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Vito Benicio Zingales e il Truccatore dei morti: intervista all’autore

Inserito Mercoledì 11 marzo 2009

Interviste a cura di Iannozzi Giuseppe




1. Prima di parlare di “Il truccatore dei morti”, tuo secondo romanzo, vorrei che ti presentassi spiegando, se non proprio nel dettaglio, chi sei e come sei approdato al mondo delle lettere. In pratica: chi è Vito Benicio Zingales?

Un uomo semplice, ma inquieto, fatto di vita e di sogni che se non sono bambini parlano di miracoli di seconda mano. nella “tempesta delle lettere” mi hanno sbattuto, col tacito assenso di papà giornalista, Giacomo Giardina, Rosa Balistreri, Nino Muccioli e i maestri Cutino e Giambecchina, giganti della cultura siciliana e miei “zii d’infanzia”.

2. I tuoi precedenti romanzi sono stati “Là, oltre i campi di Sfaax” (2002) e “Cosa di Noi. I ragazzi di Sala Paradiso (2003)”: in merito a “Cosa di Noi”, a suo tempo ebbi modo di dire che “non è romanzo che metta in campo vinti o vincitori, eroi per caso o miti inventati, è piuttosto un sapiente coacervo di identità umane che fanno orgia negli abusati significati che si potrebbero attribuire ai concetti di ‘bene’ e ‘male’. Questi finiscono col perdere valore, perché i confini dei loro significati si intrecciano, si superano, si inghiottono nella loro stessa quiddità.” Il ritmo incalzante del romanzo, lo stile funambolico del linguaggio sospeso fra italiano e gergo di strada, mi conquistarono. Oggi con “Il Truccatore dei morti” rimango di nuovo conquistato. Com’è nato questo tuo nuovo lavoro, per quale impellente necessità umana letteraria sociale?

“Cosa di Noi” è uno scatto veloce, in bianco e nero, che cattura l’immagine perversamente vivida e a colori della “Cosa Nostra” a Palermo. Il truccatore nasce dall’essenza di un sospetto, forse dall’ipotesi da un mio multiplo che ormai da tempo, fra terre inesplorate, governa dinamiche ignote e tenacemente ambivalenti.

3. Il linguaggio adoprato in “Il truccatore dei morti” è molto poetico: difficile per me, ma credo per chiunque, definirlo a pieno titolo semplicemente un romanzo: mettiamo i puntini sulle “i”, è un romanzo ma è soprattutto, a mio avviso, una lunga prosa poetica dove la pazzia del protagonista viene tradotta in una miriade di frammenti. E in ognuno di essi c’è la vita le aspirazioni la rabbia la solitudine di un ragazzino che si scopre uomo, che capisce d’essere unico e per questo destinato alla solitudine più completa, nonché all’incomprensione.

Con la forma tutta tesa a legittimare l’essenzialità dei paradossi, tra frammenti di presunta follia, ho voluto minare il terreno su cui solitamente scorrono concetti come potenza ed onnipotenza, logica ed estetica. Ho voluto creare una sorta di itinerario del dubbio fra la fisicità delle parole e il trascendente dell’idea per cercare di spingere “l’occhio” del lettore aldilà di ciò che resta alla mera parvenza dei sensi. Il sentimento di rivalsa che prova Silvio Bambino si sovrappone al senso di colpa che il mondo prova dopo aver giustiziato il preferito tra i “fondamentali”: l’innocenza.

4. Silvio, Silviuccio, Pigliastrano: che rapporto ha con i suoi genitori?
E con i suoi compagni?

Come le narici di uno sciacallo sui resti del proprio padre: non l’artefice, ma l’individuo Alfa.

5. Silviuccio viene mostrato al lettore come una sorta di moderno freak: non si capisce mai se sia un idiota completo o l’espressione ultima del Male, della pazzia à la Charles Manson. Grazie al tuo linguaggio altamente poetico, Silvio ci viene mostrato tanto per le sue fragilità quanto per la sua crudeltà, per una crudeltà che ha in sé nuances lovecraftiane, ancestrali, cosmiche. E’ d’obbligo a questo punto da parte mia chiederti quali sono stati gli autori che ti hanno maggiormente influenzato e per quali motivi.

Non ci crederai, Turgenev, Lermontov, Bulgakov e “naturalmente” Dostoijevski mi hanno severamente formato. L’esistenza narrata da ciò che ha “sentito” la vita fra alchemici tragitti e poli opposti, ha indotto il mio sguardo a vibrare oltre la presunta soglia del male e al di là d’ogni accadimento perfettamente calibrato da quello che per opinione diffusa viene definito “bene”. Ho il convincimento che aldilà della “pendola a piombo” resti inesplorato un “pozzo parallelo”. Silvio, probabilmente, vive fra queste pareti emergendone quando sente d’essere tempo cosmico, mimetizzandosi in “quella” penombra quando sente di dover precedere il cosmo ed insieme le superiori dinamiche del tempo.

6. Leggendo “Il truccatore dei morti” non ho potuto fare a meno di pensare a “Il signore delle mosche” di William Golding. Forse sbagliando ma sono del parere che entrambi descriviate la fine dell’innocenza: il giovane Silvio, seppur vessato dai suoi coetanei, non ci appare mai come un innocente, o come un figlio di Dio. Silvio è un angelo caduto ed è felice della sua condizione, non intende riconquistare alcun paradiso perduto. Per Silvio Buonanotte l’importante è essere il Dio della sua armata di mosche. Che mi puoi dire a tal riguardo?

Silvio impara dalle “muscidae”, ma allo stesso tempo ne è l’artefice. Che sia convinto d’essere una divinità poco importa, l’essenziale per lui è vivere da Dio, lontano dal quel regno di ombre prive di affanno e di vita,lontano da tutto quel genere umano che per oblio indotto ha da tempo smarrito il senso del proprio evento. Per le mosche, Silvio è l’Augusto che vibra di vita a partire da quella che è insieme crasi deistica e rimedio all’angoscia del divenire: la morte…

7. Silvio, come in un sogno abbondante di allucinazioni, vive per vendicarsi di chi lo deride, di chi gli nega un po’ d’amore. Alla fine ricusa ogni gesto d’affetto, ma è lui a decidere che l’amore non è cosa che fa per lui e così riversa tutte le sue attenzioni sulle mosche. Che cosa rappresentano, nella cultura popolare e non, questi insetti appartenenti all’ordine dei Ditteri, sottordine Brachycera?
E: nel tuo romanzo, che valore hanno?

Più di quanto possano argomentare il più sapiente fra gli etologi e il più erudito fra gli etnologi, seccamente: loro, le mosche, sanno!

8. Dicendo un luogo comune, “Il truccatore dei morti” è un romanzo nero (un noir) esplicito che non fa concessioni al pietismo né a una pietas umana o cristiana. Quale profonda necessità ti ha spinto a usare un linguaggio esplicito, sempre poetico, sempre allucinato, un po’ à la Arthur Rimbaud?

La necessità è esplosa per “colpa” di un incubo. Addormentandomi con Nietzsche e la sua “genealogia della morale” fra le braccia della mente, chissà chi ha agitato “me” nel sonno, per riuscire forse ad afferrare la tesi più controversa ed universalmente più dibattuta, l’autoinganno della morte e l’inganno di ciò che la vita specula solo con i sensi. “Il truccatore” è da lì che giunge, da quelle ragioni spirituali oltre la metafisica del dubbio.

9. “Il truccatore dei morti” so che fa parte di un progetto più ampio. E’ così?

Il truccatore dei morti è la prima pare di una trilogia. “Glass City” e “Inservibili resti” sono rispettivamente la seconda e la parte conclusiva del viaggio. Ed è solo alle ultime battute che Silvio svelerà al lettore la sue vera identità. Si spera pubblicare gli “atti” successivi entro la primavera del prossimo anno.

10. Il tuo lavoro ha degli intenti pedagogici sociali politici?

Per carità, fra le pagine esalta soltanto la riflessione sull’idea imperfettamente elaborata della morte e ragionevolmente accettata del “voler vivere a tutti i costi”. Forse in dissolvenza tra narrato e cifre, è un verticale teleologico. Forse…

11. So che ci sono altri progetti in corso, a livello cinematografico anche. Puoi accennarcene, svelarci qualche particolare?

Dopo “Protocollo Narcon” e “Il rigattiere del cielo” (romanzi ancora inediti), “Nerodentrozero” è la mia ultima fatica inedita… e tanto per non smentirmi è anch’essa una trilogia. “Nerodentrozero” è storia di sbirri demoni e violenza, di notti nerissime, di “38” special, di mafia, puttane e cazzotti. Sia della prima parte, “Da mezzanotte a zero” che della seconda “sangue nero petrolio”, sono stati stesi trattamento, soggetto e sceneggiatura, a cui, divertendomi, ho collaborato. Se gira bene “Sangue nero petrolio” dovrebbe andare in “sala” entro quest’anno. Mi piace dirti che sulla mia strada il Karma ha messo tre talenti straordinari: Hella Wenders, Luca Lucchesi e Irma Vecchio. Per il Truccatore dei morti è di questi giorni il “Sì” di Armando Siciliano per la realizzazione di un “Book Trailer”, un Dvd da allegare al libro e da presentare in anteprima assoluta alla Fiera Internazionale del Libro di Torino. Il Book Trailer avrà il taglio filmico del cortometraggio e il libro potrà essere spogliato anche attraverso le immagini.

12. Promuovi liberamente “Il truccatore dei morti”. Invita il pubblico a leggerti. Spiegagli perché devono leggere Vito Benicio Zingales. Dì loro senza mezze misure cosa hai da offrire.

Perdendovi la lettura de “Il truccatore dei morti” non so cosa effettivamente potreste perdervi, ma (e scuserete la presunzione) so cosa ci guadagnerete nel leggerlo: la parte laconicamente amara, ma più vera di un sorriso…

Grazie infinite, caro Vito.
E’ stato un vero onore avere la possibilità di intervistarti.
Sono più che mai certo che “Il truccatore dei morti” non mancherà di entusiasmare quanti avranno il coraggio di guardare in faccia la nevrotica realtà in cui noi tutti ci troviamo immersi, volenti o nolenti.


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