Tyger! Tyger! burning bright
Data: Lunedì 26 febbraio 2007
Argomento: Narrativa


un racconto di Marco Mocchi

L’avevano soprannominato il Poeta.

Le sue poesie avevano un solo scopo: dar vita alla tigre, la regina degli ani­mali, la divoratrice di uomini, il terrore della giungla.

Per anni aveva scritto poesie, tutte titolate allo stesso mo­do, tutte sullo stesso argomento.

Gli anni passavano, e il Poeta continuava a scrivere immerso nel suo lavoro.

Un giorno raggiunse la perfezione: i suoi versi erano il ruggito della tigre, il suo respiro, i suoi movimenti. Ascoltando la poesia sembrava di vedere LA tigre. Non era più necessario darle un titolo, perché quelle parole, in quell'ordine, in quei versi era­no LA TIGRE.

Il Poeta aveva raggiunto il suo scopo: aveva rappresentato il fe­roce animale, la sua essenza, la sua identità.

Ma non ne era soddisfatto.

Voleva vederla, vedere i suoi colori, la sua pelle di fuoco, gli occhi infernali.

Decise di dipingerla.


La gente del villaggio guardava senza capire quell'uomo diverso, che trascorreva i suoi giorni a cercare piante, fiori, cortecce e poi, nella sua capan­na, li pestava e mescolava.

Il Poeta iniziò a dipingere la tigre su pezzi di legno, su pietre o su ruvidi pezzi di tela o di stoffa.

Man mano che gli anni passavano i suoi tentativi si avvicinavano sem­pre più a ciò che voleva rappresentare, finché un giorno anche il quadro perfetto venne dipinto.

I colori parevano muoversi, il vento sembrava soffiare sul manto dorato dell'animale, i suoi occhi parevano ardere: la tela era LA TIGRE.

Ma nemmeno questo lo soddisfò.

Voleva vederla nello dominare lo spazio con la sua maestosità.

Decise, allora, di scolpirla.


Trascorse giornate intere a cercare morbida argilla per portarla nella sua capanna. Un giorno, quando ne aveva raccolta una quantità enorme, iniziò il lavoro.

Il tempo correva e a poco a poco l'argilla modellata prendeva forma, ed era così perfetta che anche il manto della tigre sembrava vero.

Dopo innumerevoli tentativi e mesi di lavoro, l'opera venne terminata e, dipinta coi co­lori della tigre, sembrava pulsare. La scultura sembrava sul punto di camminare con passo felpato e pareva muoversi in silenzio.

Una sola cosa le mancava: la vita.


Erano passati da quando l'uomo si era dedicato alla poesia: i bambini di allora erano già adulti e avevano già dei fi­gli.

Il Poeta non si era accorto né dello scorrere del tempo, né che la sua vita, a poco a poco, era scivolata via nel tentativo di dar vita alla tigre. Si chiuse nella sua capanna per molti giorni e per molte notti.


Un pomeriggio, dalla capanna del Poeta si udì un ruggito. Subito dopo, un'enorme tigre, col passo lento quanto maestoso e terrificante, uscì. Il suo manto risplendeva d'oro, i suoi occhi bruciavano come un fuoco nella notte, i suoi denti e la sua bocca erano rossi di sangue fresco.

La gente del villaggio rimase paralizzata al passaggio della regina degli animali, un silenzio mortale incombeva su di loro.

La tigre, poco a poco, accelerò il suo passo, scomparendo nella giungla selvaggia e, con un ultimo ruggito, diede il suo addio.

Gli abitanti del villaggio corsero affrettatamente verso la ca­panna da cui la tigre era uscita e si fermarono sulla por­ta, guardando scioccati e impauriti il corpo di un vecchio, il vecchio Poeta, insanguinato e fatto a brandelli, sdraiato sulla fredda terra, ed il suo volto, sporco di sangue e privo di vita, segnato da un profondo sorriso.







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