Le armi e gli amori
"Thule" n. 5, ed. Solfanelli, '85, 251 pagg., 10.000 £ (5,16 €); © by Marino Solfanelli Editore
HEROIC FANTASY
Altri contributi critici:
-"Una fantasia eroica italiana. Spade, incantesimi e pathos", di Giampiero Cinque, "Dimensione cosmica" n. 6, ed. Solfanelli, '85, pag. 22, da "Il giornale di Sicilia" del 6/7/'85
-"I libri del fantastico della Solfanelli", di Tullio Bologna, "Dimensione cosmica" n. 9, ed. Solfanelli, '86
-Recensione di Mariella Bernacchi, "Algenib" n. 11, '90
-"Libri per sognare", di Mariella Bernacchi, "Strange lands" n. 6, '92
Di questa antologia già ne ho accennato nel parlare di "Le ali della fantasia/3"; infatti i racconti qui raccolti sono stati scelti fra quelli inviati al "Tolkien '82", tra quanti di essi, e furono numerosi,
appartenevano al filone della fantasia eroica, o per dirla all'inglese, dell'heroic fantasy. Questi sono sedici, e non diciassette, come avevo scritto, ed era stato segnalato in quel volume, in quanto, fra le due pubblicazioni, uno
di essi venne utilizzato in modo diverso dall'autore, così come, presumibilmente, era avvenuto in precedenza, per un altro; avrebbero dovuto esserci anche "Caccia al basilisco", di Gianluigi Zuddas e "La notte di Uther", di Adolfo Morganti, quest'ultimo, come abbiamo visto,
inserito invece in "Spade e incantesimi". In copertina, e anche questo l'avevo già detto, "Galadriel" del Gordini.
I racconti compaiono secondo l'indice alfabetico dei cognomi degli autori, e il primo è "Il canto dell'ultima primavera", di Donato Altomare (tradotto in finlandese come "Viimeisen kevään laulu", "Portti" n. 1, '97; pagg. 13-36), in cui il protagonista è impegnato in quella che si potrebbe definire una quest di carattere psicologico, psicoanalitico; infatti l'oggetto della sua ricerca è il vero padre, dopo che colei che aveva ritenuto la madre
vera, una strega, proprio all'inizio della narrazione, gli fa la traumatizzante rivelazione di non esserlo. Tralasciando di dire cosa la strega gli ingiunga di
fare, cosa che diviene subito suo incrollabile proposito, diciamo che la storia è caratterizzata, nel finale, da un inganno, anch'esso tutto giocato sulla psicologia del protagonista, che lo distoglie dallo scopo del suo agire,
perpetrato da due personaggi secondari che agiscono, per così dire, in una prospettiva più ampia, temporalmente, possedendo, uno di questi, il dono della preveggenza. Conseguentemente agiscono in un modo molto simile a delle divinità astoriche, avendo potuto valutare un'altra linea di condotta, più positiva che quella seppur giusta di Diego, ma dettata da un'analisi più parziale, più umana, più istintiva della situazione. Ricco di spunti divertenti, di trovate originali, la narrazione si dipana gradevole, stimolando al contempo l'arguzia e il senso dell'humor del lettore, oltre che, naturalmente, il suo senso del
fantastico.
Il secondo è "Nella pineta di là dal Cenobio", di Angelo Arienti (tradotto in francese come "Dans la pinède au-delà de la Cénobie", "Revue Phénix" # 34, ‘93; pagg. 37-58), in cui vengono narrati dei fatti con una tecnica che io, personalmente, non apprezzo eccessivamente, ovvero quella di fare finta, in un certo senso, che i retroscena in cui si muovono i personaggi siano conosciuti dal lettore,
avvincendolo, certo, in tal modo, ma non certo rendendogli facile la lettura, che così facendo lo scrittore costringe ad un grosso sforzo per porsi in prospettiva rispetto alla narrazione. Alla fin fine, comunque, per quanto sia, ci si accorge (anche prima, se sè ne ha l'accortezza) che, in effetti, non si ha alcuna possibilità contestuale di capire chi siano e in quale contesto, per quanto interno al secondary world precipuo del racconto, si muovano i
personaggi. In effetti, il racconto si caratterizza, più che per la trama, per come è narrato, ovvero in uno stile piuttosto estetizzante, in alcuni punti; per dirne una, i duelli non sono descritti nel modo standardizzato e noioso che siamo soliti trovare, e che, ormai, saltiamo a piè pari, che tanto sono proprio tutti uguali, ma bensì, anch'essi, in una prosa di un certo qual pregio.
Si prosegue con "Luna egea", di Fabio Biasio (pagg. 59-77); si tratta, questa volta, di science fantasy, per quanto eroica. Praticamente si tratta di una trasposizione della leggenda dei cavalieri della tavola rotonda su scala interplanetaria; lo stilema della ricerca di un qualche cosa per salvare il proprio pianeta su di altri, quindi, rapportato alla ricerca del Graal. All'interno di questa struttura primaria si trovano alcuni spunti interessanti, quali una costante presenza del pensiero nietzschiano, soprattutto nelle molte poesie che lo costellano; in particolare della contrapposizione fra apollineo e dionisiaco, ying-yang: "...la lotta/tra le due forze eterne/tra le due forze uniche e sorelle/unite disunite,/necessarie l'una all'altra." (pag. 62) ; "Apollo dio del limite, /dio del sogno; /Dioniso dio/della dirompente natura/e della tragicità della vita." (pag. 65); "...conosci l'àgone/fra te esterno/e te interno." (pag. 66), a caratterizzare la civiltà di quel mondo: "...in ogni... attività c'è lo scontro della vita in
tutte le sue forme, senza giudizi di bene o male. Questa è la nostra civiltà..." (pag. 66).
Così come le descrizioni di un paio di riti pagani come l'arrivo periodico delle Amazzoni e del Rito della Maternità, descritto, questo, utilizzando anche alcuni brani
onirici ("Alla fine, con un urlo tremendo aveva visto sè stesso uscire all'esterno." (pag. 74)), che lo caratterizzano psicoanaliticamente. Questo tipo di caratterizzazione si specifica maggiormente poco dopo, quando l'eroe protagonista entra nell'antro di un anacoreta, che è, con molta evidenza, un simbolo sessuale: "L'antro era confortevole e caldo." (pag. 76).
Segue "La strada dei Dèi", di Claudio Brovelli (pagg. 79-88), di cui, sinceramente, c'è molto poco da dire, a parte l'errore grammaticale del titolo; narra una storiellina smilza, senza nessuna suggestione, nè alcuno slancio poetico; tutte pecche, credo, che si possono imputare alla giovane età dell'autore.
Si prosegue con "La casa dei Dèi", di Franco Cagna (pagg. 89-110) (da notarsi la ripetizione dell'errore, nel titolo); decisamente migliore del precedente, vi si narra una storia molto lineare, una quest classica, nel
tipico scenario medioevalizzante, nella seconda parte, che è senz'altro la parte più interessante, mentre la prima è decisamente molto più noiosa. L'oggetto della quest è un fantomatico "Vangelo di Pietro", in quanto: "...le notizie in esso contenute darebbero all'Imperatore la possibilità di riconciliare i Padri della Chiesa." (pag. 93). Di che fine abbia fatto, le ipotesi sono due: una, per così dire, realistica, storicisticamente parlando: "Pare... lo consegnasse ad un suo discepolo, affinchè alla sua morte il verbo non andasse perduto.... se ne perse la memoria."; l'altra, appunto, fantastica: "Si racconta... che un Dèmone, un Dio degli antichi uomini, più antico degli Dèi pagani, lo custodisca e non permetta ad alcuno d'impossessarsene." (pag. 97). Comunque è solo nel finale che compaiono alcuni elementi fantastici, i Dèmoni della Montagna, comunque non sotto l'aspetto abituale, concreto, ma bensì sotto quello di fantasmi psichici. Che esito abbia la quest, a voi il piacere di scoprirlo; comunque posso anticiparvi che c'è, ed è ben congeniato. Pregevoli
le descrizioni dei costumi degli armigeri.
Il successivo è "Lava, tra gli alberi che bruciano, ovvero, il tempo della speranza sottile", di Luciano Comida e Stefano Tuvo (vincitore del 1° Premio di narrativa d'anticipazione "Il vascello", '96, a pari merito
con "Al termine della galleria", di Stefano Tuvo; pagg. 111-23). Ciò che caratterizza questo bel racconto è senz'altro la sua vivacità; gli autori sono riusciti ad innestare un meccanismo narrativo capace di tenere desta
l'attenzione del lettore, per mezzo, soprattutto, di una notevole maestria nell'uso del tempo narrativo con, cioè, rimandi e ripescaggi di e da situazioni precedenti. E forse, maggiormente, di un linguaggio spigliato, che si rivela molto bene nei dialoghi, decisamente ben riusciti. Nell'introduzione al racconto si dice che Comida stava scrivendo un romanzo ad ampliamento del presente racconto.
Segue "La notte del rito", di Angelo De Ceglie (pagg. 125-48); vi si narra di un torneo approntato per designare il successore del Signore delle Spade, torneo che diviene, comunque, appassionante solo dopo che, fra molti
contendenti, ne rimangono solo cinque, fra cui il protagonista. Un paio le cose rilevanti; ancora, in tono minore, il tema già riscontrato della rivelazione, ad un ragazzo, di un segreto precedentemente celatogli, che qui però viene d'apprincipio solamente accennato, ripreso in altro modo, per poi essere definitivamente accantonato e non sviluppato come avrebbe potuto essere, e quello del doppio. Il finale è, letteralmente, da brivido.
Seguono un paio di racconti molto brevi, di cui il primo è "Le due rose", di Riccardo De Los Rios jr. (pagg. 149-55), che è una fiaba vera e propria, la fiaba di una sacerdotessa di un rito pagano che viene violentata da un démone, e della sua successiva vendetta. La trovata, comunque, ciò che lo rende affascinante, sta fra questi due accadimenti, iniziale e finale; non vi dico in che cosa consista, che il piacevole sta proprio nello scoprirlo nel leggerlo, vi dico solo che è la ripresa di un tema classico della favolistica, quello dell'incantesimo di trasformazione. Per la prima volta, in questa antologia,
troviamo delle scene di buon erotismo.
Il secondo è "La ninfa del bosco dei segni", di Gianni Ferracuti (pagg. 157-62), che racconta di un divertentissimo incontro tra niente meno che Gesù e
"...una ninfa di quelle minori, poco conosciute." (pag. 160). Il vero punto di forza sta senz'altro nella trovata della cena d'addio per gli dèi pagani: "Ricordava che vi era stata una memorabile cena d'addio, dopo la quale gli dèi pagani si ritirano dal mondo, ..." (idem). Indubbio il
rifarsi dell'autore al primo periodo del pensiero nietzschiano, all'utilizzazione culturale singolarissima che egli fece degli dèi pagani, cioè come simboli, in un certo senso, di una potenzialità sfrenata, dionisiaca
(vedi, "La nascita della tragedia"), e della sua critica all'ansiosa schizofrenia della società occidentale (vedi, "La gaia scienza"): "Ma tra quanti vivranno correndo, affanandosi come impazziti dietro a mostruose caricature di umanità e bellezza, che tu nemmeno puoi concepire, alcuni ve ne saranno che disprezzeranno il loro tempo, e la maledetta genìa che ha profanato ogni tesoro.... e solo essi ti potranno amare." (pag. 162).
C'è poi "Clio", di Adolfo Martini (pagg. 163-74), in cui si narra una vicenda più volte raccontata, come da buona regola della favolistica, a cui può senz'altro essere ascritto; il bel cavaliere, l'eroe positivo, che decide di
liberare la bella principessa, con le dovute variazioni, di cui la più rilevante è senz'altro quella che il sentimento sia corrisposto fra i due.
Finale a sorpresa, mostriciattoli vari e un paio di duelli; nel complesso, comunque, abbastanza divertente, soprattutto per il tono di non seriosità, di giocosità,
su cui è tenuta l'intera vicenda.
Si prosegue con "Drakar l'eterno", di Luigi Menghini (pagg. 175-89), storia molto lineare, di una vendetta, che si attua a distanza di molti anni, quando già a colui che voleva vendicarsi erano passati gli ardori, cosa,
questa, che lo caratterizza più di ogni altra, in quanto ne determina la trovata finale. Buona anche l'idea portante del tramandarsi del titolo di Drakar: "Ma non hai ancora capito? Il mondo è pieno di Drakar: ogni avventuriero, ogni eroico bastardo in cerca di bottino si fa chiamare Drakar! È un pò come un titolo. Il vero Drakar è vissuto due o tre secoli fa... se mai è realmente esistito." (pag. 183) (un tema simile è apparso successivamente nel film fantastico statunitense "La storia fantastica" ("The Princess
Bride", '87). Il protagonista, aveva preso il nome di un famoso ed invincibile pirata, che veniva tramandato
per continuarne la leggenda. (Fabrizio Frattari)).
Per il resto, è narrato in una prosa non delle più scorrevoli, con, praticamente, nessun passaggio di un qualche pregio.
Siamo così giunti a "L'ultimo duello", di Paolo Pavesi (pagg. 191-202), caratterizzato da una trovata che, se non certo utilizzata per la prima volta, devo dire, lo fa rientrare in quel tipo di fantasy che personalmente
preferisco, ovvero quella in cui il protagonista compie si la sua quest in un secondary world, ma partendo dal nostro piano di realtà.
Solo due le creature fantastiche presenti; un drago e un elfo, ma molto ben descritte; l'elfo, addirittura, sembra quasi avere uno spessore psicologico.
In ogni modo le figure di maggior rilievo sono senz'altro quelle del Mago Bianco e del Mago Nero, il Bene e il Male, simboleggiati in modo quanto mai netto.
Quart'ultimo è "Drusilla", di Daniela Piegai (anche in "Sf...ere" n. 26, '83; tradotto in tedesco come "Drusilla", "Die Menagerie von
Babel", '92, tr. Hilde Linnert; pagg. 203-13), i diritti del quale sono stati acquistati dalla Heyne Verlag di Monaco, in cui si narra, metaforicamente, del passaggio dall'adolescenza alla maturità, ovvero della scoperta del sesso da parte di una ragazza.
Lo stile è vivace, divertente, ciò che lo caratterizza è, senz'altro, il modo giocoso e sottilmente scherzoso con cui si parla di magie e incantesimi vari: "Il giullare, con grandi rumori terrificanti, suscita davanti a me un fuocherello magico, ed io solidifico temporalmente e lo spengo..." (pag. 208).
Notevole la frase finale, in cui si esprime il rammarico di chi ha preso coscienza del proprio essere divenuto adulto: "...baratterei cento anni di serena dignità regale, per una corsa a piedi nudi sull'erba, e la vita ancora tutta da giocare..." (pag. 213).
Terz'ultimo è "L'ombra magica", di Antonio Piras (pagg. 215-27), in cui, tipicamente, i personaggi si muovono sia nel mondo reale che in uno secondario, ma, ed è questo che lo caratterizza, la parte reale ha una completezza tale che ne è possibile una lettura in chiave razionalistica, così come, d'altronde, in una fantastica.
Vi si narra di metempsicosi, anche se non è certo questo quanto emerge, ma bensì una certa qual ripulsa per il nostro tempo, una certa qual nostalgia per altri tempi, in cui si viveva a maggior contatto con la natura.
La chiave di lettura realistica è metaforica, ma la lascio cercare a chi volesse farlo, che richiederebbe che io vi dicessi l'espediente letterario che determina il
feeling di gran parte del racconto, e non voglio rovinarvi il piacere di questa lettura.
Penultimo è "Le voci del vento", di Gian Filippo Pizzo (pagg. 229-33), in cui troviamo il tema classico del genius loci: "Io sono Naial la ninfa, la fata di codesto luogo." (pag. 231).
È una favola con fortissimi legami con la mitologia greca, in cui, appunto, si propone, in chiave moderna, il tema dell'amore fra uomini e dèi: "Io sono un uomo... E tu sei eterna e immobile,... Tu sei certo un uomo, ma puoi
diventare divino come me,... Non è giusto che l'uomo e il divino si mescolino" (pag. 232).
E quello che ci sia qualcosa di più potente degli dèi stessi, che, qui, comunque, è l'amore, e non il destino: "L'amore, è più forte anche di me e mi comanda."
(idem), ed è qui che si evidenzia l'appartenenza dell'autore all'attuale atmosfera culturale, il suo aver voluto comunicarci quel tipo di contenuti.
Ed ecco che siamo giunti all'ultimo dei racconti di questa antologia, "Il giovane cavaliere", di Angelo Veroni (pagg. 235-51), molto avvincente, in quanto
narrata con una tecnica di continui cambiamenti del punto di vista che da un'impressione complessiva di profondità, direi di pluridimensionalità (es.: "Nel sua castello di Tocos, Tulmec il gran mago si allontanò dallo specchio, aveva visto, aveva sentito tutto, ed era venuto ormai il tempo di agire." (pag. 245)), che, appunto, posta a conclusione di una scena già parecchio complessa, la mette in prospettiva, e la illumina di un significato altro rispetto a quello che il lettore gli può aver dato nel leggerlo. Ciò richiede, da parte del lettore, la piena partecipazione interattiva, se si vuole veramente capire che cosa vi accade.
La tipica quest ne sta al centro, ed ha per oggetto una corona che dà: "...il dono dell'eterna giovinezza..." (pag. 242). Caratteristica precipua il fatto che vi siano molti personaggi che, seppur sempre secondari rispetto all'eroe,
hanno una consistenza psicologia notevole.
Troviamo poi anche qui, quello che avevamo riscontro in quello precedente, ovvero l'impossibilità dell'amore fra dèi e uomini: "Un uomo è sempre un uomo, qualsiasi abito indossi, e una dèa è sempre una dèa." (pag. 251), ma qui
si parla proprio, esplicitamente, del destino.
Il tutto è ottimamente introdotto da Gianfranco de Turris.
Originariamente in "Algenib notizie" n. 16, ottobre '91
Gli altri volumi del Premio "Tolkien", in ordine cronologico:
"Le ali della fantasia"
"Le ali della fantasia/2"
"Le ali della fantasia/3"
questo
"Le ali della fantasia/4"
"Le ali della fantasia/5"
"Il nido di là dell'ombra"
"Le ali della fantasia/6"
"Immaginaria/1"
"Le ali della fantasia/7"
"Immaginaria/2"
"L'altro volto della luna"
Per l'heroic fantasy italiana, vedi le antologie della Fanucci:
"Spade e incantesimi"
"Magie e stregoni"
"Eroi e sortilegi"
"Daghe e malie"
quelle dell' Akropolis:
"Le spade di Ausonia"
"I guerrieri di Ausonia"
e "Fantasia eroica italiana"
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