un racconto di Gianluca Turconi
Finalista alla XI Edizione del premio Alien e tradotto in
lingua spagnola nel numero 168, novembre 2006, della rivista argentina di
fantascienza Axxón, che è on-line
qui
Ore 11.00
- Dio solo lo sa come ha potuto
sbagliare quel tiro! - gli disse il suo
compagno di posto. - Era al limite dell’area, ha dribblato il difensore centrale
avversario con classe sopraffina e ha messo a sedere il portiere grazie a una
finta che avrebbe tratto in inganno chiunque. Bastava un colpetto sotto la palla
per metterla in rete e invece che fa? La prende di collo pieno e la spara fuori
dallo stadio! Non sto scherzando. L’ho vista passare sopra la copertura degli
spalti. Risultato: abbiamo perso uno a zero. È d’accordo anche lei che quella
sciagura di giocatore dovrebbe essere ceduto, no?
Giulio grugnì un assenso di
circostanza. Da quando era iniziato il viaggio, quel tipo lo tormentava con la
cronaca differita della partita della domenica precedente. Se la Fiorentina non
fosse tornata in Serie A, i tifosi del Prato si sarebbero goduti il loro
scudetto in santa pace. Invece niente! Avevano perso il derby dell’ultima
giornata di campionato ed erano più abbattuti di quanto lo sarebbero stati se
l’aereo con tutta la rosa fosse precipitato sulle montagne. E lui, che non
tifava per nessuno, doveva subire i commenti e le prese in giro di quello
scocciatore.
L’autobus di linea correva a
cento chilometri orari. Stavano scollinando dagli Appennini scendendo sul
versante emiliano, provenienti dall’agglomerato metropolitano di Prato-Firenze
ed erano entrati nella Zona Interdetta da venti minuti.
Il paesaggio che scorreva ai lati
della strada era desolante. L’erba, bruciata dalle radiazioni, si abbarbicava
tenace ai costoni di roccia, mentre gli alberi, rari e scortecciati, mostravano
bubboni concentrici sul tronco. Gli mettevano i brividi.
Sua moglie glielo aveva detto: - Prendi
la navetta delle nove. Ti scaricherà a Linate-Centro in un’ora.
Lui, testardo come un mulo, le
aveva risposto: - Siamo a corto di soldi. Non ci possiamo permettere la navetta.
Che vuoi che sia passare con l’autobus per la Zona Interdetta! Arrivati al Po,
prendo la sopraelevata e corro all’appuntamento in Piazzale Cordusio. Se mi
assumono, con l’anticipo pago la navetta al ritorno.
Tutto calcolato. Tutto
facile.
Sì, esisteva una minima
possibilità che non ottenesse il posto, ma lui non la metteva neppure in
preventivo. Con l’adozione della nuova generazione di macchinari robotizzati era
diventato difficile impiegarsi nel ramo delle concerie, tuttavia Giulio era un
ottimo scuoiatore: il lavoro a Milano sarebbe stato suo.
Uno scossone anticipò la fermata
dell’autobus.
- Che succede? - domandò al tifoso
del Prato.
- Fermata obbligatoria - lo informò, conciso.
Era un pendolare e conosceva le fermate a memoria.
- Nel mezzo della Zona
Interdetta?
- È per il controllo dei
biglietti.
Infatti, il controllore salì e
procedette lungo il corridoio piuttosto velocemente. Si fermava alle coppie di
posti, verificava che la tassa di trasporto fosse stata pagata e proseguiva.
Arrivato a loro, pretese: -
Biglietto, prego!
Giulio distese il braccio, ruotò
il polso all’insù e aspettò che lo scanner dell’obliteratrice analizzasse il
chip sottocutaneo di credito, confermando l’avvenuto pagamento. Un bip stonato
fece voltare tutti i passeggeri nella sua direzione.
- La tassa risulta non pagata
- annunciò il
controllore.
- Ci deve essere un errore! - protestò Giulio. -
Questa mattina ho chiesto espressamente a mia moglie di provvedere al
versamento. Può effettuare nuovamente la scansione? - Il secondo bip lo
mise in apprensione.
- Non ci sono errori. Non ha
pagato. -
Impaziente, il controllore ticchettò con l’unghia sullo scanner. I passeggeri
mormorarono.
- Va bene. Pagherò un secondo
biglietto per intero. - Prese il codice PIN
scritto su un foglietto che teneva nel portafoglio e lo digitò
sull’obliteratrice. Il terzo bip lo mandò metaforicamente al tappeto.
- Il suo chip ha esaurito il
credito -
sentenziò il solerte dipendente dell’azienda regionale dei trasporti. Il tifoso
del Prato allibì. Gli si poteva leggere in faccia l’accusa: Disonore a te!
Hai terminato il credito!
Il controllore fu categorico: -
Deve scendere!
Giulio aveva in mano il
portafoglio e prese due banconote da cinquecento euro.
- Posso pagare in contanti...
- tentò. Non
l’avesse mai fatto.
Il controllore si inalberò: -
Metta via quella carta straccia! - E rivoltosi
all’autista: - Oh, Antonio! Qui c’è uno che vuole fare il furbo!
Giulio rintuzzò l’attacco: - No,
guardi, si sbaglia. - O forse no. Sua
moglie doveva aver fatto la spesa settimanale e svuotato il loro conto corrente,
dimenticandosi del biglietto. L’amava tanto, ma certe volte gli prudevano le
mani dalla voglia di strangolarla.
L’autista nerboruto, con muscoli
da Mister Universo si badi bene, non si intenerì. Lasciò il posto di guida, lo
afferrò per la giacca e lo buttò giù dall’autobus tra gli sguardi di
compatimento degli altri viaggiatori.
- È una vergogna! - si lamentò Giulio,
spolverandosi i pantaloni. - È così che si tratta un contribuente? Le pago lo
stipendio con le mie tasse, sa?
Il controllore si sporse dalla
porta aperta e gli applicò un adesivo giallo sul petto, catechizzandolo: - Se
diventa rosso, il livello di radiazioni nell’ambiente ha superato il limite
sopportabile dall’organismo umano. Cerchi di tenersi il più in alto possibile
rispetto alla strada e se la caverà.
Giulio sbiancò in viso. Lo
stavano abbandonando nella Zona Interdetta.
- Non potete lasciarmi qui! - Si aggrappò al
cruscotto dell’autobus provando a forzare il blocco. L’autista lo prese a calci
rigettandolo a terra.
- Non mi costringa a chiamare la
polizia! - lo
avvisò il controllore. - Le revocherebbero il chip di credito e non voglio
vederla sbattuto fuori dal Servizio Sanitario Nazionale... - Si tirò indietro per
lasciar chiudere la porta dell’autobus.
- Non scende anche lei? - frignò Giulio.
- No. Ho finito il mio turno. Ci
vediamo alla corsa delle 23.
- Io che faccio nel
frattempo?
Il controllore dovette muoversi a
compassione perché gli diede un consiglio prezioso.
- Se ha un cellulare, lo lasci
perdere. Le antenne flottanti non hanno rotte adiacenti alla Zona e non
prenderebbero il segnale. Trenta chilometri più indietro c’è una stazione di
servizio con un telefono fisso. Ci vada a piedi, telefoni a chi crede e
ricarichi il chip. Se è in bolletta, impegni i gioielli di famiglia, ma comunque
sia, venga con il biglietto pagato alle undici di stasera e chiuderemo un occhio
sull’infrazione precedente. - La porta si chiuse
con un sibilo e l’autobus ripartì.
Giulio risalì il pendio, come
suggerito dal controllore, e si incamminò in senso opposto rispetto alla
corriera.
Era solo e doveva sobbarcarsi
trenta chilometri a piedi. La sfacchinata l’avrebbe sopportata, ma lo spaventava
la fama della Zona Interdetta. Intorno al 2020 le amministrazioni delle regioni
attraversate dalla catena appenninica avevano aperto i Siti di Stoccaggio e
Decantazione di Rifiuti Bioinerti, per risolvere l’annoso problema dei rifiuti
urbani in continua crescita.
In linea teorica l’idea era
geniale: scavare nelle montagne gallerie e condotti lunghi anche decine di
chilometri e stiparli con la spazzatura dell’homo italicus. La pratica,
nell’implementazione quotidiana, era stata ben diversa. In quelle gallerie c’era
finito di tutto, comprese scorie radioattive illegalmente importate da mezza
Europa e seppellite tra gli scarti cittadini.
L’aumento costante del livello
radioattivo, unito all’impossibilità di bonificare i siti di stoccaggio pena il
collasso dello smaltimento urbano, aveva costretto il governo a creare, a
cavallo della dorsale appenninica, un’area di interdizione all’abitabilità e al
passaggio terrestre larga ottanta chilometri. Solo gli autobus delle linee
interregionali erano autorizzati ad attraversarla per due corse giornaliere. In
questo modo era nata la Zona Interdetta.
La fantasia l’aveva poi popolata
di creature chimeriche che aiutavano ad aumentare la tiratura dei giornali:
nuove genie di umani mutanti che si aggiravano per le valli degli Appennini;
creature gelatinose che spolpavano malcapitati turisti smarritisi nel corso di
escursioni; piante carnivore dotate di veloci e resistenti liane tentacolari.
Ovviamente, erano tutte sciocchezze. Giulio però sapeva, in ragione del suo
lavoro, che qualcosa viveva nella Zona Interdetta. Doveva darsi una mossa
e arrivare alla svelta alla stazione di servizio.
Il sole gli batteva in faccia e
cominciò a sudare da ogni poro. Dall’altra parte della strada c’era un’ombra
invitante su un esteso prato verde-bruno marcescente. Era una tentazione troppo
forte per resistervi. Fu quando calpestò il primo centimetro d’erba e la sentì
scrocchiare sotto le scarpe che capì che non era veramente erba.
- Diavolo! - gli sfuggì.
Le mantidi mimetizzate si
alzarono in volo simultaneamente. Milioni di insetti oscurarono per un secondo
il cielo, evoluendo in formazione compatta con coordinazione da uccelli
migratori. Girarono sulla sua testa due volte e si dispersero.
Era rimasto là a guardarle a
bocca aperta. Non ne sapeva granché di entomologia, ciononostante dubitava che
quello fosse un comportamento normale. Aveva avuto di fronte un salto
evoluzionistico favorito dalle radiazioni?
Ma chi se ne frega!,
pensò. Per prudenza, accelerò il passo.
Ore
14.00
La stazione di servizio era un
bugigattolo di cinque metri per cinque, sovrastato dall’insegna dell’AGIP. Le
cariche di litio erano addossate a una parete esterna con noncuranza.
Giulio ci aveva messo tre ore ad
arrivare ed era impaziente di andarsene. Gli dolevano i piedi e col cavolo
avrebbe seguito il suggerimento del controllore. All’opposto, avrebbe telefonato
e si sarebbe fatto venire a prendere dal cognato o da Marco, il migliore amico
che abitava a cento metri da casa sua.
L’addetto al servizio stava
sorseggiando una bibita analcolica da una lattina fluorescente e giocherellava
con un coltello sul pianale di un tavolo, dentro a una guardiola a nido d’ape
rivestita da una pellicola polimerica antiproiettile. Giulio bussò sulla parte
frontale.
L’inserviente lo catalogò con
occhio esperto e gli comunicò: - Il telefono è sul retro.
- Come è riuscito a...
L’uomo fu tanto rude quanto
schietto: - Credi che ci siano molti clienti al confine con la Zona Interdetta?
Arrivi a piedi, hai una faccia da cane bastonato e le maniere impacciate da
cittadino. Non ci vuole tanto a capire che ti hanno buttato giù dall’autobus
perché non hai pagato il biglietto. Sei il quinto che scaricano questo mese, ma
il primo ad arrivare alla mia stazione. Complimenti!
- Il primo? Gli altri quattro che
fine hanno fatto?
L’addetto ridacchiò: - Un
cittadino che non si interessa alla cronaca nera locale! Roba da non
credere!
Giulio aveva avuto occhi solo per
le inserzioni di lavoro. Era disoccupato da quattro mesi e figuriamoci se aveva
voglia di aggiungere le disgrazie degli altri alle sue.
- Lasciamo perdere! - replicò seccato. -
Può uscire e accompagnarmi al telefono?
- Fossi scemo! Non esco da qui
per tutto l’oro del mondo. Cercatelo! - Tracannò un lungo
sorso della sua bibita.
Tra un’imprecazione e l’altra
contro quella razza di provinciali rozzi e ignoranti, Giulio entrò nella
stazione e individuò il telefono appeso al muro in uno sgabuzzino dietro al
bancone della cassa.
Appoggiò il suo chip sul lettore
del telefono e fu messo in comunicazione con l’operatrice.
- Abitazione privata Giulio De’
Vecchi, Prato-Firenze, chiamata a carico del destinatario. - Snocciolò i dati
necessari alla biondina del centralino e rimase in linea.
Ebbe il tempo di fischiettare per
un intero minuto prima che una faccia amica sostituisse sul display del telefono
il logo animato della società nazionale di videocomunicazioni. Era Marco, a
torso nudo.
- Giulio... - L’amico non se lo
aspettava.
- Marco! Che ci fai a casa mia?
-
Nudo!
La voce di sua moglie da fuori
campo si intromise: - Caro, non dovevi rispondere. Torna a letto.
Giulio sentì il sangue
ghiacciarsi nelle vene.
- Operatrice! - gridò al telefono. -
Mi dia una visione stereoscopica della mia abitazione!
Qualche istante per confrontare
la corrispondenza del proprietario del chip con l’intestatario dell’appartamento
e l’inquadratura si allargò. Vide sua moglie Anna uscire dal bagno con indosso
soltanto un asciugamano legato sopra il seno. La scena lasciava poco spazio
all’immaginazione.
Perse il lume della ragione: -
Che cazzo state combinando voi due! - Il software di
controllo del contenuto della videochiamata giudicò le immagini e il linguaggio
eccessivamente scabrosi e troncò la comunicazione.
Richiamò l’operatrice più volte,
senza risposta. In preda alla collera, batté i pugni su quella dannata macchina
e alla fine la sradicò dal muro, mandandola in pezzi sul pavimento.
Scollegamento del pensiero
razionale.
Attivazione del lobo paranoico
del cervello.
Giulio ricostruì l’accaduto. Il
mancato pagamento del biglietto da parte di Anna non era dovuto a una casuale
dimenticanza. Se la spassava con Marco alle sue spalle e insieme avevano pensato
di sbarazzarsi di lui, il marito scomodo. Non con un truculento delitto
passionale, ma con un mezzuccio più fine, che si adattasse all’anima candida
della moglie. Anna probabilmente leggeva la cronaca nera e lasciarlo morire a
causa delle radiazioni, solo come un cane in mezzo a una strada, rientrava nel
suo stile “per favore, non sporcatemi di sangue
il tappeto.
- Glielo faccio vedere io di cosa
è capace il maritino...
Ritornò a grandi falcate
dall’addetto. Schiacciò fronte, naso e mento contro la guardiola e gli ordinò: -
Voglio il tuo coltello!
Quell’altro lo guardò
distrattamente: - Non faccio credito.
- Ti posso dare il mio chip!
- Giulio si
morse il polso fino a lacerare la pelle e fece slittare fuori il rettangolo di
silicio, tenendolo poi, insanguinato, tra il pollice e l’indice.
- Di solito non tratto con i
pazzi... -
rimuginò l’addetto. Il chip aveva un discreto valore sul mercato nero dei
documenti di identificazione contraffatti e lo convinse: - Per questa volta farò
un’eccezione.
Da una feritoia a scomparsa
spinse fuori la mano col coltello, aprendo l’altra per ricevere il chip.
Effettuarono lo scambio.
- Che non ti salti in mente di
volerlo indietro! - precisò
l’addetto.
- Il chip non mi servirà in
futuro. - Non
dopo ciò che avrebbe compiuto arrivato a casa. - Qual è la fermata dell’autobus
più vicina?
- Quella da cui sei venuto.
Riprese la via del ritorno.
Ore
19.00
Giulio aveva la tristezza nel
cuore. Era rimasto fermo per un’ora a metà strada, piangendo come un
bambino.
Lo avevano tradito. Un doppio
tradimento: sua moglie e il suo migliore amico! Non esisteva perdono per una
vigliaccata del genere. Il pianto gli aveva aguzzato l’ingegno. Aveva
pianificato la vendetta nei minimi dettagli. Dovunque fossero scappati, lui li
avrebbe uccisi e non sarebbe finito in galera. Avrebbe fatto sostenere al suo
avvocato che le radiazioni gli avevano inferto seri danni neurologici, ledendo
la sua capacità di intendere e volere. Nessun giudice lo avrebbe condannato
sapendo che i due avevano complottato per eliminarlo subdolamente e che era
sopravvissuto per puro miracolo.
Si fermò sotto la pensilina. Il
sole tramontò e le luci dei lampioni si accesero fioche a illuminare il percorso
stradale. La furia vendicatrice scemò. Non era un assassino e avrebbe finito col
perdonarli. Forse il divorzio era la soluzione preferibile. Forse...
Uno scivolamento di terriccio sul
declivio dietro la fermata lo distrasse. Incuriosito, si sporse dal riparo e il
ratto ricambiò il suo sguardo con un sorriso a denti sguainati. Giulio non ne
aveva mai visti di vivi. Li aveva avuti per anni belli e morti, senza testa,
coda e pelo, sul tavolo della pelletteria dove aveva lavorato e non lo avevano
impressionato. Il suo record nella scuoiatura era di otto minuti, dal primo
taglio sul sottogola all’ultimo nell’attaccatura della coda. Aveva vinto un
premio di produzione per la velocità e teneva l’attestato appeso in salotto,
sopra il caminetto elettrico.
Da quel particolare esemplare di
ratto dell’Appennino che lo aveva adocchiato, si sarebbe potuto trarre un
bellissimo divano a tre posti in vera pelle. Era un metro e venti di altezza al
garrese per quattro metri abbondanti in lunghezza, coda compresa. I cacciatori
professionisti che rischiavano la vita battendo le montagne in cerca di quei
bestioni si sarebbero fatti pagare profumatamente per una preda simile. Per
sfortuna, Giulio non era un cacciatore.
- OK, bellezza... - lo lusingò. - Ho
altre cose a cui pensare. Adesso vado per la mia strada e amici come prima.
Mosse un passo.
Il ratto ruggì: - SQUIIIT!
Giulio ripiegò sulla fuga.
L’animale aveva fame e non si
fece prendere alla sprovvista. Sfondò la copertura in vetroresina rinforzata
della pensilina come fosse stata di cartone e lo inseguì.
I suoi artigli non fecero presa
sull’asfalto, consentendo al fuggitivo di guadagnare dieci metri di vantaggio.
Il ratto aveva polmoni più allenati e nel mezzofondo se lo sarebbe pappato,
quindi Giulio decise di scartare alla sua sinistra, imboccando un viottolo in
discesa. La bestia inseguitrice scivolò in derapata, si cappottò e perse altri
quindici secondi.
- Ce la posso fare! Ce la posso
fare! Ce la posso fare! - si incitò Giulio
nella corsa a perdifiato. Voltò in un angolo cieco del sentiero e si imbatté in
una nidiata di sorcetti grossi come dobermann. Dritto nella tana!
La madre lo prese alle spalle. Si
alzò sulle zampe posteriori, fiutando insistentemente l’aria. Squittì con
dolcezza e i cuccioli la imitarono sollevandosi. Prima lezione alla prole:
insegnamento propedeutico alla degustazione di un essere umano.
Giulio sfoderò il coltello, si
batté la mano su una coscia e lanciò la sfida: - Avanti, vediamo chi è la razza
dominante!
Ore
23.00
- Antonio, quando arriviamo in
prossimità della fermata obbligatoria, rallenta e basta. Diamo un’occhiata per
vedere se c’è il tizio di questa mattina, per correttezza, poi tiriamo diritti
- disse il
controllore. L’autobus viaggiava vuoto e nessuno si sarebbe lamentato per la
violazione del regolamento aziendale.
- Non mi sarei fermato comunque!
- assicurò
l’autista. Innestò la ridotta e marciò a passo d’uomo.
I coni di luce dei fari anteriori
illuminarono a giorno il tratto di strada. Una lunga scia di sangue partiva
dalla fermata e disegnava dei macabri ghirigori passando obliquamente sulla
carreggiata. La voragine nella pensilina portò il controllore a una conclusione
ovvia.
- Santo cielo, se lo sono
mangiato i ratti!
- Povero disgraziato! Perché mi
hai detto di buttarlo giù? Non si meritava quella fine.
- Mi mancano sei mesi alla
pensione e tutti i giorni mio figlio mi deve portare in auto a questa fermata
per aspettare la corsa ascendente. Sono venti minuti di attesa nella Zona
Interdetta e l’indennità di rischio che mi danno non coprirebbe il mio funerale.
Se in centrale sapessero che non compio il mio dovere, mi raddoppierebbero pure
i turni. Dovevo farlo!
- Però...
- Piantiamola con i rimorsi! Dai
gas!
L’autobus filò via veloce. Un
chilometro e il conducente inchiodò il mezzo in uno stridio di freni. Il
controllore andò a sbattere con la testa sul vetro.
- Ahi! - Si toccò nel punto
d’impatto. Aveva un bernoccolo enorme. - Perché hai frenato?
- Guarda tu stesso!
Al centro della corsia, un uomo
venne loro incontro tenendo le mani dietro la schiena e trascinando i piedi a
stento.
Il controllore chiese conferma: -
È lui?
Sapevano entrambi di chi stavano
parlando.
- Sì.
Aprirono la porta quando vi
arrivò davanti. L’autobus aveva una doppia corazza di piombo per proteggersi
dalle radiazioni, ma non volevano correre il rischio di vedersi saltare a bordo
un ratto.
Giulio salì sul predellino a
testa bassa. Gocciolava sangue sul primo gradino della scaletta, aveva i vestiti
a brandelli e i capelli strappati a chiazze.
Il controllore si vergognò a
porre la domanda: - Ha ricaricato il chip?
- No - biascicò lui, mantenendo il capo
chino.
- Capisce che non posso lasciarla
salire? Potrei perdere il posto - si scusò
l’altro.
- Sentite... Ho avuto una
giornata pesante. Mi avete scaricato nella Zona Interdetta, ho scoperto che mia
moglie mi mette le corna con il mio migliore amico e che si erano accordati per
uccidermi; ho smarrito anche l’adesivo antiradiazioni che mi aveva dato lei e
non so che quantitativo ne ho assorbito. Ve lo chiedo in ginocchio, non fatemi
perdere la pazienza!
Alzò la testa. Aveva uno sguardo
omicida e uno zigomo scarnificato fino all’osso, rigato da segni di zanne.
L’insieme non piacque affatto ad Antonio. L’autista scattò a prendere la pistola
che teneva per i casi di emergenza nella tasca della porta, dal lato del
guidatore.
Gliela puntò in faccia: - Se ti
muovi, ti stendo!
- Una pistola! - Giulio rise di
gusto. - Ve lo avevo detto che lavoro nel campo delle manifatture in pelle?
- Ruotò le
braccia in avanti. Nella mano destra stringeva il coltello lordo di sangue
rappreso, nella sinistra la testa mozzata della mamma ratto.
- Gesù, Giuseppe e Maria! - L’autista si
spaventò a morte. Mollò la presa sulla pistola che rotolò per gli scalini
finendo sull’asfalto.
- Dato che abbiamo chiarito
l’equivoco... -
riprese Giulio. - Mi metterò a sedere, buono buono. - Scelse il posto
della prima fila vicino al finestrino. Sistemò il trofeo di caccia sul sedile a
fianco e ripulì il coltello nella manica della camicia.
Non si decidevano a partire.
- Che aspettiamo? Ho un conto da
regolare a casa, non vorrei arrivare in ritardo! - li pungolò.
Antonio balzò al volante e partì
a razzo.
Giulio distese le gambe e si fece
cullare dal dondolio monotono dell’automezzo sulle ruote. Adorava la
tranquillità dei viaggi in autobus.
pubblicato in L'alveare e
dintorni