di Danilo Santoni
La frase iniziale di un romanzo rappresenta molto spesso un segnale molto forte
per l’interpretazione del romanzo stesso. Tolstòj, da buon genio della narrativa,
ha voluto strafare e nell’iniziare il suo Anna
Karénina ha scritto una frase che è anche una interpretazione critica della
struttura di un romanzo:
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra
loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Per questo se vuoi scrivere la storia di un regno che riesca ad interessare i lettori
non devi andarti a cercare un regno felice perché non riusciresti a combinare niente
di originale.
Di un regno infelice sto qui a parlare, un regno in cui si svolge una storia fantasy.
Una storia fantasy
Nel momento in cui nomini la parola fantasy
viene in mente solo una cosa, Tolkien; un po’ perchè la sua opera rappresenta la
bibbia per tutti coloro che intendono
intraprendere il viaggio in quel genere letterario e un po’ anche perchè gli autori
che l’hanno seguito non sono stati capaci, o non hanno voluto trovare una via alternativa
ed originale per le loro realizzazioni. C’è chi ha aggiunto qualcosa, c’è chi ha
modificato qualche particolare, chi ha cambiato qua chi là… ma la morale è stata
sempre la stessa: Tolkien ha codificato le leggi per il suo
reame e i suoi successori hanno dovuto adattarsi a queste leggi.
In fondo, che fantasy avremmo senza uno o più re, senza un ambiente medioevale fatto
di castelli, locande e cavalleria; senza un mondo di ghiaccio e di fuoco; senza
maghi malvagi e magie nere e maghi buoni e magie bianche; senza popoli della foresta
o non morti; senza draghi o animali leggendari…
Tutto questo per dire che sembrava che non ci fosse un futuro di originalità per
il fantasy… e poi venne George R.R. Martin
con il suo ciclo fantasy A Song of Ice and Fire. Martin ci presenta un
mondo medioevaleggiante pieno di castelli e locande e re in lotta per il potere,
pieno di battaglie sanguinose, pieno di panorami gelati e assolati… una storia che
si svolge su una terra popolata da razze diverse (si va dagli umani, ai giganti,
ai bruti, ai non morti…) che seguono religioni particolari; un mondo in cui la magia
è una realtà, in cui esistono i draghi e altri animali fantastici…
Il solito armamentario del fantasy?
Sì e no.
Se è innegabile che l’opera di Martin riconosce e accetta dettami del genere letterario
che affronta è pur vero che basta leggere qualche pagina per accorgersi che ci troviamo
su di un livello totalmente diverso da quello di Tolkien. Con questo non si vogliono
esprimere giudizi di merito, ma si vuole sottolineare che l’opera di Martin, pur
avendo la stessa materia di quella dell’opera di Tolkien, ha risultati completamente
diversi.
Ma andiamo con ordine e premettiamo una cosa: nel momento in cui si sta facendo
questa analisi, il ciclo di A Song of Ice and Fire (da qui in poi per brevità lo indicheremo con la sigla
f&i) è ben lungi dal vedere il termine.
I giudizi, quindi non possono non essere che provvisori.
Incominciamo con l’analizzare la struttura dell’opera. Un primo problema per il
lettore italiano è rappresentato dalla suddivisione in volumi: l’edizione originale
è composta (per ora) da quattro volumi molto
corposi che in Italia la Mondadori ha spezzettato senza nessun avviso al lettore. Ci si trova di fronte,
allora, a volumi che finiscono di colpo e senza motivo. Altri che iniziano al centro
di avvenimenti incomprensibili (e ce n’è uno che inizia al centro di avvenimenti
incomprensibili e finisce di colpo e senza motivo!)
Sarà bene riepilogare le divisioni del passaggio dalla lingua inglese a quella italiana:
1 - A Game of Thrones:
1a –
Il trono di spade
1b –
Il grande inverno
2 - A Clash of Kings
2a – Il regno dei lupi
2b – La regina dei draghi
3 - A Storm of Swords
3a –
Tempesta di spade
3b –
I fiumi della guerra
3c –
Il portale delle tenebre
4 - A Feast for Crows
4a –
Il dominio della regina
4b – L' ombra della profezia
5 - [previsto:
A Dance with Dragons]
6 - [previsto:
The Winds of Winter]
7 - [previsto:
A Dream of Spring]
Esistono poi due racconti, The Hedge Knight
(Il cavaliere errante)
e The Sworn Sword, apparsi rispettivamente
nelle antologie Legends e
Legends II, curate da Robert Silverberg (solo la prima antologia è stata
tradotta in Italia). Nelle due storie vivono gli stessi personaggi che sono presentati
a distanza di qualche anno uno dall’altro e sono ambientati in un periodo precedente
a quello di inizio del ciclo dei romanzi.
I due racconti sono apparsi anche in versione fumetto ad opera di Mike S. Miller;
il primo è tradotto in Italia da
Italycomics, il secondo ha iniziato le pubblicazioni (sei uscite) in America
nel mese di giugno del 2007.
Un mondo fantasy

Il ciclo è ambientato in un mondo composto da una grossa isola allungata chiamata
Westeros. Il suo aspetto ha un qualche cosa di familiare dato che assomiglia un
po’ ad un misto di Inghilterra e Irlanda.
L’autore non si pone il problema se questa terra si trovi sul nostro mondo o no,
il fantasy è fantasy anche per questo: si presenta un mondo strano che ha molti
aspetti della nostra cultura del periodo medioevale e lo si ambienta in terre strane,
senza bisogno di giustificare niente.
Quindi la terra di f&i potrebbe anche trovarsi
sul nostro pianeta, in un periodo imprecisato del nostro passato o del nostro futuro.
Ma c’è il fatto del clima a sollevare molti dubbi e a far propendere la scelta per
il no. La terra di Westeros affronta un clima piuttosto bizzarro: ancora una volta
Martin senza spiegare il perché ci racconta di
stagioni incostanti: inverni ed estati possono durare anche decenni e, comunque,
non hanno una durata prevedibile e costante. Perché succeda ciò non si sa. Succede
e basta, a differenza, per esempio, del ciclo di Ellicona di Aldiss dove lì l’orbita
del pianeta causava lunghi periodi di glaciazione alternati a lunghi periodi temperati
e a lunghi periodi torridi.
Un altro aspetto che lascia interdetti è la dimensione del ‘mondo’. Westeros, come
detto, è un’isola che si allunga nel senso dei meridiani e passa da un nord immerso
nel gelo perenne ad un sud torrido. Ma, a ben guardare le mappe, le dimensioni di
questa isola non sono così gigantesche da giustificare questa escursione termica,
a meno che il mondo non sia di dimensioni proprio piccole e magari abbastanza schiacciato.
Gli abitanti di questo mondo hanno una cultura che presenta gli aspetti caratteristici
delle culture fantasy: ad un periodo di splendore di un lontano passato è subentrato
un presente decaduto che non riesce ad evolvere: per secoli ormai la civiltà su
Westeros non ha fatto un passo avanti, nessuna ricerca scientifica, nessuna scoperta,
nessuno dei reperti dell’antichità che riesca a risvegliare l’arguzia di qualche
studioso.
Un’ultima cosa che lascia alquanto dubbiosi: mancando ogni tipo di conoscenza tecnologica,
si è sviluppato sull’isola un sistema di comunicazioni basato sui corvi viaggiatori
(la copia fantasy dei piccioni viaggiatori). I personaggi vengono a conoscenza di
avvenimenti lontani con questo mezzo, ma troppo spesso la cosa avviene così velocemente
che sembra improbabile che i volatili siano così efficienti ed affidabili, molto
più efficienti e affidabili delle nostre poste. È proprio un mondo fantasy!
Un po’ di geopolitica
La parte inospitale di Westeros, quella a nord per intenderci, è quasi del tutto
inesplorata ed è abitata da una serie di razze minacciose e mostruose, più o meno
umane, più o meno soprannaturali. Questa parte del mondo è contenuta dalla
Barriera, un muro di ghiaccio gigantesco, un vallo di Adriano fantasy che
non fa che rafforzare l’impressione di una analogia tra la terra di Westeros e l’Inghilterra.
Al di sotto della barriera esistono i sette regni: sette casate che un tempo regnavano
autonome e in lotta tra loro, poi conquistate da Aegon il Drago della casata dei
Targaryen, una casata sfuggita al Disastro di Valyria, la grande civiltà scomparsa
nel passato eroico del mondo di Westeros.
Aegon riunificò sotto il suo comando i sette regni e la sua dinastia governò per
quasi trecento anni e finì col massacro della famiglia reale a seguito di una rivolta
delle casate sottomesse.
Lo scettro fu preso da Robert rappresentante della casata dei Baratheon e fu il
risultato dell’equilibrio fra le due casate più importanti, quella dei Lannister
e quella degli Stark.
Anche qui ci troviamo di fronte ad una serie di influenze chiare e rintracciabili:
non solo la guerra delle due rose tra
Lancaster e York (di cui c’è una esplicita eco nei nomi delle casate di Martin)
ma anche tutte le guerre europee che insanguinarono il continente tra il 1300 e
il 1700.
I romanzi iniziano durante il regno di Robert, i due racconti sono ambientati durante
il regno dei Targaryen.
Man mano che la narrazione avanza la conoscenza che abbiamo del mondo in cui esiste
Westeros si allarga ed esistono delle mappe che mostrano l’isola principale immersa
in un mare racchiuso da terre che assomiglia molto al Mediterraneo e ai paesi che
lo circondano.
Un regno infelice
La situazione politica di Westeros all’inizio
del ciclo presenta un precario equilibrio nella figura di re Robert.
Westeros è un mondo medioevale e Martin dimostra di conoscere benissimo lo spirito
della società medioevale europea: non c’è nessuna idealizzazione e i personaggi
vivono una vita gretta e difficile. I poveri sono poveri e carne da macello, i ricchi
sono ricchi, poco più che semi-analfabeti e dalla visione ristretta.
Lo spirito della cavalleria e dell’onore sono forse l’unico aspetto positivo di
un’umanità per altri versi abbrutita da guerre sanguinose e da una situazione sociale
piuttosto primitiva.
Il giuramento è una cosa forte e ciò getta un’ombra su tutto il regno che è nato
dal tradimento nei confronti del legittimo re: l’ultimo Targaryen, pur essendo un
re pazzo, è stato ucciso proprio da colui che aveva fatto giuramento di difenderlo
con tutte le proprie forze.
Come ogni famiglia infelice, questo regno infelice trova il modo di essere infelice
a modo suo e tutti tramano contro tutti. Re Robert viene ucciso e spuntano cinque
pretendenti che danno il via ad una serie di lotte sanguinose che richiamano alla
mente quella che storicamente viene indicata come
la Guerra dei tre Enrichi. Il fantasy in massima parte è questo, re in lotta
tra loro ed epiche battaglie. I&F
non è questo!
Le guerre ci sono, i re ci sono (come i draghi, la magia, gli inumani, etc, etc…)
ma non sono il tema della narrazione, sono la base su cui poggia la narrazione.
Una narrazione
diversa

Martin è un grande narratore e certamente si è reso conto che un basta un
regno infelice a creare un’opera originale. Gira e rigira, come si è visto,
il materiale fantasy non permette una grossa originalità per quanto riguarda i materiali
di costruzione, quelli sono e quelli devi usare.
E allora lo scrittore da fondo alle sue abilità narrative.
Tutti romanzi del ciclo sono suddivisi un capitoli che pur essendo narrati in terza
persona riflettono il punto di vista e le conoscenze di un personaggio (ogni capitolo
ha come titolo il nome del personaggio di cui riporta il pdv).
Già con questo Martin riesce ad ottenere dei risultati sorprendenti: seguendo tracce
narrative diverse con personaggi diversi si permette una visione a volte reticente
a volte sfaccettata a volte ambigua della realtà e poi, incentrando la narrazione
su un personaggio può approfondirne la psicologia e scavarne le motivazioni.
Ed ecco la prima novità: non ci troviamo di fronte alla lotta tra il Bene e il Male,
scritti entrambi con la lettera maiuscola, ma di fronte alla lotta tra individui
(più o meno malvagi) ma tutti con le proprie motivazioni e con le proprie idealità.
Il lettore senza dubbio parteggia per un personaggio contro l’altro, ma l’autore
non entra in merito alla facendo, la sua narrazione è esterna e tutti i personaggi
sono funzionali alla sua storia allo stesso modo. Non è un caso che molto spesso
quello che sembra essere l’Eroe con la lettera maiuscola, quello che dovrà risolvere
tutti i problemi alla fine del libro, morirà per non lasciare più traccie di se
e del suo operato.
Ed ecco la seconda novità: la vita non è un romanzo dove colui che rappresenta il
buono e il giusto lotta, soffre, sta per soccombere e nel momento più nero riesce
a trovare il guizzo che salverà lui e il mondo intero. La vita è qualcosa fatto
di successi e di sconfitte, di imponderabili situazioni che non permettono uno scorrere
delle azioni lineare e chiaro.
Martin ha studiato seriamente il mondo delle guerre alla base della formazione delle
nazioni europee e si è reso conto che più che i grandi condottieri e gli eserciti
sterminati ha potuto il caso e per esempio è più che evidente che ha modellato il
personaggio di Robb sulle figure di Gustavo II Adolfo di Svezia il
re d’oro e Albrecht von Wallenstein, le due figure romantiche della guerra
dei trent’anni che come meteore sono apparse e scomparse nel giro di pochissimo
tempo.
Un’altra
diversità
Martin, comunque, non si ferma qui. L’alternanza dei pdv dei personaggi conferisce
sì movimento alla narrazione, ma a lungo andare risulterebbe sterile e appiattirebbe
la narrazione in una serie di tasselli ricorrenti con un’alternanza riconosciuta
dalla trama.
Secondo i canoni più accettati della narrazione seriale, ogni capitolo tende a terminare
nel momento di massima attesa per il personaggio: un
pericolo, una minaccia, un riconoscimento…
La ripresa dell’azione nel capitolo successivo per quel personaggio avverrà ad azione
terminata e con una nuova situazione in atto, molto spesso spiazzante per il lettore,
e solo con la narrazione successiva, lentamente si verrà a sapere cosa e successo
realmente e come si è arrivati a quella nuova situazione.
Si capisce come il lettore venga continuamente sollecitato da ribaltamenti della
trama, anche quando la trama non ha grossi sviluppi: per quando il lettore è arrivato
a capire che in fondo non è successo niente (o è successo ciò che in fondo si aspettava)
è in atto già una nuova azione che ne cattura l’interesse.
Un libro che non doveva esserci
La struttura di I&F era di sei volumi:
i tre della guerra dei cinque re e i tre che devono ancora essere scritti. Le due
parti erano divise da un arco di tempo di una decina di anni. Era intenzione di
Martin di usare la tecnica descritta in precedenza: terminare un ciclo in modo non
finito ed iniziare il nuovo in un punto successivo che presenta una situazione totalmente
originale e raccontare lentamente gli accadimenti che hanno portato al nuovo stato.
Man mano che prendeva forma il primo volume del secondo ciclo lo scrittore si è
reso conto che se la cosa funziona a livello di capitolo non funziona a livello
di ciclo. I flashback erano troppi e la narrazione si appesantiva.
E allora ha fatto il grande passo: ha raccolto tutto il materiale dei flashback
e ha riempito quel buco nella narrazione.
Il risultato è stato A Feast for Crows,
il romanzo numero quattro, il romanzo che non doveva esserci. E la cosa è abbastanza
visibile: nel romanzo, in fondo, non succede (apparentemente) niente, i personaggi
girano e rigirano, si attraversano i percorsi pistandosi quasi i piedi, si perdono,
si ritrovano, ma non arrivano da nessuna parte in quanto attendono tutti che esca
il romanzo numero cinque!
E poi, alla fine, si scopre che questo romanzo
quattro non fa altro che narrare la metà degli avvenimenti e quindi il romanzo cinque
forse sarà un altro “romanzo che non doveva esserci”.
Con questo non voglio dire che A feast for
crows sia un romanzo inutile perché, come tutti i romanzi del ciclo, la narrazione
non si poggia sui grandi avvenimenti, infatti anche nel primo ciclo le grandi battaglie
e gli scontri non sono quasi mai descritti direttamente, ma sono quasi sempre riferiti
dai personaggi mentre la narrazione si poggia sulla vita quotidiana.
Con questo romanzo Martin ci porta in giro
per Westeros, ci fa conoscere la sua strana geografia, consegnandoci posti originali
e sorprendenti (un po’ mi ha ricordato il ciclo del nuovo sole di Gene Wolfe) e
poi ci consegna una situazione politica totalmente trasformata portando alla ribalta
l’esistenza di movimenti religiosi e pseudo scientifici.
Una attesa interminabile
E qui dobbiamo fermarci. Mentre scrivo queste cose, settembre 2007, il nuovo romanzo
che doveva essere pronto ad inizio anno e pubblicato verso questo periodo è ancora
in alto mare. Martin lo lima, lo riscrive, lo cambia e come per l’autobiografia
di Tristram Shandy ad ogni giorno che passa,
invece di essere un giorno avanti si ritrova un giorno indietro.
Se gli editor che seguono lo scrittore non glielo strapperanno di mano e lo pubblicheranno
così com’è credo che dovremo aspettare ancora molto…
Per ora ci rimane la sua assicurazione nel suo blog:
Yes, yes, I'm still working on A
DANCE WITH DRAGONS.
Seguita da questa immagine:
!!!