Un racconto di Walter Catalano
Così finiamo Compagni ?
La mia gola si
arrende.
(V. Majakovskij – Poesia e Rivoluzione )
40 gradi non è vodka,
meno 40 gradi non è freddo,
1000 Kilometri non è distanza.
(proverbio siberiano)
“Compagno Vassiliev…Compagno Professore….Dove vi siete cacciati ?”
L’urlo di Savitsky si perse nel turbine bianco di neve e fiato
congelato.
“Maledizione” – imprecò il gigante barbuto avanzando
faticosamente lungo il binario incrostato di ghiaccio - “Razza di
imbecilli. Gli avevo raccomandato di non allontanarsi dalla linea
ferroviaria. Con la tormenta non si vede un accidente”.
Si voltò indietro con un movimento lento e doloroso. La
locomotiva e il vagone che li avevano condotti fin laggiù da
Irkutsk erano ormai stati inghiottiti per sempre da quel paesaggio
senza suono. Il gelo mordeva come un cane rabbioso. Pensò con
nostalgia alla burzuika, la stufetta portatile che li aveva
accompagnati sul treno, e all’ultimo paio di sedie bruciate la notte
prima: non erano bastate e avevano dovuto strappare via le assi di
legno sul pavimento del vagone. Danneggiare un mezzo del Comitato
Centrale Esecutivo dell’Armata Rossa siberiana era un reato punibile
con la fucilazione ma non provava alcun timore né senso di
colpa. Meno che mai in quel momento.
“Compagni dove siete ?” – gridò di nuovo con più
convinzione. Questa volta una voce lontana rispose. Era Vassiliev che
sosteneva il Professore per le spalle aiutandolo a risalire l’argine
scosceso al lato del binario. Sprofondando nella neve fino alla coscia
Savitsky si spinse avanti verso gli altri due tirandoli con entrambe le
braccia nella giusta direzione.
- Il Compagno Professore è ruzzolato
giù e sono sceso a riprenderlo – si giustificò Vassiliev.
- Tutto bene Compagno Professore ? – chiese il
gigante premuroso – Un ultimo sforzo e siamo arrivati. Sempre se i
cosacchi di Kalmykov non ci hanno già individuati: ce n’erano
tre che hanno tallonato il convoglio per tutta la mattina.
- Anche noi siamo tre – rispose il gracile uomo di
mezza età che chiamavano Professore, sfiorandosi con la mano la
cintura da cui emergeva il calcio della Mauser.
- Ormai è notte. E con la tormenta le pistole
servono a poco – grugnì Savitsky rivolto più che altro a
sé stesso.
Dopo quasi due ore di marcia i tre uomini raggiunsero il laghetto
gelato circondato di larici e abeti e l’accogliente baracca di tronchi
in cui li attendeva Korgikoff. Il fuoco scoppiettava nel rudimentale
caminetto e l’acqua bolliva nel samovar. In silenzio si riposarono al
caldo fumando preziose sigarette turche offerte dal nuovo compagno e
passandosi una bottiglia di vodka.
- Nikolai Zakharovitch avete preparato il materiale
per l’esperimento ? – si informò finalmente il Professore
fissando il rosso cupo delle braci. Korgikoff annuì gravemente.
- Ti trattano bene quaggiù compagno Korgikoff:
vodka, tè, sigarette di lusso. A Mosca, a Omsk, a Irkutsk si
muore di fame. Non avrei mai sospettato che questo incarico sarebbe
stata una vacanza…- proruppe Savitsky ridacchiando.
- Non sarà affatto una vacanza, compagno
capitano, non ti illudere. – sibilò l’interpellato - Per questo
ci sono stati consentiti alcuni confort, per alleviare la tensione e
ritemprare il fisico e la mente. La mente soprattutto. Inoltre sapete
bene tutti che lavoriamo a nostro rischio e pericolo, senza alcun
avallo ufficiale del Comitato Centrale: ci approvvigioniamo unicamente
con beni sequestrati al nemico, prede di guerra.
- Se è così allora… - Savitsky
rassicurato si attaccò alla bottiglia, piena per un quarto,
vuotandola in un sorso.
- Siete sicuro che ci sia tutto ? – riprese il
Professore seccato per l’interruzione – Sapete bene cosa intendo.
- Alexandr Nikolaievitch la materia prima non ci
mancherà certamente. E’ solo questione di attendere una notte al
massimo. Da quando la Ceka ha fatto fucilare Kolcak, con i giapponesi
in ritirata e la Siberia Orientale in subbuglio, la materia prima non
manca mai. E a noi poi serve più fresca possibile.
Nikolai Zakharovitch Korgikoff con un mezzo sorriso stappò
un’altra bottiglia di vodka: “Brindo al Proletkult del compagno
Bogdanov, ai Costruttori di Dio e alla vittoria sociale sulla morte”.
La mattina giunse gelida a scacciare un sonno appesantito dall’alcool.
Non era stato necessario fare turni di guardia: la rumorosa e
abbondante presenza di lupi nei dintorni teneva lontano qualunque
visitatore notturno. I quattro uomini, appena furono in grado di farlo,
iniziarono a trafficare intorno a grandi casse di legno accatastate in
un angolo della capanna. Savitsky e Vassiliev si resero utili, con le
loro braccia muscolose, per spostare le casse, terribilmente pesanti,
in un’ampia stanza dal pavimento in terra battuta sul retro
dell’abitazione; ma quando fu il momento di aprirle Korgikoff e il
Professore fecero capire ai compagni che la loro presenza non era
più necessaria. Per diverse ore i due restarono fuori a
sorvegliare le sponde del lago fumando.
- Che ci sarà là dentro ? – chiese
Vassiliev – E come ha fatto Korgikoff a portare tutta quella roba da
solo ?
- Non era solo e avevano una slitta. E’ un lavoro che
preparano da mesi.
- Chi lo prepara e di che lavoro si tratta e poi chi
è questo Korgikoff con tutti i suoi privilegi ?
- Belle domande. Posso rispondere, in parte, solo
all’ultima: Korgikoff, e anche il Professore per il poco che so, prima
della Rivoluzione erano con Bogdanov nel Proletkult.
- Ho sentito il nome ieri notte. Ma non mi dice
niente.
- Cultura Proletaria, un’organizzazione esterna al
Partito che già prima della Rivoluzione lottava per la
liberazione culturale e spirituale del proletariato. Con Bogdanov
c’erano anche i compagni Gorkij e Lunacharsky: una specie di setta
semisegreta, i Bogostroitely, i Costruttori di Dio. Quando il compagno
Lenin attaccò Bogdanov, in “Materialismo e empiriocriticismo” mi
pare, criticando il suo concetto di “sostanza vitale” e accusandolo di
“approccio borghese e idealista”, il gruppo ebbe uno sbandamento e si
disperse. La maggioranza tornò all’ortodossia, almeno
ufficialmente.
- Non ti facevo un intellettuale. Come sai tutte
queste cose ?
- Non sono un intellettuale, sono solo un comunista e
so queste cose perché con loro all’inizio c’ero anch’io.
- Sei uno di quelli tornati all’ortodossia, direi.
- Sì.
- Per questo non ti danno vodka e sigarette.
- Alla fine me le hanno date, no ? E anche a te.
- Già. Hai sentito invece quando bisbigliavano
fra loro ? Come se fossimo due stupidi. Non vogliono farci assistere
all’esperimento.
- Solo Korgikoff non voleva. Ragioni di sicurezza, ha
detto. Ma il Professore non è d’accordo. E’ un uomo di un‘altra
pasta: almeno rischia e si espone in prima persona. Korgikoff invece…
- Non mi piace Korgikoff. Non lo conosco, ma non mi
piace lo stesso.
- Neanche a me. Hai notato che non si danno del tu e
si chiamano solo per nome ? Fra loro non usa dirsi compagno.
- Korgikoff non è un compagno. E’ uno di quei
borghesi a cui non abbiamo ancora tagliato la gola.
- Siamo qui per questo…
Uno sparo echeggiò improvviso oltre il filare di larici.
Vassiliev si piegò su sé stesso, il breve sogghigno
rattrappito in una smorfia di dolore.
- I tre cosacchi di ieri. Ci hanno trovato alla fine
! – imprecò Savitsky cercando un precario riparo dietro alla
staccionata. – Sei tutto intero Vassiliev ?
- Mi hanno preso alla spalla, credo. Comunque sono
vivo per ora. – rispose in un rantolo Vassiliev, poi riuscì a
strisciare faticosamente fino ad una roccia lasciandosi dietro un
rivolo di sangue denso.
- State al riparo compagni. Abbiamo visite ! –
gridò Savitsky in direzione della casupola. Dalla feritoia degli
scuri serrati già facevano capolino le canne dei fucili di
Korgikoff e del Professore.
Le raffiche di copertura provenienti sia dalla baracca che dalla mano
incerta del ferito permisero a Savitsky di spingersi avanti fra le
frasche rade e rinsecchite dal gelo, lungo la riva del laghetto. Presso
un tronco di faggio abbattuto potè avvistare finalmente il primo
cosacco: un pezzo grosso a giudicare dal colbacco da atamano, a meno
che non l’avesse rubato. Non ebbe il tempo di mirare e scaricò
di fila i tre colpi del caricatore. L’uniforme immacolata della Guardia
Bianca si tinse di rosso sul petto e sui fianchi mentre l’ufficiale
stramazzava. Con un’agilità impensabile per la sua mole,
Savitsky gettò via il fucile ormai scarico e piroettò
avanti verso il corpo immobile. Estratta la pistola gli sparò,
per sicurezza, un altro colpo dietro l’orecchio. Trattenne il respiro
restando al riparo del tronco: non vedeva gli altri ma li sentiva
vicini. Tutto taceva anche nella baracca, fiochi raggi di sole traevano
bagliori incerti dal metallo delle armi appostate dietro le finestre.
D’improvviso da dietro un cespuglio un cosacco adolescente, quasi un
bambino, si gettò avanti verso di lui, con la baionetta
innestata cantando a squarciagola un inno patriottico: Savitsky
sparò di nuovo con la pistola, altri due colpi contemporanei al
suo echeggiarono dalla capanna. Centrato allo sterno il ragazzo smise
di cantare e ruzzolò rovinosamente per la breve scarpata fino a
scivolare sulla superficie ghiacciata del lago.
- Imbecille – non potè fare a meno di
esclamare Savitsky. Il terzo cosacco intanto, fuori vista oltre i
cespugli congelati, si dava un gran daffare sgambettando rumorosamente
nella neve ghiacciata per cercare di raggiungere le cavalcature
più indietro.
- Se ce la fa siamo fregati - gridò Savitsky
mentre balzava all’inseguimento sparando gli ultimi colpi disordinati
in mezzo agli alberi. Non colse il bersaglio ma stava guadagnando
terreno. L’ansito dell’inseguitore e dell’inseguito si coagulavano in
un'unica nuvoletta grigia di traspirazione febbrile. Non aveva
più tempo di ricaricare l’arma ma doveva comunque arrangiarsi da
solo: il soldato era troppo lontano da loro e riparato dagli alberi
perché i fucili dei compagni potessero fermarlo. Savitsky
estrasse il coltello mentre il cosacco incespicando raggiungeva i
cavalli. La concitazione del fuggitivo però lo tradì: le
bestie spaventate scartarono sfuggendo alla sua presa. L’istante
bastò a Savitsky per colmare lo spazio che lo separava dalla
preda. Il Bianco, che aveva lasciato cadere il fucile nella corsa,
cercò di afferrare la sciabola appesa alla sella ma le braccia
ferree del gigante lo avevano già stretto e lo
immobilizzavano in una morsa implacabile mentre la lama rapida e
precisa del coltello, con un movimento esperto, gli recideva la gola da
orecchio a orecchio.
I tre cadaveri giacevano allineati di fronte alla
capanna. Il Professore li passò in rassegna storcendo la bocca.
- Bel lavoro Compagno Savitsky. L’atamano ha la testa
maciullata, a quest’altro
gliel’hai quasi staccata. – sospirò rassegnato – Decisamente una
mano pesante la tua. L’unico utilizzabile è il ragazzino.
- Meno male. La prossima volta cercherò di
essere più delicato. – replicò Savitsky sarcastico mentre
Korgikoff lo fulminava con lo sguardo. – Piuttosto come sta Vassiliev ?
- Ha un polmone bucato. Vista la situazione direi che
gli restano al massimo quarant’otto ore. – il Professore fece una lunga
pausa studiata – Ma anche lui avrà il privilegio di essere parte
dell’esperimento. Dobbiamo affrettarci.
Savitsky sputò rumorosamente per terra.
La notte scendeva e la cataratta bianca di una nuova tormenta si
addensava oltre i pinnacoli irti degli alberi ghiacciati da cui la luce
argentata della luna traeva bagliori minacciosi. Altri bagliori ancor
più sinistri, di un colore sfuggente che variava dal rosso al
violetto, provenivano dalle imposte socchiuse della casupola.
- Nikolai Zakharovitch è bene precisare che la
ferraglia arrivata da Pietrogrado è puramente ausiliaria. Una
volta instaurato il campo elettrico è solo la forza di una mente
esercitata che può utilizzare appropriatamente l’energia. Si
tratta di una sorta di yoga senza misticismo, lo stesso processo
auspicato dal Compagno Platonov. Bisogna tendere al sunnyata
dei buddhisti, che noi, refrattari ad ogni superstizione primitiva,
definiremo scientificamente come vuoto dell’anima proletaria.
Il volto del Professore avvampava al crepitio dei fulmini violetti
mentre nervosamente scandiva le parole come arringasse uno sparuto
manipolo di studenti universitari in una sala di dissezione. Su un
tavolaccio giaceva il cadavere del giovane cosacco la cui fronte era
incoronata di una ghirlanda di elettrodi collegati ad una dinamo. Altri
cavi si dipartivano dalla dinamo per perdersi fra le lenzuola umide del
pagliericcio dove agonizzava Vassiliev. Alcuni tubi impiantati nelle
arterie femorali del morente e del morto terminavano in un’ampolla di
cristallo in cui rosseggiavano diversi litri di sangue ribollente; un
tubicino più sottile connetteva l’ampolla ad una siringa
piantata nell’avambraccio del Professore. Savitsky sedeva in un angolo,
le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi increduli, come un
cane raggomitolato su sé stesso; all'altro estremo della stanza
Korgikoff armeggiava ad una sorta di oscilloscopio.
- Attraverso la comunione del sangue realizzeremo il
grande sogno: la resurrezione dei morti, secondo la filosofia della
Causa Comune di Fedorov, sarà resa possibile dall’Istituto per
la trasfusione del sangue di Mosca. – declamò quest’ultimo con
voce alterata - La riuscita dell’esperimento darà conferma alle
teorie dei Biocosmisti-Immortalisti di Pietrogrado: il nostro motto
“Immortalismo e Interplanetarianismo” diverrà una realtà
per l’umanità nuova. Le moltitudini dei resuscitati porteranno a
compimento la Rivoluzione proletaria e colonizzeranno lo spazio. Noi
renderemo perfetta una creazione incompiuta sconfiggendo la morte, la
più grande nemica del comunismo.
- Nikolai Zakharovitch non correte troppo. – lo
interruppe il Professore - Quello che potremmo ottenere, per il
momento, è solo una parziale rianimazione del cadavere. Ma ci
interessa soprattutto verificare l’innesto e la fusione temporanea di
una coscienza vivente, la mia, con quella prossima all’estinzione di
Vassiliev e quella ormai estinta del soldato nemico. Creeremo una sorta
di super entità collettiva, al di là della vita e della
morte: canalizzare l’energia comune delle masse, questo è il
primo passo verso l’immortalità collettivizzata. Per oggi ne
assaporeremo solo un assaggio. Il campo elettrico crea l’aura che
dinamizza il plasma, la condivisione del plasma dinamizzato agglutina
poi la coscienza collettiva capace di rianimare i tessuti decomposti e,
sfruttando questa stessa energia collettiva, il vuoto dell’anima
proletaria – soprattutto sotto la guida di un individuo adeguatamente
preparato – proietta la visione nel tempo. La durata appartiene
all’individuo: le masse non hanno tempo, esistono da quando esiste
l’uomo, esisteranno per sempre. Se tutto va come credo, e questo
è il nostro obbiettivo, fra poco vedremo il futuro.
Il Professore fece un cenno con la mano a Korgikoff che ruotò
con forza una manopola sull’oscilloscopio come stesse azionando una
vecchia macchina per cucire. I lampi violetti aumentarono sensibilmente
in frequenza ed intensità mentre un forte odore di ozono si
diffondeva nell’aria sospinto dal frinire assordante di gigantesche
elitre impazzite.
L’intensità della vibrazione raggiunse livelli parossistici: il
battito aritmico di un cuore immane sembrava rintoccare nella sistole e
diastole ischemiche di un finale marasma cosmico. Un senso di nausea
irrefrenabile pervadeva Savitsky che, gli occhi fuori dalla testa,
contemplava il sangue ribollire e montare come panna nel recipiente di
cristallo: scorreva continuo mescolandosi nell’ampio alambicco e da
lì passava nei corpi cerei del vivo, del morente e del morto.
Una concrezione nebbiosa rossastra emanava dal plasma schiumante
pervadendo l’atmosfera ormai satura di un etere attraversato da
baluginii di figure traslucide, volti stilizzati, pinnacoli, volute,
cattedrali di nubi e cristalli di sangue incrostato.
Il cadavere rigido del cosacco ed il corpo immobile di Vassiliev, ormai
in coma, iniziarono improvvisamente a contorcersi in preda a
convulsioni spastiche. Una sorta di respirazione spasmodica li univa
alla vibrazione onnipervadente in un generale orgasmo comune.
- Ci siamo, Alexsandr Nikolaievitch, ci siamo ! –
gridò Korgikoff fuori di sé. Ma anche il Professore non
poteva più rispondere: gli occhi ruotati all’indietro a mostrare
i globi bianchi e ciechi, la bava che colava dalla bocca, il corpo
scosso dalla crisi epilettica eppure ritto sulla schiena inarcata come
un insetto trafitto dallo spillo di un entomologo sadico.
- Fermate tutto ! E’ mostruoso ! – gridò
Savitsky levando il pugno minaccioso verso l’alambicco in cui il sangue
splendeva come lava.
- No è troppo tardi ! – biascicò
Korgikoff quasi in trance, estraendo la sua Mauser dalla fondina –
torna subito a sedere compagno e guarda, guarda ! Vedremo il futuro !
Indicò il vuoto di fronte a sé, l’etere turbinoso di
forme embrionali e caotiche, di volti, smorfie, ghigni e di suoni
confusi nel frinire convulso della vibrazione. Erano immagini e voci
insieme - la voce baritonale del Professore, quella roca di
Vassiliev e quella giovane e sconosciuta del cosacco, disperse in un
coro spettrale di moltitudini – nel rosseggiare mostruoso del sangue
emergevano e affondavano paesaggi e visioni: uomini e donne che
penzolavano dalle forche; contadini magri come scheletri che divoravano
membra umane; marinai che inneggiando ai soviet venivano falciati dalle
Guardie Rosse (la precisione era assoluta: nomi, luoghi, dettagli,
tutto - visto e detto insieme - scorreva impetuoso nell’accelerazione
progressiva di un fiume in piena che irrompe dall’argine); Lenin
ridotto ad una larva sbavante su una sedia a rotelle; i suoi funerali,
la mummia, l’erezione di un mausoleo cubico (la faccia di Kazimir
Malevic mentre lo disegna, mentre dice “il cubo è la porta della
quarta dimensione, il regno super-materiale dello spirito ideale”);
Majakovskij che grida “Lenin è vissuto! Lenin vive ! Lenin
vivrà !” (la testa di Majakovskij che ricade, in uno schizzo di
poltiglia scarlatta, sul petto sfondato da un proiettile sparato a
bruciapelo); Trotzky, Bucharin e Kamenev che insultano Stalin; Stalin
che spalanca la bocca baffuta e fagocita uomini e cose; ancora forche,
fucilazioni, contadini cannibali, falò agli angoli delle strade
e persone che cercano di scaldarsi; divise, eserciti, parate militari;
un colpo di piccone e la fronte spappolata di Trotzky; processi,
torture, ancora fucilazioni; Molotov che stringe la mano ad un ometto
baffuto con una croce uncinata al braccio; guerra, fame, fucilazioni;
Stalin seduto accanto ad un uomo gracile sulla sedia a rotelle e ad un
ciccione che fuma il sigaro; bandiere rosse che garriscono accanto a
bandiere a stelle e strisce; migliaia e migliaia di cinesi che
marciano; campi di concentramento, gelo; ossa umane calcinate dal sole
circondate da una vegetazione tropicale; un uomo tozzo e canuto getta
una scarpa sul tavolo; un uomo dalle sopracciglia immense, sembra una
mummia, saluta stancamente con la mano un plotone che marcia al passo
dell'oca; carri armati, bastonate, ragazzi che si cospargono di benzina
e si danno fuoco; orientali inturbantati e barbuti che sparano
all’impazzata; un uomo calvo con una voglia viola sulla fronte sorride
come un imbonitore da fiera di paese; la bandiera rossa ammainata,
statue di Lenin abbattute, il mausoleo cubico smontato pezzo a pezzo;
un uomo canuto con la faccia da maiale saluta la folla (un eco di
grida: “Viva la democrazia ! Viva il Presidente !”): è ubriaco,
zampetta in mezzo ai ministri, poi tocca il culo ad una segretaria….
- Basta ! – gridò Savitsky, la sua voce
stonata era un acuto in falsetto per l’orrore, la mano pelosa del
gigante strappò via tubi ed elettrodi cercando di rovesciare
l’alambicco di sangue. Suoni e immagini implosero in un un fulmine
viola. Korgikoff senza esitare premette il grilletto
ringhiando “Maledetto ! Solo io e Alexandr Nikolaievitch siamo in grado
di eseguire il processo. Non sai quali conseguenze…. “.
Savitsky, benchè colpito era ruzzolato sul fianco e aveva
estratto a sua volta la pistola facendo fuoco due volte: un proiettile
colse Korgikoff in piena fronte; l’altro centrò l’alambicco
facendolo scoppiare come un’impressionante bolla di sapone: il sangue
che conteneva si era improvvisamente vaporizzato come risucchiato
dall’atmosfera e i corpi del Professore, di Vassiliev e del cosacco
giacevano ora inerti, stecchiti e rinsecchiti, quasi fossero stati
prosciugati di ogni liquido.
Tamponandosi la ferita all’addome, Savitsky contemplò incredulo
i quattro cadaveri distesi in mezzo ai macchinari distrutti: tre
mummie ed un corpo dal cranio sfondato. “Che pazzia” – mormorò,
poi si piegò su sé stesso e finalmente vomitò.
Zoppicando vistosamente Savitsky girò intorno alla capanna in
fiamme controllando di aver appiccato il fuoco in modo uniforme. “Che
non resti nulla di loro” – pensò. Gli avevano parlato una volta
del mirovoi nekropol, del “cimitero mondiale” di Setnitsky, in
cui conservare al gelo dell’estremo nord i corpi di tutti i compagni
caduti in attesa dell’imminente risurrezione operata non da un dio
inesistente ma dalla scienza comunista. Panzane: avevano cercato di
inventare un incubo inutile. Se davvero solo Korgikoff e il Professore
ne conoscevano il segreto operativo ora anche questo, per fortuna,
bruciava con loro. Ma il vero terrore non nasceva dal sangue
ribollente, dai cadaveri epilettici, dai corpi prosciugati in un attimo
come mummie. Il vero terrore era l’allucinazione che avevano scatenato:
il futuro ? Un brivido intenso gli percorse il corpo. I nostri sforzi,
i nostri sacrifici e tutti questi morti, tutto questo orrore sarebbero
per nulla. Inutili: un errore, un capriccio della storia. Cacciò
via a forza quel pensiero devastante: “Lenin è vivo e sta
benissimo e noi vinceremo” – si disse – “La Rivoluzione è come
me. Ci vuole altro che una scalfittura o un po’ di neve per fermarmi.
Arriverò a Vladivostok a piedi se necessario”.
Tirandosi dietro una slitta improvvisata contenente i pochi beni
utilizzabili recuperati nella capanna, Savitsky si
incamminò claudicando con pazienza verso l’immensa pianura
bianca. Qua e là sulla neve delicati geroglifici di gocce
vermiglie marcavano il suo percorso.
FINE
WALTER CATALANO
Walter Catalano (catalano29-at-supereva.it).
In gioventù partecipa al mondo delle fanzines degli anni '70.
Pubblica articoli o racconti su Kronos, Il Re in Giallo e Loculus. Dagli anni
'80 in poi si allontana dalla fantascienza dedicandosi ad altri interessi.
Ha realizzato due cortometraggi di fiction (di soggetto non fantastico) in 16mm. e vari documentari; ha collaborato con la RAI; scritto su Il Giornale dei Misteri (articoli riguardanti prevalentemente l'esoterismo e la magia) e su varie altre riviste con uno spettro politico-culturale piuttosto ampio e atipico (si va da Diorama Letterario a Cyberzone).
Ha pubblicato la raccolta di saggi "Applausi per mano sola: dai sotterranei del Novecento" (Clinamen, Firenze 2001) e suoi contributi sono stati inclusi in volumi di saggi miscellanei, in fase di pubblicazione, sulla psichedelia e sull'eresia politica. Negli ultimi tempi si è riavvicinato alla SF e alla fiction in generale. Quello accluso è il suo primo tentativo narrativo dopo molti anni.