una biobibliografia di Marcello Bonati
Nome completo Timothy Thomas Powers, è nato il 29 febbraio '52 a
Buffalo, New York, da Richard, un avvocato e Noel Zimmerman Powers, cattolici,
ma vi restò solo fino ai sette anni, per poi andare in California nel
‘59.
Nel '65 spedisce il suo primo racconto, a "The Magazine of Fantasy
& Sf", che gli venne rifiutato.
Nell’’80 ha sposato Serena Batsford, segretaria
legale.
Ha studiato alla California State University di Fullerton, dove
conobbe James Blaylock e Kevin W. Jeter, ottenendo un Bachelor of Arts (1°
livello di laurea in discipline umanistiche) in Inglese nel
‘76.
Ha poi fatto innumerevoli lavori, fra i quali il barista, il
pizzaiolo, il caricaturista ambulante ed il commesso in un negozio di
tabacchi.
Ha insegnato ai
Clarion Science Fiction Writers' Workshop della Michigan State University, al
Writers of the Future Workshop e, part time, alla University of
Redlands.
Vive a Muscoy, San Bernardino (California), ed è sembre sposato con
Serena.
Tim Powers è comunemente designato come una delle figure di
maggiore spicco dello steampunk, ma, questo, è vero solamente in
parte.
Come vedremo, infatti, se certo alcuni sui romanzi sono ambientati
in questo passato nostalgico di tempi meno tecnologizzati, altri non lo sono
affatto.
"…appartiene all’ultima generazione di scrittori, ovvero quelli che
hanno avuto a disposizione per esprimersi un linguaggio molto articolato…
utilizzando atmosfere steampunk quanto i canoni dell’horror e del racconto
mitologico." (Domenico Gallo, "Introduzione" a "Invito al palazzo del
deviante").
"…fa (…) parte di quella schiera di scrittori (Card, Varley,
Benford, Bear…) che è riuscita a mantenere in auge la fantascienza nonostante
l’incalzare di due generi paralleli-horror e fantasy-che in questi ultimi anni
ne hanno insidiato il primato di creatività e di vendite…" (Tim Powers: un
tecnocrate nell’ottocento", di Bernardo Cicchetti).
Ma, i suoi lavori, sono molto più fantasy e horror, che
Sf.
Meglio forse dire, con de Camp: "…è riuscito ad illuminare di una
luce assolutamente nuova un settore che si stava avviando verso il grigiore del
crepuscolo…" (citato in "Tim Powers ed il risveglio dell’interesse per la
magia", di Gianni Pilo).
Certo, la sua amicizia con James P. Blaylock, principalmene, e
Kevin W. Jeter, ha dato le basi allo svilupparsi di quel sottogenere, ma è un
"anche".
L’aspetto tecnologico vi ha un’importanza decisamente marginale,
mentre è l’elemento avventuroso quello che vi prevale,
decisamente.
Un’avventurosità che spesso, come vedremo, arriva ad eccessi che la
rendono un po’ troppo aggrovigliata, di difficile
fruizione.
In effetti ciò che caratterizza maggiormente la sua scrittura è
l’amalgamare elementi provenienti da varie tradizioni letterarie, in lavori che,
spesso, risultano nonostante ciò assolutamente ben
bilanciati.
"La sua capacità "sincretica" di appropriarsi dei materiali
più disparati per forgiare qualcosa di copletamente originale è insuperabile."
(Tim Powers: un tecnocrate nell’ottocento", di Bernardo
Cicchetti)
"La sua opera… è improntata a una personale forma di "realismo
magico" in cui si fondono elementi di fantascienza, fantasy, horror, occulto,
psichiatria, surrealismo, comicità, storia e qualsiasi altra influenza Tim si
senta, di volta in volta, di gettare nel calderone… ma sempre con risultati
magici." (Al Sarrantonio, presentazione a
"Itinerario").
E poi c’è il fattore "stile". Quello di Powers è decisamente al di
sopra di quello medio della Sf di… anni luce. Abbiamo visto che era insegnante
di lettere, e la sua Cultura la si assapora appieno, nelle sue opere: "… la
dimensione di Powers è quella classica dell’avventura, ma dagli esiti tutt’altro
che scontati: la sua narrativa è briosa e scintillante, con trame ben
congegnate, ricche di inventiva e libere stravaganze. Oltre a possedere un
ottimo senso del ritmo e dell’azione, Powers è molto bravo a giocare con
un’ampia varietà di toni, passando con disinvoltura da accenti ironici e
grotteschi ad altri più seri e meditati. Talvolta, forse per indisciplina o
troppa generosità, non riesce ad evitare pericolose cadute, ma è raro che
l’equilibrio complessivo ne risenta." (Piergiorgio Nicolazzini, "Presentazione"
a "Il palazzo del mutante").
Wolfe l’ha definito "Il Maestro indiscusso della narrativa
magico-mitologica", e Zelazny ne ha detto: "… è riuscito a… realizzare in moduli
storico-narrativi concetti magici e riferentesi al Pantheon egizio, che nelle
sue mani assumono il tono di fatti di vita vissuta…" (citati in "Tim
Powers ed il risveglio dell’interesse per la magia", di Gianni
Pilo).
L’elemento magico è reso credibile dal suo essere ambientato in un
contesto realistico, descritto nel dettaglio: "…il lettore deve essere indotto a
credere che quegli avvenimenti immaginari stiano realmente accadendo a quei
personaggi immaginari; quindi lo scrittore deve fare in modo che l’intera cosa
appaia il più possibile reale… cerco di trattare la magia in modo che sembri
"realistica"." (Intervista all’autore, "Fantasy
magazine").
Come, ancora, vedremo, questo mischiare sacro e profano ha una
grande importanza, nella sua opera. Un effetto stemperante, di contrasto,
assolutamente centrale.
Come
al solito i miei commenti sono in "work in progress", in una scoperta
progressiva dei segreti dell’autore.
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