo tutto più
complicato, comunque.
- E io? Che fine
farò? - disse lui con un sospiro, quasi fra sé.
- Non lo so: il
mio compito è prelevarti e… disattivarti appena arrivati al magazzino…
- The answer
is blowin’ in the wind… - la interruppe lui accennando il motivo di una
vecchia canzone.
- Senti, ti ho
già detto che mi dispiace! – fece lei tornando a guardare impaziente gli uomini
in scuro.
Carlo pagò il
conto, si alzò dalla sedia aspirando avidamente l’odore del lastricato, della
pasticceria lì accanto, della pelle di Barbara…
- Non c’è alcun
bisogno dei tuoi amici. Andiamo pure.
Lei gli si
avvicinò, prendendolo per mano.
- Ma: chi
suonerà allo Scorpione, stasera? – chiese il folksinger mentre la
seguiva docilmente.
- Karaoke, un’
unità che fa il karaoke – rispose lei frettolosa senza guardarlo.
La piazza li
inghiottì: i bambini che rincorrevano i piccioni stridendo come le rondini in
picchiata, i turisti che armeggiavano vocianti con le mappe della città.
E il dolce
rumore della vita, tutto intorno.